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Vita da sassi – ep.16
L’aeroplano del Papa – Romanzo profetico in versi liberi
Siamo nel 1914. L’Europa è sull’orlo della guerra. Solo una voce si alza in difesa della pace: la voce del Papa – una voce che non tutti sono disposti ad ascoltare. Per strano che possa sembrare, abituati come siamo all’intoccabilità del santo padre, c’è chi non è d’accordo (1). Immaginatevi la scena: il Papa,
«carceriere della terra,
o sorcio mostruoso delle fogne del cuore,
vecchio scarafaggio nutrito d’immondizie,
pistillo osceno nella corolla d’una veste talare,
battaglio di campana funerea!»
se ne sta bel bello sul balcone di San Pietro, quando passa un biplano, butta giù un rampino, lo aggancia e scompare all’orizzonte. Sul biplano c’è F.T. Marinetti, e chissà perchè la cosa non stupisce. «L’Aeroplano del Papa» è un torrenziale (e spesso demenziale) poema sull’italica bellezza, sulla bellezza della guerra alle porte e in generale su quanto è figo essere Marinetti.
Il quale, come ben si sa, non ha il minimo senso della misura nè del ridicolo; è chiassoso, arrogante, si contraddice da solo, sostiene tutto e il contrario di tutto, e dice cose serie come fossero cazzate e cazzate immani come fossero verità solenni – ed è per questo che lo adoro (2). Ma certi argomenti sono al giorno d’oggi (specie quando salta fuori un nuovo partito i cui membri sono talvolta soprannominati «futuristi») non dico tabù, ma di certo assai spinosi. Fare d’ogni erba un fascio – ehm – è sempre una pessima idea, sia che si parli del presente che del passato; basta cercare un po’ per trovare opinioni assai interessanti sul Futurismo, opinioni che frantumano le dicotomie cui siamo abituati. Per esempio, può essere interessante sapere che i futuristi
«… hanno distrutto, distrutto, distrutto, senza preoccuparsi se le nuove creazioni, prodotte dalla loro attività, fossero nel complesso un’opera superiore a quella distrutta: hanno avuto fiducia in se stessi, nella foga delle energie giovani, hanno avuto la concezione netta e chiara che l’epoca nostra, l’epoca della grande industria, della grande città operaia, della vita intensa e tumultuosa, doveva avere nuove forme, di arte, di filosofia, di costume, di linguaggio: hanno avuto questa concezione nettamente rivoluzionaria, assolutamente marxista, quando i socialisti non si occupavano neppure lontanamente di simile questione, quando i socialisti certamente non avevano una concezione altrettanto precisa nel campo della politica e dell’economia, quando i socialisti si sarebbero spaventati (e si vede dallo spavento attuale di molti di essi) al pensiero che bisognava spezzare la macchina del potere borghese nello Stato e nella fabbrica. I futuristi, nel loro campo, nel campo della cultura, sono rivoluzionari; in questo campo, come opera creativa, è probabile che la classe operaia non riuscirà per molto tempo a fare di più di quanto hanno fatto i futuristi: quando sostenevano i futuristi, i gruppi operai dimostravano di non spaventarsi della distruzione, sicuri di potere, essi operai, fare poesia, pittura, dramma, come i futuristi, questi operai sostenevano la storicità, la possibilità di una cultura proletaria, creata dagli operai stessi».
Lo diceva Gramsci (3), mica Gasparri (scusate). Ma è meglio sorvolare (col biplano) queste faccende e lasciare che ognuno si tenga l’opinione che preferisce. Che altro resta? Resta l’incredibile quantità di immagini e suggestioni di cui questo poema-pamphlet-delirio trabocca: descrizioni del bel paese, che il nostro baffuto eroe percorre dalla Sicilia alla laguna veneta (dove finalmente sgancia il rampino e manda il Papa in pasto ai pesci!) – descrizioni, dicevo, surreali e immaginose, come una specie di «Fantasia» disneyana autarchica: i vulcani visti come aule parlamentari o circhi di elementali del fuoco:
Il Vulcano, gran signore, è prodigo di spettacoli.
Voi non mi vedete, belle fiamme cavallerizze,
nè voi, rossi tizzoni che vi cullate
su altissimi trapezi subitamente mangiati
dal turbine degli attori sopraggiungenti!
Son donne nude interamente coperte
delle loro chiome d’oro abbaglianti….
Biondezze soavi e modulate
di carni e di velli, e qua e là criniere
di leoncelli trascinati pigramente a guinzaglio….
Ad un tratto, da tutti i palchi
di quel circo fastoso si sporgono castamente
donne-fiamme verdi,
intollerabilmente acide…
… oppure lunghe catene montuose viste come branchi di immensi animali in fuga; squarci di nuvole come eserciti, arcigni prelati attorniati da chierichetti e così via; e oniriche cartoline da una Milano di giovani chiassosi e vecchi bottegai incancreniti che si sporgono dalle finestre a dire «Basta! C’è gente che vuole dormire!» (certe cose non cambiano mai).
Resta anche l’idea del Futurismo, con tutte le sue cazzate e i suoi brum brum proot, come tentativo di aprire una strada nuova, etica, estetica o anche semplicemente grammaticale (4): con tutto quello che ne consegue, perchè per costruire qualcosa di nuovo bisogna prima distruggere il vecchio, e procedere un po’ per tentativi: «[…] non aver paura delle novità, e delle audacie, non aver paura dei mostri, non credere che il mondo caschi se un operaio fa errori di grammatica, se una poesia zoppica, se un quadro somiglia a un cartellone, se la gioventù fa tanto di naso alla senilità accademica e rimbambita» (5). E resta, ed è forse la cosa più difficile da comprendere, questo impetuoso amore per la guerra, «sola igiene della Galassia» (6); difficile da capire per noi, che guerre non ne abbiamo viste se non in televisione ma che ben sappiamo che razza di porcherie siano, al punto da sterilizzare la stessa parola, sostituendola con le «missioni di pace». La Grande Guerra fu un disastro di proporzioni bibliche, ma in un certo senso lo posso capire, Marinetti (il quale peraltro si arruolò volontario in un battaglione di ciclisti (7) e fu pure impallinato): vivere in un paese come l’Italia di allora, un paese ingessato, statico, sonnolento, una società feudale quando non direttamente tribale, una politica fatta da mummie incompetenti, la scienza e la tecnologia relegate ai margini del panorama culturale, i porporati vaticani a dettar legge… insomma, a un certo punto la voglia di scendere in strada e spaccare tutto, la voglia di far piazza pulita per poter costruire qualcosa di magari un po’ migliore, la voglia di mettersi in gioco, in prima linea – che si tratti di cannonate o di cariche della polizia – è umanamente comprensibile, se non condivisibile.
Guai a coloro che vogliono far metter radici
ai loro cuori, ai loro piedi, alle loro case,
con un’avara speranza d’eternità!
Non costruire, si deve, ma accamparsi.
Non ho io forse la forma d’una tenda
la cui cima troncata dà fiato alle mie collere?
Io amo solo gli astri, snelli equilibristi
che stanno ritti sulle sfere rotolanti
dei miei fumi giocolieri!…
l’Italia di allora.
Già.
Ehm.
«L’Aeroplano del Papa» è scaricabile aggràtis da Project Gutenberg.
***
(1) Non è il solo caso. Lo sapevate che Garibaldi, padre della patria, la pensava più o meno allo stesso modo?
(2) Tratto da qui.
(3) «Socialismo e fascismo. L’Ordine Nuovo (1921-1922)», Einaudi, Torino 1966 – da Wikipedia.
(4) Per altri esempi di grammatica futurista: Le Aeronavi dei Savoia e la Società dei Lungimiranti.
(5) Sempre Gramsci. Tratto da «Futurismo», di C. Tisdall e A. Bozzola, Rusconi, 1988.
(6) «Mechanicum», di G. MacNeill. Un romanzo tecnofantasy decisamente intrigante. Per chi apprezza il Warhammer 40,000. Gli altri stiano alla larga.
(7) Chissà perchè l’idea di Marinetti che va in battaglia pedalando, beh, pare quasi ovvia. Per altri usi militari della bicicletta nella Grande Guerra, vedere qui.
(8 – ehm) Fra parentesi, il mitico Nanni Svampa ha scritto una piccola spassosa canzone intitolata «L’Aereo del Papa». Non c’entra nulla col Marinetti, ma col primo viaggio in aereo di un pontefice, Paolo VI, negli anni ’60, e con le preghiere di una beghina terrorizzata da un possibile disastro aereo (Youtube). Così, per dire.
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Ufficio Reclami
Pasturando nelle Caverne del Sole – ep. 16: Cosmica cosmica Sakura
«Chi non vive, scrive»
Così diceva, in tempi non sospetti, la mia prof di lettere, persona quantomai degna di lode; e a questa massima se ne accompagna un’altra: «Meglio un giorno da leoni che cent’anni da pecora e meglio tutt’e due che un mese da paguro». Ma non preoccupatevi, non state per leggere il solito discorso – che prima o poi si legge in ogni blog – sul fatto che ci ho un sacco di cose da fare, cose perlopiù noiose & ingrate, e quindi non ho tempo per scrivere minchiate per il sito. Perchè il tempo per le minchiate si trova sempre. Così come il tempo per leggere. Per esempio:
Chi è morto alzi la mano, di Fred Vargas
Di che si tratta. Una tizia guarda fuori dalla finestra e vede che nel suo giardino c’è un albero che la sera prima non c’era. Un albero, con tronco, rami, foglie e radici. Il marito non sembra colpito dalla cosa, ma la signora sospetta che ci sia qualcosa sotto. Sotto l’albero, dico: tipo un cadavere. Così chiede aiuto ai suoi strani vicini di casa, tre giovanotti e un anziano ex poliziotto che abitano in una casa di quattro piani, un piano per uno, alla faccia della crisi degli alloggi. Sotto l’albero non c’è nulla, ma la signora non si tranquillizza; anzi, sparisce senza traccia. I Tre Evangelisti (i ragazzi di cui sopra – si chiamano Marc, Mathias e Lucien e quindi il vecchio malsano li soprannomina così, che simpatico, e in effetti il più grande mistero di questa storia è come mai non gli mettano le mani addosso) si sentono obbligati a indagare. Che fine ha fatto la signora? Perchè il marito sembra fregaresene? Quali ombre si nascondono nel suo passato? Chi le ha piantato un platano in giardino?
Impressioni. E’ un giallo, e io con i gialli non ho un buon rapporto. Dopo un po’ inizi a fare il conto dei personaggi perchè sai che il colpevole è sempre uno di loro, e quando i protagonisti sono quattro il gioco ne risulta assai facilitato. Tuttavia a un certo punto sembra che della scomparsa della signora non freghi più niente a nessuno e il romanzo segue le vite dei tre ragazzi, i loro studi, i loro intrallazzi e così via il che, per quanto mi riguarda, me lo ha reso molto più piacevole. Poi, di botto, succedono un sacco di cose tutte assieme e si arriva a scoprire che il colpevole è il colonnello Mustard in biblioteca col candelabro o qualcosa del genere. E soprattutto, che cosa c’entra il platano (non sono sicuro si tratti di un platano, anzi, se non ricordo male si tratta di un faggio. O di un larice). Comunque: tutto sommato una lettura divertente. I personaggi sono notevoli e uno più strambo dell’altro (i tre evangelisti, dico: Marc è un medievalista bohemien sempre vestito di nero; Mathias è un archeologo grande grosso e barbuto, e Lucien è un nerd appassionato di militaria) e le loro interazioni sono il principale interesse del libro; li vedrei bene in un film. Tra parentesi l’autrice, in quarta di copertina scrive che non le piacciono i gialli «che raccontano crimini complicatissimi che nella realtà non esistono: un delitto è sempre semplice» . Non so voi, ma l’idea che qualcuno nottetempo scavalchi l’inferriata di un giardino portandosi un platano in spalla per piantarcelo all’insaputa della proprietaria perchè così il mattino dopo eccetera – oh, beh.
***
Il Manifesto dei Cosmonisti, di Mikael Niemi
Cos’è. Una raccolta di racconti sullo spazio, la corsa allo spazio, la vita nello spazio, cosa fare nello spazio, i robot, l’universo, i marziani, la vita e le Grandi Domande. File under: «fantascienza», anche se, come «Terra!» di Stefano Benni, o certe cose di Calvino, o «La moglie dell’uomo che viaggiava nel tempo» della Niffenegger, è fantascienza scritta da gente che di solito non scrive fantascienza. E sembra strano, ma si sente (è vero, e qualunque appassionato di SF può confermarlo: chissà perchè). Ed è svedese.
Dettagli. Notevole. Alcuni tra i racconti più seri («Il Tascapane», sui ricordi della Terra che i cosmonisti si portano in viaggio) hanno un che di Bradbury; altri («Androidi», sulla diffusione degli androidi – ehm, non era difficile, in effetti – nella società umana – androidi così perfetti che non solo sono indistinguibili da un uomo, ma sono essi stessi ignari della loro androiditudine (sì, «androiditudine», perchè?)) sono degni di Lem, e così via. E poi: «Il Groviglio» descrive un universo in cui tutti i mondi sono collegati da una specie di Über-rete, e sul collasso della produzione letteraria nel momento in cui ci si rende conto che qualunque cosa uno pensi da qualche parte è già stata scritta. Oppure: «La buca della Cotica», vita e incontri del camionista spaziale, nightclub multi-specie e abitudini festaiole di alieni umanoidi o amebe giganti. Ce n’è per tutti i gusti: il mio preferito parla di Ròtolo, l’essere supremo, i cui emissari vanno in cerca di singolarità da «fecondare» per creare nuovi universi. Ovviamente il nostro è stato creato dai due più imbranati.
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Maestro del Passato, di R.A. Lafferty
Di cosa parla. La dorata Astrobia è in pericolo! Questo mondo perfetto, questo paradiso tecnologico è roso da un male oscuro, un insonne malanimo che minaccia di scardinarne le fondamenta e gettarlo nel caos e nella barbarie. Dopo averle provate tutte, i signori di Astrobia decidono di affidare il controllo di quest’utopia a un uomo onesto, e la scelta cade proprio sull’inventore della parola “Utopia”: Thomas More (1478 – 1535). Così mandano un pilota attraverso lo spazio e il tempo fino alla Londra del XVI secolo, e l’autore della Responsio ad Lutherium si trova catapultato in un mondo sconosciuto, in compagnia di un negromante, un rinnegato, una bambina demonio, un cyborg e una foca gigante telepatica, per affrontare mille avventure il cui senso per la verità mi sfugge.
Eh? Questo è uno di quei romanzi in cui la trama è un optional. E’ un romanzo folle, scritto probabilmente quando l’LSD andava più di moda di adesso; un romanzo barocco e visionario, con scene che sembrano scritte apposta per il palcoscenico e dialoghi da declamare con enfasi eccessiva e ampi gesti scomposti. Poi magari ha anche un senso, chissà; resta comunque un libro assai curioso, sempre pericolosamente vicino al Confine delle Minchiate, e da leggere con l’umore giusto, senno’ dopo tre pagine lo butti dalla finestra.
Peter Proctor era una volpe e correva a quattro zampe su una sottile crosta vulcanica sotto la quale si spalancava un abisso. Thomas fu bruscamente preso dal terrore alla vista di quel vuoto sotto la crosta, e delle fiamme guizzanti che erano soltanto una delle orrende caratteristiche di quel vuoto. A quale profondità giungeva il baratro sotto la crosta? Thomas guardò: l’abisso era eterno, senza fondo. S’intravedevano le stelle laggiù, a una distanza immensa, ma c’era qualcosa di strano in quelle stelle. Erano in qualche modo distorte, e così la loro luce. Ma Peter la Volpe non aveva paura di quelle profondità abissali, neppure quando enormi frammenti della crosta vulcanica si sfaldarono sotto i suoi piedi, precipitando nell’eternità sottostante. «Laggiù sono a casa mia» disse la volpe. «Che la crosta precipiti pure là dentro, che si spezzi e si frantumi, e che tutti gli esseri che vi abitano precipitino anch’essi fra le fiamme. Io dò il benvenuto al vuoto dell’abisso, al vuoto fondamentale. Nacqui per esso, e trascinerei l’intero universo dentro di esso, se soltanto quegli sciocchi confusionari che cercano di sostenere la crosta la smettessero una buona volta. Le fiamme che guizzano nel vuoto sono la mia casa. Niente può nuocere a una volpe dalla coda di amianto.»
E allora Thomas si accorse che Peter la Volpe aveva davvero la coda d’amianto.
(Sì, c’è scritto “foca gigante telepatica”.)
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Pasturando nelle Caverne del Sole – ep. 15: Nino, il Guerriero del Cosmo
Il Calendario di Frate Cazzaro – Novembre 2010
La Squadra Cazzate è fiera di presentare:
Le Fiabe Impopolari del Fungo Sospetto! Frammenti di tradizioni quasi scomparse (e ci sarà un perchè), frattaglie di saggezza contadina e sub-urbana, le fiabe non sono, come molti pensano, semplici sciocchezze per tener buoni gli allocchi, ma contengono profondi insegnamenti cui un giorno potrete rivolgervi con gratitudine nel caso vi trovaste aggrediti da un coguaro o da un leucrotta o sperduti in cu… ehm, ci siamo capiti. Ma basta chiacchiere! La parola al Fungo Sospetto! |
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Non indugiate oltre! Correte a comprare questo fantasmagorico libro pieno di azione, romanticismo e cazzate!
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Frate cazzaro e il codice binario
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00011001110110100101110101011011100111010001101111
(per tradurre clicca qui)
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Pasturando nelle Caverne del Sole: ep. 14: Hidingly – fuga fatale in frigo
La Striscia Proletaria – ep. 99
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