Arrivare alla fine di questo romanzo è un’impresa improba. Per tre motivi: innanzitutto perchè la storia che racconta non è scritta in maniera lineare, ma salta continuamente avanti e indietro nel tempo, seguendo un filo sottile e, a volte, del tutto invisibile. Il secondo motivo è la pesantezza di questa storia: sia nel senso di mole (è un librone), sia per l’atmosfera greve e, direi, putrida, che la pervade. E’ la storia di un ufficiale delle SS che, al termine della guerra, ripara clandestinamente in Sudamerica, con i suoi assistenti e complici e con una montagna di soldi. Il Gruppenführer SS Siegfried Taudlitz, ben lungi dal considerare il crollo del nazismo come una sconfitta, coglie anzi l’occasione per realizzare il sogno della sua vita: essere il Re di Francia. Un re in esilio, ovviamente, la cui corte, ribattezzata Parisia, si trova nel folto della foresta, in mezzo alle rovine degli aztechi. Taudlitz è matto, ovviamente, matto come un cavallo: ma la sua incredibile idea si realizza, grazie al suo carisma e al potere del denaro, e ben presto, attorno e sopra ai resti degli edifici aztechi sorge una piccola, demenziale città, abitata da indios in costumi settecenteschi e in cui si parla un miscuglio di tedesco e spagnolo. Come è possibile che un’idea tanto assurda, una finzione così inverosimile, resti in piedi? Intanto per l’autorità di Taudlitz, che è sempre stato abituato a comandare, e che regge i cordoni della borsa, come si suol dire; poi perchè i suoi sgherri vedono in questa mascherata null’altro che un modo per continuare a fare ciò che facevano in Germania: spadroneggiare, torturare, uccidere, senza temere alcun castigo o condanna; che siano indios o ebrei poco importa. Ma, mentre all’inizio ridono alle spalle del loro supposto sovrano, col passare del tempo si ritrovano prigionieri della trama che Taudlitz ha tessuto, paziente come un ragno: perchè si rendono conto che al di fuori di Parisia non c’è nulla per loro, non c’è un luogo che li possa accogliere, nè una vita a cui possano tornare. Così inizia un gioco al massacro in cui tutti fanno a gara per essere “più realisti del re”, per accaparrarsi i suoi favori, in una grottesca parodia della corte di Versailles (di cui, sia detto, nessuno di loro conosce più di quanto abbiano letto nei Tre Moschettieri), dove, dietro una patina di sfarzo si riconoscono benissimo il terrore e la morte. In questo scenario da incubo fa il suo ingresso il giovane Bertrand, nipote del sovrano. Bertrand, cameriere in un hotel di Amburgo, viene contattato da un certo signor Wieland (Duca de Rohan a Parisia, e medico delle Waffen SS a Mauthausen), che gli riferisce del ricco zio e del suo desiderio di nominarlo erede – ma tace sugli aspetti più compromettenti. E così Bertrand si ritrova, in pratica, in un manicomio nel mezzo della giungla, e purtroppo per noi, ci accorgiamo che non è per nulla adatto a questa vita: Bertrand è, in fondo, un codardo, un quacquaracquà, e, sebbene tormentato e indeciso (indeciso se fuggire, impazzire, accettare questa pantomima o denunciarla per quello che è) come un Amleto, non ne possiede la stoffa. Non vi dico come va a finire, questo esperimento sociologico; ma, dal punto di vista morale in questo romanzo non si salva nessuno. Credo sia anche per questo che Gruppenführer Luigi XVI mi ricorda certi film italiani degli anni ’70: per l’atmosfera malsana e per l’efferatezza, la crudeltà gratuita – e perchè Klaus Kinski ci starebbe benissimo. Ah, all’inizio menzionavo tre motivi per i quali è difficile leggere questo libro. Due li ho già elencati: il terzo è perfettamente spiegato nella recensione che Stanislaw Lem ne dà in Vuoto Assoluto, uno dei suoi lavori più bizzarri. Si tratta di una curiosa raccolta di recensioni: quindici libri che, come Gruppenführer Luigi XVI, non esistono.
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favoloso.
quasi meglio de “l’occhio nel triangolo”, film coi nazi-zombi subacquei.
lem rimane un geniaccio, comunque. peccato quel libro non si trovi tanto facile, mi pare. ma il pezzo è un riadattamento o viene fuori dal nulla della vostra follia?
nazi-zombi subacquei, eh? devo segnarmelo….
e il post, in pratica, è una recensione della recensione di Lem, non so se mi spiego… sta diventando contorta, eh? cioè, invece che scrivere di “Vuoto Assoluto”, ho preso uno dei suoi pseudolibri… ecco. 😉
magari mi dici dove stai e ti vengo a rubare il libro, su IBS non ce l’hanno. e se non c’è lì…
bel pezzo di review, comunque.
nazi zombi suBBaQQui è un cult ormai, tra gli amici del sottoscritto. Anche Grano Rosso Sangue comunque promette grasse risate. E non sono neanche un cultore, dell’horror.
Ti ho contattato in privato sul profilo anobii, per una cosetta. niente di sessuale, tranquillo. Sono sempre io, sotto mentite spoglie.