Come ben sa chi mi conosce, posso resistere a tutto tranne che alle cazzate; così, vedere questo “Cervello Onnipotente”, Pietro Ondoli, 1955, su una bancherella di libri usati, leggere in quarta di copertina “una teoria di vicende drammatiche, destinate ad agganciare l’attenzione del lettore, fanno da intermezzo e contorno a un pensiero più profondo: l’impostazione di una risoluzione di tipo inedito atta a incrementare le possibilità della conoscenza umana con l’utilizzo di un cervello artificiale meccanico dotato di grandi facoltà pensanti” – qualunque cosa ciò voglia dire – portarmelo a casa e leggerlo è stato un tutt’uno (che bella frase, eh?). Si tratta di un romanzo particolarmente contorto, caotico e inconcludente, come se fosse stato scritto da due persone differenti ognuna all’insaputa dell’altra: un ibrido, per metà spy-story, non so se avete presente quei bei film di spionaggio italiani degli anni ’60, quelle cose tipo “vorremmo essere James Bond ma non ci abbiamo una lira” – ecco, una cosa del genere, e per metà fantascienza, fantascienza seria, dico, mica chiacchiere, con una solida base scientifica (quel genere di fantascienza, insomma, che cerca di dare risposte alle grandi questioni insolute della scienza, e cerca anche di porre nuove domande. In questo caso, la domanda chiave è “ma perchè?”). Il che rende particolarmente difficile descriverne la trama, perchè si perde continuamente, saltando da una città futuristica ai peggiori bar di Caracas, dalla Casa Bianca allo spazio siderale. A questo punto l’abile recensore (?) si trova di fronte a un dilemma: seguire la trama, specie quando è complessa (o semplicemente stupida) o dare un’idea generale? Anche perchè questo libro è una vera miniera di… non vorrei dire cazzate ma non trovo altri sinonimi. Perchè qui abbiamo un supercomputer, ma proprio super, il Cervello Onnipotente, una sfera pensante di un miglio di diametro che lo scienziato Marcus (niente cognome) ha costruito in un cratere vulcanico in Arizona, anzi, nell’Arizona, come si diceva negli anni ’50, utilizzando materiali bizzarri e sconosciuti, come il sironio, l’arton, e il micidiale meteor, metallo ultra pesante che conferisce alla sfera una massa pari a un terzo di quella della Terra (ma perchè?).Per giungere a tutto questo, Marcus ha costruito la splendida città di Saturnia, attorno al cratere: un paradiso terrestre dove tiene prigionieri scienziati e tecnici rapiti in ogni parte del mondo. In realtà non sono poi così scontenti, visto che Marcus li ha resi immortali con misteriosi procedimenti scientifici rivelati dal Cervello; e quindi vivono felici, praticano il libero ammore, volano nel cielo con veicoli chiamati fruss (giuro) e sono serviti e accuditi da negri in livrea (già) e animali parlanti (animali, dico, tipo scimmie, cani, cavalli, foche e rinoceronti – che parlano la loro lingua, della quale nessuno capisce un’ostia, beninteso. Ditemi voi…). I quali animali parlanti a un certo punto si ribellano, guidati dal possente gorilla Aton (non fate domande) – e mettono a ferro e fuoco la città: a nulla serve l’intervento di una coraggiosa fanciulla, la figlia di uno degli scienziati, la quale percorre le vie della città in fiamme su una jeep chiamando il possente Aton con un megafono, con le seguenti parole (cito testualmente): Aton! Uillà! Và! Ullallà! E non aggiungo altro. La coraggiosa fanciulla scompare poi dalla trama del romanzo e di lei più nulla sappiamo. Questa è una caratteristica che accomuna molti personaggi (ce n’è un esercito), in questa storia: arrivano, dicono due o tre cazzate e scompaiono. Peccato, perchè sono personaggi spesso coloriti e pittoreschi, come Arrigo, il Gobbo di Mendoza, spietato killer internazionale al soldo della CIA, che ci delizia per un intero capitolo arrampicandosi sugli alberi e poi se ne va. Perchè? Tutti questi agenti segreti vanno, vengono, si fanno i fatti loro, comprano isole nel Golfo Persico, si raccontano l’un l’altro le vicende di altri agenti segreti con nomi inverosimili tipo “la negra Morrison detta la Pupa”, o i diabolici Ciang-Fi e Koto-Mutai – e nessuno degna di attenzione il povero Marcus e il suo Cervello Onnipotente, che ha deciso nel frattempo di abbandonare la Terra per gettarsi nello spazio, verso un misterioso “cielo rosa aulente” dove, ci comunica, “i mondi corrono fantasticamente verso l’immane e impetuoso vortice che circonda la stabile e immutabile immensità dove il monopòlo impera!” – e in effetti, chi potrebbe dargli torto? Sta di fatto che mandare in orbita un coso così enorme potrebbe distruggere un quarto delle terre emerse del globo; e finalmente, a questo punto, la CIA decide di indagare e invia una coppia di agenti, Sergio Ostrowsky e Cecilia Robins, nella città di Saturnia. Lei si innamora di Marcus, e lui poi svanisce per andare a indagare su non so quali loschi piani del Giappone e ci rimane pure stecchito. Chi potrà fermare il Cervello Onnipotente? Nessuno. Nel penultimo capitolo, infatti, il sagace artefatto decolla. La Terra viene distrutta da cataclismi, alluvioni, terremoti, tsunami e piogge di lapilli e sparata fuori dell’orbita per perdersi nel cosmo. È un bel colpo di scena, eh? Muoiono tutti, il dottor Marcus, Cecilia, il gobbo Arrigo e tutti quanti. E il Cervello? C’è ancora un ultimo capitolo, nel quale l’autore, Pietro Ondoli, raggiunge delle vette di delirio lisergico veramente lodevoli. Il Cervello Onnipotente, per un trilione di anni, viaggia qua e là nel cosmo, incontrando ogni sorta di bizzarrie: pianeti cubici, energie sconosciute, flotte di astronavi ostili, “frotte isolate di mondi in trasformazione, con le superfici ricoperte da liquidi in cui galleggiavano masse animate, pullulanti ovunque in grande agitazione”; “stelle che nascevano occupando immensi spazi-tempo” – fino a giungere al Cielo Rosa di cui sopra, dove, ahinoi, “la intensissima spietata luce rosa implacabilmente disorganizzava ogni cosa”… e così “il Cervello Onnipotente, astro artificiale sapiente, ebbe la sua fine”.
No, dico, wow.
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