La Città del Re Leucrotta – Cap. I

La Morte del Baldench

Un urlo repentino, che si ripercosse lungamente, spegnendosi in una coda di imprecazioni e bestemmie, nel salone fumoso sorretto da colonne di legno dipinte a vivaci colori ormai scrostati, ricoperti di fango e sterco, fece bruscamente sussultare Vronch.
L’invidioso ministro, preposto alla sorveglianza dei Baldench, i sacri animali bianchi del re, dinanzi a cui piccoli e grandi s’inchinavano, udendo quel grido sentì un fremito corrergli per tutto il corpo, mentre la sua fronte sfuggente si imperlava di grosse stille di sudore. Con una mossa lenta, si alzò dal largo cuscino stinto e divorato dalle tarme che gli serviva da sedile, mormorando con voce semispenta:
«Ma porca di quella puttana, lo sapevo io, ci siamo. Questo grido – cosa significa? La vita o la morte? La maledizione eterna di Krustulas o la felicità? L’odio del re e del popolo, o nuovi onori e nuove grandezze? Lo so io cosa significa, cazzo e ricazzo. E Ukhurra? Cosa dirà, la mia povera nonna?»
A quel nome, un’angoscia inesprimibile alterò il viso del ministro.
«Ukhurra mi ammazza» concluse con voce schifata. E sputò.
Poi con una mossa risoluta, che denotava l’audace coboldo, il coboldo d’azione, fece alcuni passi innanzi, dirigendosi verso una porta di legno, adorna di graffiti osceni e segni d’ascia, dicendo a se stesso con voce energica:
«Vronch non deve aver paura e saprà sfidare il castigo, pur sapendosi vittima dell’odio feroce d’un nemico sconosciuto. Ma se lo becco gli rompo il culo.»
Posò la destra sulla maniglia e aperse la porta di scatto. Un altro coboldo incespicò nella stanza, curvandosi fino al suolo con profondo rispetto. Era un giovane, dal portamento infido e fiacco come quello dei suoi simili, col muso affilato, gli zigomi sporgenti, gli occhi neri e lampeggianti, le labbra sanguigne ed i denti aguzzi nerissimi per la comune usanza di masticare fango. Dal costume che indossava, una lunga e informe camicia bianca, (cioè, bianca in un lontano passato, così lontano da essere menzionato solo nelle leggende) con maniche larghissime, si riconosceva in lui un krold, ossia un paggio di corte.
«Che cazzo vuoi, Fang?» chiese il ministro, con voce acida.
«Disgrazia, mio signore,» gemette il paggio, tornando a curvarsi fino a terra. «Disgrazia, disgrazia! Anche l’ultimo Baldench muore.»
Vronch fece un gesto disperato e si strinse il muso con ambo le mani.
«Krustulas mi ha maledetto!» esclamò, aggiungendo a mezza voce, «Bastardo!»
Stette alcuni istanti immobile, ritto in mezzo all’ampia sala sudicia, osservando la polvere che danzava agli ultimi raggi di sole penetranti fra i vetri incrinati delle vaste finestre dentellate, poi si scosse dicendo con voce quasi calma:
«Parla.»
«Il Baldench ha rifiutato il suo cibo ordinario, le rape bollite e i cavoli andati a male. Perfino i topi morti ed i pasticcini di coleotteri preparati dalle principesse reali e di cui era sempre stato ghiottissimo; poi con una zoccolata ha ucciso il capo dei guardiani.»
«Ed ora?» chiese Vronch, con un sordo gemito.
«Si è coricato sulle ginocchia e bestemmia come se avesse una legione di diavoli in corpo.»
«E i suoi occhi?»
«Sono smorti e piangono. È molto incazzato.»
«È stato avvertito il re?»
«Nessuno osa.»
«Quei vili hanno paura!»
«Dicono che spetta a voi, che siete il ministro dei Baldench.»
«E quello che se la piglierà in quel posto per tutti,» disse Vronch con voce cupa, facendo un gesto eloquente.
Prese ruvidamente il paggio per un orecchio, andò a chiudere la porta, poi lo trasse verso l’opposta estremità della sala, chiedendogli a bruciapelo:
«Credi tu naturale la morte di sette sacri animali bianchi nello spazio d’un solo mese? Prima il Catoblepa. Poi l’Occhio Fluttuante; il Rugginovoro; l’Orso Gufo; il Coniglietto Fluffoso; e poi quello lì, come si chiama – » schioccò le dita, cercando di ricordare il nome del Mostro Senza Nome.
«Si, ho presente», annuì Fang. «E ora il Sacro Leucrotta. Ma perché mi fai questa domanda, mio signore?» chiese il paggio guardandolo con stupore.
«Rispondi!» gridò il ministro, torcendogli l’orecchio.
«Ahiahiahiahi, mio signore, chi avrebbe osato alzare la mano su quei sacri animali, che racchiudono nel loro corpo l’anima di Krustulas, il dio venerato da tutti i coboldi degni di questo nome? Ahia.»
«Chi?… Chi?… Ma che cazzo ne so, io. Qualcuno che ha giurato la mia perdita,» disse il ministro con voce furente. «Qualcuno che non teme la vendetta del nostro dio, pur di raggiungere il suo scopo. Tu che hai sempre dormito nel recinto degli animali sacri, hai mai notato alcunché di straordinario?»
«Mai, signore, te lo giuro.»
«Nessuno si è avvicinato a loro durante la notte?»
«Non mi parve.»
«Hai sempre assaggiato i cibi che si davano ai Baldench?»
«Sempre. Beh, quasi. Insomma… i topi morti…il guano di pipistrello…»
«Eppure qualcuno deve averli uccisi.»
«E chi?» chiese il paggio, abituato sin dall’infanzia all’adulazione più bieca e palese. «Tu non hai nemici, sei amato da tutti per la tua generosità e la tua onestà. Chi potrebbe desiderare la perdita del più valoroso generale del Fethrund, vincitore dei Goblin, degli Snotling e degli Uomini-Aragosta?»
«Che ne so io?» disse il ministro. «Oggi forse lo ignoro, ma può darsi che un giorno, se sarò ancora vivo, riesca a scoprirlo. Vivo!… La morte dell’ultimo Baldench segnerà anche la mia, se lo scopre Ukhurra.»
«Tua nonna!» esclamò il paggio con una smorfia d’orrore.
In quel momento si fece udire un lontano «Porcoddiiiiiiiiì….», che si ripercosse perfino dentro la sala.
«Sono barriti d’agonizzante,» disse Vronch piegando la fronte. «Krustulas lo chiama a sé.»
Si diresse verso la porta, che aperse impetuosamente. Uno scalone sudicio, coperto di tappeti rosicchiati dai topi, con balaustrate pericolanti, conduceva nei giardini reali, in mezzo ai quali s’alzava il padiglione destinato ai Baldench.
Il ministro, che camminava velocemente, percorse parecchi viali fiancheggiati da cactus colossali che spandevano un’ombra infida, senza badare se la sua camicia variopinta si lacerava contro le spine degli arbusti, e giunse in un vasto cortile, dove s’alzava un capannone costruito tutto in legno, sormontato da una infinità di campanili dai tetti arcuati ed irti di punte minacciose.
Una viva agitazione regnava nei dintorni del palazzo: numerosi talponi, usciti dalle loro gallerie sotterranee, col muso rasato, la testa e le ciglia pure rasate, le braccia e le gambe rasate, la schiena rasata, i piedi nudi e rasati e il corpo infagottato in tre pezze di stoffa a quadrettoni bianchi e rossi, il colore reale, si aggiravano presso le numerose ed ampie porte, discutendo a bassa voce, torcendosi gli enormi baffi impomatati.
Più lontano, degli orag e degli olag, ossia dei nobili coboldi, riconoscibili per le loro scatole di latta contenenti la loro provvista di fango speziato e pel cerchio dorato che ornava i loro berretti conici alti un metro; dei tong, ossia dei consiglieri reali; dei mandarini, degli aranci e dei poponi che avevano i fianchi cinti fino alle ginocchia di larghe fasce di seta, orlate di ricami d’oro e d’argento, chiacchieravano sommessamente, mostrando tutti dei visi scuri e preoccupati. Anche i poponi. Vedendo comparire il ministro, tutti cessarono di parlare e i loro sguardi inquieti si fissarono su di lui, come per chiedergli se avesse finalmente potuto trovare un rimedio così potente da trattenere ancora nel corpo dell’ultimo Baldench l’anima di Krustulas, che pareva ormai decisa a tornare nel Ruaugh-Uhgtrogh, il fetido, acquitrinoso paradiso o luogo di riposo eterno dei Fethrundesi.
Vronch, tutto assorto nei suoi pensieri e nelle sue angosce, pareva non essersi nemmeno accorto della presenza di tutti quei grandi dignitari, accorsi ad assistere all’agonia del Sacro Leucrotta Bianco. Egli non ascoltava d’altronde altro che le rauche bestemmie del Baldench, che gli annunciavano una imminente catastrofe. Passò in mezzo ai talponi e ai paggi della corte del Signor Leucrotta, senza rispondere ai loro profondi inchini, ed entrò nel palazzo.
In un angolo d’una sala immensa, che aveva le pareti di marmo variegato e la volta sostenuta da parecchie file di colonne di marmo, basalto, schisto e marzapane con incrostazioni d’oro, sopra un folto tappeto scintillante d’argento, stava sdraiato il Baldench. Era un colossale leucrotta (colossale dal punto di vista di un coboldo), alto quasi un metro e ottanta, con zanne acuminate, la pelle quasi biancastra, chiazzata di macchie grigie, e assai più rugosa di quella degli altri suoi simili, anzi quasi squamosa.
Era adorno come nei giorni solenni dei ricevimenti, giacché quei fortunati animali hanno i loro giorni di visita come i re e le principesse. Ricchissimi anelli d’oro massiccio, con rubini e smeraldi di valore inestimabile, gli ornavano le lunghissime orecchie; fra i due occhi aveva la mezzaluna pure d’oro massiccio con diamanti e perle, sostenente nove cerchi d’oro destinati ad allontanare i malefìci e i venditori porta a porta; appesi ai baffi, degli enormi pendenti sfolgoranti di pietre preziose, e sul dorso una magnifica mantella di seta, intessuta con oro e tempestata di zaffiri, di rubini, di quarzi e di pirofosfati.
Accanto aveva il Pungolo Regale, l’uncino di cui si serviva il suo brauusk, ossia conduttore favorito, per guidarlo, un capolavoro di ricchezza e di cattivo gusto, con cesellature meravigliose, il manico di cristallo di rocca e la punta d’oro ornata di pietre di gran valore e lucine intermittenti.
Con tutte quelle ricchezze che portava indosso e che sarebbero state più che sufficienti a rendere felice ed orgoglioso il più esigente monarca del Bal-Gurag, il Baldench non sembrava affatto contento. Doveva essere ben ammalato il Signor Leucrotta Bianco, per non apprezzare più quelle ricchezze!… E lo era davvero.
Colla gigantesca testa appoggiata su una zampa, la coda stesa al suolo come gli fosse diventata ormai troppo pesante, gemeva dolorosamente, mentre grosse lagrime gli cadevano dagli occhi. Il suo immenso corpaccio tremava tutto, il suo respiro era rauco ed affannoso e dalla sua epidermide si staccavano in gran numero delle squame, che i paggi della sua corte ed i brauusk s’affrettavano a raccogliere religiosamente ed a collocare in un’urna d’oro. «Bastardi», rantolava, «Ve la farò pagare.»
Di quando in quando, il colosso con uno sforzo sollevava la testa, spazzava il tappeto colla coda e mandava un lungo peto, che si ripercuoteva lungamente sotto le volte dell’immensa sala di marmo.
Poi un impeto di furore improvvisamente lo assaliva, e scagliava lontano a zoccolate le canne, le pastiglie e i dolci pasticcini di coleotteri che le principesse di sangue reale avevano manipolato espressamente per lui.
Vronch si avvicinò al colosso, accompagnato dal brauusk favorito, il solo che il Signor leucrotta bianco ancora rispettasse, poiché tutti gli altri dovevano tenersi lontani se non volevano finire come il capo dei guardiani, che era stato appena allora portato via, ridotto a una fisarmonica.
Il leucrotta, vedendolo, fissò su di lui uno sguardo che non era punto benevolo e alzò minacciosamente la testa, come se si preparasse a morderlo o a sputargli in un occhio. Vronch, vedendo quella mossa, diventò pallidissimo e un doloroso sospiro gli uscì dalle labbra. Gli pareva che il Signor Leucrotta Bianco lo accusasse, con quell’atto, della propria morte che ormai pareva imminente. Il brauusk favorito fu pronto a trarre indietro il ministro, temendo giustamente una nuova disgrazia.
«Sta per morire, vero?» chiese Vronch con voce semispenta.
«Non ho più speranze, mio signore,» rispose il brauusk.
«Non sono riusciti a indovinare la causa della sua malattia?»
«Nessuno capisce niente, signore. Anche mezz’ora fa è stato visitato da un medico che gode grande fama in tutta la città.»
«Che cosa ha detto?»
«Che pel Signor leucrotta bianco, ormai non vi è più rimedio.»
«Beve sempre?»
«E avidamente, come se avesse nel suo sacro corpo un fuoco che gli brucia le viscere. È sempre ubriaco.»
«Ed è il settimo che muore così,» disse Vronch, facendo un gesto di disperazione. «Quali disastri piomberanno sul nostro paese, quando anche l’ultimo Baldench sarà spirato? E non se ne trovano più!…»
«Anche gli ultimi cacciatori spediti nei dintorni del lago di Olish sono tornati a mani vuote, dichiarando che non ne esiste alcuno in quelle foreste,» disse il brauusk.
«Sventura su noi,» balbettò Vronch. «Krustulas ci abbandona, eppure i nostri talponi hanno innalzato nuovi cumuli di terriccio e raddoppiato le offerte. Perché il nostro dio è in collera con noi?»
«A me lo chiede, signore?»
«E se invece che a Krustulas queste disgrazie fossero da attribuire a una mano sacrilega?» chiese ad un tratto il ministro, che pareva fosse perseguitato da un sospetto. Il brauusk lo guardò con terrore, mentre il suo viso diventava improvvisamente smorto e un tremito scuoteva le sue membra.
«Signore, che cosa dite?» chiese con voce alterata.
«Che la morte dei sette Baldench non mi sembra naturale,» rispose Vronch. «Questo fuoco misterioso che divora le loro viscere può essere stato prodotto da un maleficio.»
«Che il re della Uruth, geloso dei nostri Baldench, li abbia fatti maledire dai suoi talponi?»
Vronch stava per rispondere «Che cazzo c’entrano i talponi», quando un barrito spaventevole, che fece accorrere precipitosamente tutti i sacerdoti, i nobili, i paggi ed i guardiani, fece tremare la sala. Il Baldench si era rizzato sulle ginocchia, agitando furiosamente la coda e le larghe orecchie. I suoi occhi mandavano fiamme e un tremito fortissimo scuoteva l’enorme corpo. Un grido sfuggì da cento bocche:
«Il Baldench muore!»
Con uno sforzo disperato il leucrotta riuscì ad alzarsi in piedi. Era spaventevole: sbavava orribilmente e pareva che fosse lì lì per scagliarsi su tutta quella gente e polverizzarla. Stette un momento così ritto, colla coda tesa, poi rovinò al suolo con fracasso orribile. Dalle fauci gli uscì un getto di sangue nero, assieme alle parole «Andate tutti a fare in culo».
«Morto!» gridarono i talponi, i paggi ed i guardiani, cadendo in ginocchio. Anche i poponi.
Il favorito del Baldench si avvicinò a Vronch, che pareva pietrificato dal terrore.
«Signore,» gli disse, mentre i suoi occhi si empivano di lagrime.
«Avvertite il re della sventura che è piombata sulla sua casa.»


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La Città del Re Leucrotta

E’ giunto fino da noi dalle tenebre del passato un romanzo di avventura e mazzate, poetico e introspettivo al tempo stesso, che con pochi semplici tocchi e uno scarno stile narrativo riesce a ricreare sotto i nostro occhi i fasti di un passato remoto e perduto. O anche no.

P.S.: se alcune parti di quest’immortale opera d’arte vi suonano familiari non siete pazzi, ma avete già letto “La città del re lebbroso” di Salgari che è liberamente disponibile qui e qui (ma non qui e neanche qui), e che abbiamo… spudoratamente plagiato? copiato? modificato in maniera artistica? irrimediabilmente storpiato? quella roba lì insomma. Ecco. Oppure siete tornati dal futuro.

La Città del Re Leucrotta – Cap. I
La Città del Re Leucrotta – Cap. II
La Città del Re Leucrotta – Cap. III
La Città del Re Leucrotta – Cap. IV
La Città del Re Leucrotta – Cap. V
La Città del Re Leucrotta – Cap. VI
La Città del Re Leucrotta – Cap. VII
La Città del Re Leucrotta – Cap. VIII
La Città del Re Leucrotta – Cap. IX
La Città del Re Leucrotta – Cap. X
La Città del Re Leucrotta – Cap. XI
La Città del Re Leucrotta – Cap. XII
La Città del Re Leucrotta – Cap. XIII
La Città del Re Leucrotta – Cap. XIV
La Città del Re Leucrotta – Cap. XV
La Città del Re Leucrotta – Cap. XVI
La Città del Re Leucrotta – Cap. XVII
La Città del Re Leucrotta – Cap. XVIII


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Il Calendario di Frate Cazzaro – Marzo 2006

0603mese Il cane di Frate Cazzaro
Ultimamente mi sentivo un po’ solo e trascurato, ma ciò non mi ha impedito di andare tutti i giorni a predicare la santa Parola del Signore a tutti i giovani debosciati, senza Dio e peccatori della città. Mi ascoltano forse? No, preferiscono passare il tempo a folleggiare, invece di pentirsi e prostrarsi e inginocchiarsi sui ceci e per questo bruceranno all’inferno per tutta l’eternità! Per cui ho deciso di rivolgere la mia parola a qualcuno che ascolta e si comporta ammodino e mi sono comprato un ciuauauauaua, sì insomma quella bestia lì che pare un topo. E l’ho chiamato Asfenazio, perché fa sempre cazzate. Ma d’altronde da una bestia senz’anima e col cervello grande come una ghianda che altro ci si può aspettare? Ecco.
0603calendario Come sopravvivere nel deserto mangiando solo sassi
Domanda interessante, che più volte si è affacciata alla nostra mente. Come? Semplice, non si può. Si schiatta. Morti. Deceduti. Kaput. E con lo stomaco pieno di pietre (un bel dilemma per gli archeologi del futuro).

La mamma della Blatta Parlante
le voleva molto bene, anche se era uno schifoso scarrafone. Ma questo non le impediva di romperle le scatole perché mettesse a posto la sua camera, si tagliasse i capelli e si trovasse finalmente un lavoro decente, invece di stare sempre in giro a gozzovigliare.
E il papà? Nessuno lo sa. E’ avvolto nel mistero. E anche da un discreto numero di strati di cellophan. Ma siccome è sempre stato una brava blatta, non ce la sentiamo di criticarlo.

Quacquaracquà di cazzate
E i leopardi sorgeranno dagli abissi e la loro ira si abbatterà su tutti gli abitanti del possente mondo di Venere, che verranno ridotti a coriandoli e usati per decorare le torte.

 

0603semina

Clonazione fai-da-te
Vi sentite soli? Volete finalmente parlare con qualcuno che vi capisca e che non dica sempre cazzate? La clonazione è la risposta che fa per voi! Tagliatevi un braccio e mettetelo in una coltura idroponica (basterà la vasca da bagno colma di acqua e mascarpone). Aspettate con fiducia e nel giro di pochi giorni il vostro gemello malvagio sorgerà dalla vasca per conquistare il mondo!

Il Santo del mese.

S. Wonko l’Equilibrato: così detto per la sua capacità di mantenere il controllo anche di fronte a un opossum. E’ più generalmente ricordato per aver raso al suolo Minneapolis con le sue schiere di automi benedetti personalmente da Papa Crisopazio XX!$%, per punire la sua commercialista, che aveva attentato alla sua virtù con un chilo di tritolo e si ostinava pervicacemente a vestirsi di rosso comunista. Nelle sue scorribande di distruzione, san Wonko era sovente accompagnato dal Piccione Radioattivo del Pianeta Misterioso, i cui raggi della morte rendevano inabitabile per molte generazioni.

0603santo

Ordini dall’alto

Metti su la pentola,
mettila e versavi acqua.
Mettici dentro i pezzi di carne,
tutti i pezzi buoni, la coscia e la spalla,
e riempila di ossi scelti;
prendi il meglio del gregge.
Mettici sotto la legna
e falla bollire molto,
sì che si cuociano dentro anche gli ossi.
Poiché dice il Signore Dio:
Guai alla città sanguinaria,
alla pentola arrugginita,
da cui non si stacca la ruggine!

Ezechiele 24, 3

 

0603ardez


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La Teoria del Disegno Stupido

scienze-veritaocazzate

In questo periodo di dubbi e smarrimenti, molte persone si sono rivolte a me, il vostro saggio Zio Muco, per conoscere la Verità sulla vita, l’universo e tutto quanto. E io, nella mia inesauribile sapienza ho deciso di disperdere le tenebre della loro insipienza (ignoranti cafoni!). Bene, prima di tutto sgombriamo il campo dall’intervento divino, come ho già abbondantemente spiegato qui. Cosa rimane quindi? Ok, l’evoluzione funziona ed è una cosa bella e buona (voglio dire, non volevate mica rimanere un’ameba per tutto ‘sto tempo, vero?), ma siamo sicuri che non ci sia stato nessun interventino qua e là, giusto per spingere un po’ le cose sulla retta via? E’ una domanda che si pongono in molti, quindi prenderemo sul serio questa madornale cazz… ehm, questa teoria perfettamente ragionevole e sensata e ci inoltreremo nei meandri del Disegno Stupido. Perché stupido, vi chiederete voi, poveri stolti? Ponderiamo con calma. Sappiamo che il Signore (preso a vostra scelta dalla vostra religione preferita) è onnisciente, onnipresente, onnipotente, onnivoro e onnirico, ma da nessuna parte c’è scritto che sia più intelligente di Francis il Mulo Parlante. E ammettiamolo, se dobbiamo giudicare dagli ornitorinchi e dalle patelle non si può proprio dire che sia una cima. E’ evidente che stava andando a caso, nessuna persona sana di mente indirizzerebbe l’evoluzione fino alla creazione del facocero. Quindi, se questa teoria vuole stare in piedi, bisogna riconoscere l’assoluta incapacità di questa fantomatica Entità che trama nell’ombra dietro a tutta la storia del nostro mondo, manipolando i geni terrestri a suo piacimento, in modo da ultimare il suo oscuro disegno di potere. Che poi, diciamocelo, se deve fare tutta sta fatica per ottenere un calamaro gigante, non dev’essere poi neanche molto onnipotente, altrimenti gli basterebbe schioccare le dita o arricciare il naso o muovere le orecchie e – TA-DAN! – ecco creata una nuova forma di vita fresca di giornata! Invece guardate un po’ che casino, milioni d’anni di evoluzione per ottenere una sola specie senziente e intanto ha riempito il pianeta di zanzare! Eccheccazzo! Fare le cose un po’ meglio no? E tutti quei fiorellini ciccini pieni di polline irrespirabile, e gli scarafaggi, e le lumache – vogliamo parlare delle lumache? Se c’è davvero qualcuno dietro a tutto ‘sto casino voglio il suo indirizzo! Gli manderò il conto degli antistaminici, che diamine.

Ma torniamo a parlare di scienza. La teoria del Disegno Stupido spiega qualcosa che la teoria dell’evoluzione non può spiegare? No. Spiega qualcos’altro, qualche aspetto nascosto e recondito del mondo che ci circonda? No. Ha qualche qualità particolare, che la rende particolarmente attraente? Beh, dice che siamo in balia di un’Entità possente e temibile che si diverte a incasinare la nostra linea evolutiva con la sagacia di un paguro… e noi non sappiamo neanche chi è! Potrebbe essere chiunque! Potrebbe guardarci proprio ora, pronta ad intervenire di nuovo e trasformarci tutti in tapiri mannari! Pauuura! Vabbeh, per fortuna che sono un uomo razionale e posato, e mi rendo perfettamente conto di come siano tutte cazzate. Ecco. Per questi ed altri motivi, signore e signori e paguri, chiedo che la teoria del Disegno Stupido venga inserita nel programma di studi di tutte le scuole dell’universo mondo. Ho detto. Grazie. Qualcuno ha del cioccolato per caso? Degli spiccioli? Devo comprare il biglietto del treno per tornare a casa…

scienze-disegno_stupido

Questo interessante reperto, trovato in una discarica abusiva radioattiva, è portato dai sostenitori della teoria del Disegno Stupido come prova dell'esistenza di una volontà che guida il cammino evolutivo delle specie viventi sul nostro pianeta. Lo scopo di tale sinistra entità sembra chiaro e ormai concluso con la creazione della razza umana... o dei cani. E' alquanto interessante peraltro la figura del paguro, che si staglia rosso sangue sopra gli ignari bipedi, come un feroce predatore pronto a sferrare il suo attacco repentino. E' forse questo lo scopo del Disegnatore folle? La nostra esistenza serve soltanto per sfamare orde di paguri giganti che si avventeranno su di noi negli anni (o giorni) a venire? Il Tetro Pianificatore ha in mente un nuovo intervento diretto, in modo da permettere la comparsa di queste perfette forme di vita, queste macchine di distruzione che si riverseranno su di noi e su tutte le nostre opere senza alcuna pietà? La fine è ormai vicina! P.S.: Alcuni ingenui ottimisti sostengono invano come il disegno qui riportato possa essere stato realizzato da chiunque... poveri sciocchi! Quale mente umana potrebbe mai concepire un tale oscuro piano? E quale mano umana potrebbe mai raffigurarlo con tale chiarezza e dovizia di particolari?


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Kaprawoulf: CAP III

q-kaprawoulfuell’anno la Fiera del Papero Bollito di Tapinambur non si tenne. I tapini, gli abitanti di Tapinambur, un imbelle villaggio alle estreme propaggini delle province esterne della Terra del Freddo Lontana e Inospitale, rimasero molto delusi, ma non osarono protestare. Da quando Manølo, il nano gigante console legato incaricato dal re in persona, amministrava quelle lande molte cose erano cambiate. Tra esse: le tende del salotto di Fionnula Fjordöna, la dieta della famiglia Budinbrock, diventati tutti improvvisamente e inspiegabilmente vegetariani, l’altezza del campanile della guglia ovest della cattedrale di Zeermelø, capoluogo della provincia, i lacci delle scarpe di tutti gli abitanti di Gløppa (ma questa è una storia troppo lunga e complicata per essere riportata nelle cronache che seguono), la politica sociale delle istituzioni riguardo all’annoso problema dell’integrazione della popolazione Gnugnip nell’enclave culturale degli Spiti (di cui Tapinambur era storicamente il centro principale), l’atteggiamento generale della classe dominante nei confronti delle fiere di paese e alcune altre cosette che sarebbe bello approfondire, ma invece resteranno per sempre nell’oblio dell’ombra della dimenticanza del mondo. Eh, che ci volete fare.
Erinnarinnirahannarica si era trasferita a Tapinambur solo da pochi mesi, lavorando nella locale agenzia di collocamento interinale e, come tutti, aspettava con ansia la Fiera del Papero Bollito.
“Chi può volere una cosa del genere?” chiese a Blubmilla, sua bulimica collega ed amica.
“Mi sento avulsa dal contesto.” Rispose Blubmilla.
“Se vuoi ho un’aspirina.”
“Intendo dire che non capisco a cosa ti riferisci.”
“Dai, quella cosa frizzante che si mette nella vodka per far passare il mal di testa.”
“No, intendevo dire prima. So cos’è un’aspirina… in che senso nella vodka?”
“Aspirina? Io credevo parlassi di anfetamine.”
Blubmilla emise un lieve sospiro sommesso.
“Hai chiesto chi potesse volere una cosa del genere.”
“Ah! Non lo so proprio. Più ci penso più mi sembra un inspiegabile anfossità.”
“Cosa? Cosa ti sembra un… una… una che?”
“Cosa?”
“Credo che ti ucciderò.”
Erinnarinnirahannarica era una cara ragazza, solo non tanto sveglia, ecco, ma nessuno è mai stato messo a morte per questo, no? Bè a parte Lapilla Salamalappu, precedente impiegata della medesima agenzia di collocamento interinale, la quale avendo confuso i significati di “collocamento” e “morte all’invasore oppressore” si era attirata le ire di Manølo ed era in attesa di esecuzione capitale.
“Vabbè” esalò Erinnarinnirahannarica “se non posso andare alla fiera del Papero Bollito mi consolerò andando all’esecuzione della Salamalappu, ho sentito che i coniugi Budinbrock stanno organizzando un banchetto con birra e salsicce di soia per l’occasione. E pare ci sarà anche la banda degli ottoni di Gløppa.”
“Povera Lapilla, occupava il posto dove sei tu adesso, non era una cattiva ragazza…”
“Bla bla bla, va bene, va bene. Ti va un caffè, che dopo un po’ che lavori in questa agenzia di morte all’invasore oppressore una pausa ci vuole.”
Ebbene così si conclude questa parte della saga. Dopo tanta azione, immani emozioni e violenze a profusione una sosta s’impone.
Eccome.
Benone.
Ehm.


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