«Noi cuciniamo i tuoi pasti, togliamo la tua immondizia, colleghiamo le tue telefonate, guidiamo le tue ambulanze, ti sorvegliamo mentre stai dormendo. Non fare lo stronzo con noi.» – Tyler Durden
«Timeo Graecos et Dona Ferentes», diceva quello là, e anche se in fin dei conti non c’entra un cavolo, ci sembrava giusto iniziare con una botta di cultura del tutto fuori luogo. Anzi, ripensandoci, c’entra più di quel che sembra. Comunque sia: abbiamo sempre nutrito una certa diffidenza nei confronti dei cosiddetti “libri da metropolitana”, quei best sellers di solito di grosse dimensioni che per un certo periodo affollano senza via di scampo i mezzi pubblici (nel senso che qualunque mezzo tu prenda e a qualunque ora c’è almeno una persona che lo sta leggendo) e poi spariscono: tipo Faletti, per intenderci, il Codice da Vinci, i vari Grisham e compagnia bella, e questo Riccio francese. E’ vero che da parte nostra c’è sempre un certo snobismo, e il motto confuciano “solo andando controcorrente ci si può alzare in volo” – frase fatta apposta per i Baci Perugina – impiega poco a diventare “se piace agli altri allora lo schifo e ascolto Burzum”; però di solito ci si azzecca.
Comunque sia, abbiamo per una volta infranto i nostri ferrei principi, e ci siamo letti questo Riccio, incuriositi dall’idea di fondo e attirati dall’esiguo numero di pagine.
Ehm.
E’ un libro che si legge di un fiato, per carità, anche scritto bene; cultura ce n’è a badilate, a secchi, a carriolate; il problema sta nel finale. Ecco, è quel genere di libro che letteralmente si divora, dicendo a ogni pagina «Però, bello»; «Ma quante ne sa!»; «Ma sembra scritto apposta per me!»; «Questa tizia è un genio» – e poi arriva un finale di quelli che strappano un unico commento: «Ma che cazz- ?» Al che riponi il libro, sconsolato, e mediti sui casi della vita, e sugli episodi felici della tua infanzia, e giungi alla conclusione che, in tutta probabilità, ti hanno preso per il c*lo.
La storia la sapete, almeno a grandi linee: Reneé, cinquantaquattrenne, grassa, brutta e scontrosa, lavora come portinaia in uno stabile di individui che sono contemporaneamente ricchi, ignoranti, snob e francesi (il solo pensiero fa venir la pelle d’oca). Reneé, invece, ha una cultura enciclopedica e una sensibilità da elfo dei boschi, ma tiene tutto nascosto per paura di – ecco, il punto è tutto qui. Ma con calma, poi ci arriviamo. La seconda protagonista è la piccola Paloma, undicenne figlia di uno dei suddetti inquilini, dotata di un QI di 240 o giù di lì, sgamata come Sberla dell’A-Team e dotata anch’essa di una profonda sensibilità zen. Il romanzo è narrato da queste due voci, che commentano le vicende del condominio e i casi della vita con grande sfoggio di erudizione e di sensibilità (si, sensibilità). Molti commentatori, esegeti e recensori puntano il dito sulla fondamentale inverosimiglianza dei due narratori – e in effetti, come dar loro torto?; soprattutto la piccola Paloma, perchè non si capisce in fin dei conti come una bambina che cresce in una famiglia di imbecilli e frequenta una scuola di imbecilli non finisca per diventare – ci siamo capiti. E si potrebbe anche discutere su quello che nel libro si intende per cultura: alla fin fine ascoltare Mozart e leggere Tolstoj non ci sembra questo viaggio agli estremi limiti della conoscenza umana (ma noi siamo di parte, come dicevamo prima; «Mozart? Tzè! Invece ho ascoltato l’ultimo ciddì di questa ensemble finlandese, sono in tredici, suonano le pentole ma c’è tutta una ricerca dietro, capisci» – ma dopotutto, qui si parla di fuffa). Ma il problema sta nel finale. Insomma, alla fine scopriamo perchè Reneé vive reclusa come un riccio nonostante abbia una testa e un cuore d’oro: figlia di contadini, aveva una sorella graziosa e vivace, che lasciò la fattoria per tentare la sorte nella grande città. Tornò sedotta e abbandonata e morì poco dopo, come l’eroina di un romanzo d’appendice. Reneé trasse da questo tragico evento una lezione: non cercare di innalzarti. Se sei povero, rimarrai povero, se sei sfigato rimarrai sfigato; e se cercherai di migliorarti quelli che stanno sopra di te (senza averne alcun merito) non te la perdoneranno. Per questo Reneé conduce una doppia vita: perchè sotto sotto è convinta che se i suoi condomini scoprissero che ascolta Mozart e legge Tolstoj, gliela farebbero pagare. Ora, noi siamo personalmente convinti – sebbene qui in Italia si faccia di tutto per dimostrare il contrario – che una simile visione del mondo sia sbagliata. Che te la facciano pagare, non ci sono dubbi; che ci si faccia dei nemici, pure; ma non per questo uno deve vivere come un riccio: almeno provaci. E infatti Reneé stringe un’improbabile amicizia con un inquilino, il signor Ozu, giapponese, persona colta, intelligente, ricca da non crederci e molto, molto zen. Ozu-san, con poche sagge parole, la convince a uscire dal suo guscio, ad aprirsi al mondo e alla vita; e l’amicizia diventa tenerezza, e la tenerezza forse potrebbe –PPÉM!- Reneé va sotto una macchina e muore.
E tu dici: ma perchè? D’accordo: il lieto fine mal si addica allo scrittore impegnato; d’accordo: con il lieto fine avrebbero detto è una favoletta; d’accordo, bisogna cogliere il momento zen – l’intersezione del momento senza tempo – perchè la vita è fugace eccetera. Oppure aveva ragione Reneé, e il succo di questa storia, questa storia letta da milioni di impiegati, segretarie, precari e portinaie, è proprio questo: Stai Al Tuo Posto.
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Sono Laura del Roman de Renart, grazie per il post solidale di quest’oggi.
Speriamo veramente che la pianti di piovere…
Aiuterebbe l’umore…
Un saluto!
Laura
…del resto Dario Argento conclude tutto con un incendio.. e anche Avati: non ti sei arrabbiato sull’Arcano Incantatore?? e “la casa dalle finestre che ridono”?
… beh, dario argento è un po’ un visionario, quindi non è che mi stupisco molto, neanche se arrivano i marziani o godzilla; e la casa d.f.c.r. è un ‘orror, dove il protagonista si impiccia in un sacco di cose brutte e ammazzamenti e fattacci, e quindi se finisce come finisce uno un po’ se lo aspetta – per dire, se il diario di bridget jones finisse come la casa d.f.c.r. uno si che ci resterebbe spiazzato. Ma in questo libro non è tanto il fatto in sè – la morte della protagonista – che mi ha infastidito, quanto il fatto che sia stato così gratuito, della serie “e mo’ come lo finisco?”; e poi, appunto, il fatto che stridesse così tanto con quello che sembrava essere il messaggio del libro… pensa se forrest gump avesse un finale così: lui che si impegna, vuole realizzare il suo sogno, corre, corre -PEM!- va sotto un camion e muore. Mah.
Cito: pensa se forrest gump avesse un finale così: lui che si impegna, vuole realizzare il suo sogno, corre, corre -PEM!- va sotto un camion e muore. Mah.
commento:
MA SIIII!!!!! MA VIENI!!!!!!!
@ Synthetic King: In effetti, messa così non è neanche male…
Ma cavolo!
Ma se è tutto nel finale!
Possibile che nessuno di voi abbia capito che si tratta di un gioco letterario?
Rintintinsky avrebbe capito subito!
Dai dai che vi aiuto
Chi è lo scrittore che muore per davvero in quella via sotto il furgoncino delle tintoria?
eddai…