Beh, direi che con un titolo così si va abbastanza sul sicuro. Quando ho visto questo libro su uno scaffale alla Fnac ho pensato si trattasse di qualcosa tipo “il Signore della Svastica“, non so se avete presente, un libro che si immagina scritto da un personaggio famoso se non avesse fatto quello che in realtà ha fatto. Insomma, per evitare di complicare ulteriormente le cose, non pensavo si trattasse di un libro scritto da Garibaldi. Invece si. Proprio l’eroe dei due mondi. Nel mio già affollatissimo pantheon personale l’unico Garibaldi presente era, finora, il Michael capo della Sicurezza su Babylon 5. Del Giuseppe nazionale, invece, sapevo ben poco – colpa dei miei studi, ahimè – e di certo non immaginavo fosse un mangiapreti di questo calibro. Comunque sia, abbiamo qui un bel feuilleton come si usava una volta, con eroi belli e impavidi, eroine belle e perseguitate (ma che menano le mani pure loro quand’è il caso – il che la dice lunga, credo, sui gusti del Garibaldi in fatto di donne), cattivi perfidi e ripugnanti – oppure cattivi dotati di onore e orgoglio che appena possono passano coi buoni, e così via; e poi inseguimenti, duelli, sotterranei, fughe in mare, foreste di notte, rapimenti, altri duelli, sparatorie, assalti alla baionetta. Insomma ci siamo capiti. Ora, parliamoci chiaro, non è che Garibaldi sia passato alla storia per le sue doti di scrittore – e lui è il primo ad ammetterlo, perchè se non fosse per “…svelare i vizi e le nefandezze del pretismo, io non avrei tediato il pubblico nel secolo in cui scrivono romanzi i Manzoni, i Guerrazzi ed i Victor Hugo” – cosa che gli fa onore, penso. Ma il bello di questo libro, almeno per me, sta proprio nell’immagine di Garibaldi che emerge tra le righe (compare anche come personaggio, ma in una luce quasi mitica, col nome – a meno che non mi sia sbagliato di grosso – di “il Solitario”, mentre vaga per l’Italia in guerra a mo’ di Gandalf per sollevare le popolazioni contro lo Stato Pontificio): perchè quando parla di tempeste e naufragi, sai che li ha vissuti in prima persona, così come le battaglie e gli scontri all’arma bianca – ma anche la caccia al cinghiale, o semplicemente una notte all’addiaccio nei boschi. Dà un po’ l’impressione di un nonno un po’ matto che racconta una storia ai nipoti, mettendo qua e là qualche riflessione personale – come quando afferma di essere tentato di convertirsi al vegetarianesimo, perchè da giovane fu un gran cacciatore, ma ora non può vedere un uccellino ferito senza commuoversi; una storia con una morale, beninteso, che è “madonna quanto odio i preti”. Non si tratta di un larvato anticlericalismo, o di una sottile satira sul potere temporale della Chiesa, o di una velata critica all’ipocrisia di certi signori che predicano la povertà finchè è altrui; no, a Garibaldi i preti, le suore, i cardinali, i vescovi, il Papa, stavano proprio sui co*lioni. E ci tiene a farcelo sapere – basta aprire una pagina a caso: “iene in gonnella”, “ermafroditi”, “negromanti”, “… il prete impostore, deridendo la credulità degli stupidi, è naturalmente propenso a satollare tanto il ventre quanto la lussuria…”, oppure, e concludo, “… dacchè vi furono preti nel mondo, vi furono torture. Volendo costoro mantenere tutti gli uomini nell’ignoranza, quando emergeva qualcuno che avesse ricevuto da Dio tanta intelligenza da capire le loro menzogne, quell’intelligente era da questi demoni torturato, acciò confessasse che la luce era tenebra, che l’eterno, l’infinito, l’onnipotente era un vecchio dalla barba bianca seduto sulle nubi; che una donna, madre di un bellissimo maschio, era vergine, e che un pezzetto di pasta che voi inghiottivate era il creatore dei mondi, che vi passava per le vie digestive, e poi?”. Già. Ma per fortuna erano altri tempi. O no?
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Una profonda riflessione su “Il Governo dei Preti – Romanzo storico sui vizi e le nefandezze del pretismo.”