Mason & Dixon

dixonCome tutta l’Istoria Umana dovrebbe confluire in un’Opera di Stile Italiano, tuttavia, la loro Vicenda dovrebbe poter procedere in una direzione più augurata.

Mason & Dixon è uno di quei libroni giganteschi, la cui lettura è una specie di spedizione archeologica da affrontare con cospicue risorse: cammelli, portatori, guide, bussole e sestanti, perchè altrimenti ci si perde ben presto e si torna a casa scornati. Per quelli che invece resistono, si rivela un viaggio avventuroso e spettacolare, di quelli che poi si raccontano davanti a una birra, agli amici – i quali di solito non fanno neanche finta di essere interessati, ma tant’è – con grande dispiego di superlativi. In effetti la lettura di un simile monolito di sapienza è un’impresa non da poco, per la vastità (ci fa girare tutto il mondo, da un capo all’altro, e passano decenni tra l’inizio e la fine), per la complessità, per i continui rimandi e citazioni (che sono dopotutto l’anima del postmoderno – quando si parla di Pynchon bisogna infilarci almeno una volta il termine: postmoderno) e per il linguaggio.

Tipo l’inizio: Palle-di-Neve han disegnato i loro Archi Volanti, costellando i Fianchi dei Capanni non meno di quelli dei Cugini, involando Copricapi nel Vento Frizzante soffiante dal Delaware: le Slitte son sospinte al coperto e i loro Pattini asciugati e ingrassati con cura, le scarpe deposte nel Vestibolo sul retro, una Calata con le calze ai piedi sulla grande Cucina in finalizzato Fermento fin dal Mattino […] e i Fanciulli, quasi sempre di Volo, tra gli Schiaffi ritmati di Cucchiaio con Pastella, avendo ghermito per blandizie o rapina quanto loro possibile, proseguono, come ogni pomeriggio di questo nevoso Avvento, verso una Stanza accogliente sul dietro della Casa, arresa da anni ormai ai loro spensierati Assalti.

Chi erano Mason e Dixon? Il malinconico e riflessivo Charles Mason, e il chiassoso e ben più pratico Jeremiah Dixon, astronomo uno, cartografo l’altro, accomunati, dice la prefazione, “oltre che dalla tendenza a bere più del necessario, dalla fede assoluta nella Ragione”; a loro si deve la linea che separa il Maryland dalla Pennsylvania, uno di quei confini assolutamente artificiali, rettilinei e perfetti e del tutto fuori posto tra montagne e foreste: l’emblema stesso della volontà di mettere ordine a un mondo che di ordine non vuol proprio saperne. E prima o poi un pensiero del genere sovviene anche a M&D, qualcosa del tipo: “Ma noi, tutto questo, ha senso farlo?”. La risposta è probabilmente no, ma un tentativo, da bravi illuministi, bisogna farlo lo stesso. Tuttavia questo è un romanzo di Pynchon e quindi è una faccenda labirintica, immensa (i libri di Pynchon sono immensi per definizione – anche L’Incanto del Lotto 49, che come numero di pagine poteva sembrare una passeggiata), e in un certo senso, sfuggente. Prima di tutto per il linguaggio: una fantastica ricostruzione dell’inglese settecentesco, con tutte quelle maiuscole (“… a causa di un certo Sovrappiù Corporale accumulato a Città del Capo la discesa di Mason è di quando in quando messa in forse…“) – e poi per la caratteristica tipica dei romanzi pynchoneschi, il continuo rimescolarsi di realtà e finzione, di verità e cazzate, di piani narrativi differenti che si aggrovigliano man mano fino a non capirci più nulla. La storia ci viene raccontata dal Reverendo Cherrycoke, rubicondo cialtrone, che compare anche come personaggio del suo stesso racconto – e che, a un certo punto non si può non notare – sa anche parecchie cose di cui solo un Autore Onnisciente potrebbe essere a conoscenza, il che non fa, alla fin fine, che confermare quanto dicevamo sopra. Alla sua storia mescola elementi di altri libri, di altre storie che capitano tra le mani dei suoi attenti ascoltatori, e il suo tono, come le vicende dei nostri eroi, variano a seconda di chi è presente: storie di indiani e di avventure per le orecchie dei piccoli Plinio e Pitt, toni più maliziosi e a volte piccanti per la loro sorella maggiore, l’affascinante Tenebrae. E più si procede nella lettura, più si capiscono le perplessità dei due protagonisti, la cui lenta amicizia diventa uno dei pochi punti fermi in un mondo che tutto è tranne che semplice; e sul nostro palcoscenico si accalcano scienziati, cani parlanti, selvaggi, misteriosi cinesi e diabolici gesuiti, marinai guerci, eremiti, automi, politici, lupi mannari, e si parla di improbabili alieni, di Terra Cava, di marchingegni incredibili, di carrozze più grandi all’interno che all’esterno, di macchine del moto perpetuo, del Transito di Venere, e di altre Svariate Meraviglie che non stiamo a elencare. C’è un modo sicuro per non perdersi, e per apprezzare al meglio quest’ intricatissima opera, ed è racchiuso nell’incipit: perchè questo è un romanzo da leggere come una specie di torrenziale fiaba natalizia, con gli occhi pallati e la sete di avventure e di sorprese di un bambino, che magari non ne sa nulla delle istanze del romanzo moderno e postmoderno, ma sa riconoscere una gran bella storia quando ne trova una.


Condividi questa opera dell'ingegno umano!
facebooktwittergoogle_plusredditpinterestlinkedinmail



Una profonda riflessione su “Mason & Dixon

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato.

Sito

This blog is kept spam free by WP-SpamFree.