“Ai vostri occhi appaio troppo miserabile. Voi non sapete che al mondo non c’è nessuno più felice di me.”
Per chi pensasse che la storia del giovane maghetto alla scuola di magia fosse un’invenzione recente, eccone un esempio risalente al Tibet del 12° secolo. In realtà, se vogliamo essere pignoli, è solo in parte una storia di magia. E’ la storia di Milarepa, Mila Buona-Novella, che fu il più grande mago e poeta del Tibet – prima di abbandonare ogni cosa e diventare un eremita. Il giovane Mila è figlio di un uomo ricco e rispettato da tutti, Trofeo-di-Saggezza; vive in una grande casa con i genitori e la sorella. Ma quando il padre muore, tutto cambia: i perfidi parenti, con la scusa di amministrare i beni per conto della vedova e dei figli, li riducono in miseria. La madre di Mila, allora, convince il figlio a cercare un maestro che gli insegni la magia: per potersi assicurare un futuro migliore, certo, ma soprattutto per vendicarsi. E così il giovane Mila si dedica alla magia: il suo maestro, dal nome poco rassicurante di Vincitore-Irritato-che-insegna-il-Male, gli spiega come piegare i demoni e gli spiriti delle tempeste al suo volere; e, quando Mila pronuncia questi incantesimi, la sua vendetta si abbatte sul villaggio. Dozzine di demoni gli presentano le teste mozzate dei suoi parenti, mentre gli spiriti della grandine sterminano il bestiame e distruggono i raccolti. Ecco la vendetta che la madre di Mila tanto desiderava: ma ne valeva la pena? Il ragazzo scopre ben presto di non poter sopportare il rimorso: decide di farsi eremita. Inizia ora la vera avventura di Mila: alla scuola del collerico monaco Marpa, il Traduttore, Mila deve superare prove durissime e ogni sorta di umiliazioni, per apprendere “la disciplina terribile della meditazione”. E con la meditazione giunge la conoscenza; e con la conoscenza la liberazione dal fardello della colpa – e poi la felicità. Ora, al di là del folklore locale – la cultura tibetana è lontanissima dalla nostra, e molte usanze, modi di dire e di pensare ci possono sembrare a dir poco insoliti – al di là del tema fin troppo già sentito della vendetta contro i perfidi parenti, e dell’espozione a volte un po’ contorta delle dottrine buddiste, forse il tema principale di questa bellissima leggenda è proprio la ricerca della felicità. In questo si mostra tutta la sua distanza dal nostro mondo: Milarepa trova la felicità seduto in una grotta, vestito di stracci, coperto di piaghe e di parassiti. Come è possibile? Mah, forse, semplicemente, dopo un po’ gli è partito il cervello. O forse c’è davvero qualcosa dentro di noi, chiamatelo anima, chiamatelo assoluto, chiamatela la Forza, cui appigliarsi per dare un senso alla nostra vita – oh, beh, vedete un po’ voi, non voglio cadere nella retorica e nel volemose bbene new age che va tanto di moda adesso. Comunque sia, leggere questo libro è come quando finisce un temporale e le nuvole nere si diradano e lasciano vedere, oltre, il cielo azzurro e il sole. E il “canto dell’eremita a cavallo” udito il quale i predoni delle montagne diventano discepoli di Milarepa, lasciatemelo dire, è davvero una delle cose più belle che abbia mai letto. Peace and Love.
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