Dice questo articolo che “un blog che non posta per un mese è un blog morto”. Sarà, ma col passare di strani eoni anche la morte può morire, e quindi eccoci qua di nuovo in letizia & allegria. Non è stato un granchè di estate, per una serie di motivi che sarebbe troppo lungo elencare. Però non sono mancate letture interessanti.
Nell’ultimo post, secoli fa, si parlava di Ray Bradbury e delle critiche mossegli da Damon Knight. E quindi, di Knight ci siamo letti «Il Mondo e Thorinn», che è la storia di un tizio che esplora un infinito labirinto di caverne con una spada in una mano e una lanterna nell’altra. Per noi, che abbiamo passato l’infanzia a giocare a Zork, un libro del genere è bello a prescindere.
Ci siamo letti anche «Assault Fairies» dell’ineccepibile Gamberetta, liberamente disponibile e scaricabile dal suo sito; ma come dicevano i CSI, comodo ma come dire poca soddisfazione, signore. Sebbene notevole dal punto di vista tecnico, impeccabile nella gestione del punto di vista, spartano nella distribuzione degli aggettivi o degli avverbi, conforme ai sacri testi nel mostrare-e-non-raccontare, «Assault Fairies» soffre dello stesso difetto del precedente «Le Avventure della Giovane Laura»: lo leggi e dici, embè? Ti coglie il vago sospetto che all’autrice per prima importi assai poco delle vicende delle sue creature, anzi, che sotto sotto le disprezzi pure, e tu, lettore, con esse; e non è una bella cosa. Anche perchè il fantasy, in tutte le sue declinazioni, dall’High fantasy del «Worm Ouroboros» al bizarro di «Ass Goblins of Auschwitz», sta in piedi – come ogni tipo di magia – se l’autore ci crede; ovviamente non in quel senso; ma quando leggi una cosa fredda, che sembra un compito, che sembra costruita a tavolino, che sembra, ahimè, sterile, un po’ ti piange il cuoricino a veder tanto talento sprecato. Sono opinioni personali, ovviamente, e si rivolgono soprattutto a quella parte di un’opera non quantificabile perchè non tecnica, e quindi estremamente soggettiva; eppure ci pare di vedere in Gamberetta – dio non voglia – la futura Oriana Fallaci del fantasy. Brrrrr.
E poi leggemmo pure «Non-A» di A.E. Van Vogt, che è, lo diciamo senza timore, una solenne puttanata. «Non-A» è la storia di un tizio che scopre di avere i superpoteri, nello specifico un pezzo di cervello in più che rende la sua mente superiore eccetera; questo tizio si trova al centro di un complotto interplanetario il cui scopo – ma lasciamo perdere, bastano queste cose:
– la Terra è gestita da un megasupercomputer detto La Macchina, un immenso grattacielo di sapienza, che esamina ogni giorno migliaia di persone per determinarne il potenziale e cose simili. Il protagonista scopre che questa macchina è sabotata, e ovviamente decide di aiutarla per il bene dell’umanità. Ma la macchina viene distrutta. Viene distrutta con delle testate nucleari. Il protagonista lo scopre solo il giorno dopo, quando si sveglia. Perchè durante l’attacco nucleare stava dormendo. Stava dormendo in una camera d’albergo a pochi isolati di distanza dal luogo dell’attacco. Come dire che un cittadino di Hiroshima si alza la mattina del 7 agosto 1945, fa colazione, poi apre la finestra, guarda fuori e dice «Ommadonna e che cazzo è successo?»
– Van Vogt è uno di quegli scrittori che per dare l’idea del futuro fantascientifico prendono la prima cosa che vedono e ci mettono un aggettivo da fantascienza: «atomico», oppure «elettronico» o «automatico». Per cui, nel futuro di «Non-A» la gente legge i giornali, e li compra per strada dagli strilloni, come negli anni ’40 quando il romanzo è stato scritto: però sono strilloni automatici. E a un certo punto il protagonista deve inviare alla Macchina un’altra macchina più piccola: quindi assume dei falegnami per chiuderla in una cassa. E i falegnami arrivano con le loro seghe atomiche e basta, ci sembra inutile proseguire, il resto qui.
Per finire, la vera sorpresa della stagione, «Aurorarama», di Jean-qualcosa Valtat, un libro che uno dice, steampunk-dieselpunk-teslapunk? Francese? Starete scherzando. E invece.
Siamo nel 1908. Nel bel mezzo del Circolo Polare Artico sorge la splendida Nuova Venezia, un gioiello art nouveau di grattacieli, cupole, teatri d’opera e canali congelati. Costruita da un gruppo di eccentrici scienziati e filantropi, è il trionfo dello spirito umano, l’ultima frontiera della civiltà, e soprattutto è una spesa folle e insostenibile per i governi che la finanziano. Questo è il palcoscenico su cui si muovono i due protagonisti: da una parte il signor Brentford Orsini, impeccabile gentiluomo, che cerca di districarsi tra i preparativi per il suo prossimo matrimonio, i misteriosi sogni profetici che la ex-moglie defunta gli invia di continuo, le accuse di essere il misterioso autore di un libello anarchico e filo-eschimese e i tentativi ahimè vani di mantenere sobrio il suo testimone di nozze; dall’altra Gabriel d’Allier, professore, poeta, bohemien, donnaiolo impenitente, ubriacone inveterato, miglior amico e testimone di nozze di Orsini.
Sullo sfondo il dilemma che incarna la stessa esistenza della città: che diamine ci fa una città del genere in mezzo al Polo? Non sarebbe meglio chiedere agli Inuit come fare a sopravvivere in un ambiente così ostile anzichè chiuderli in un indegno apartheid? Eh no, caro mio, siamo gentiluomini, mica selvaggi, e quindi andremo in giro in frac e cilindro, perdìo, anche a cinquanta sotto zero, alla faccia di mr. Orsini e del suo pamphlet.
Se avete letto «Acqua, Luce e Gas: Trilogia dei Lavori Pubblici», conoscete questo genere di libri: quei libri che se li avvicini all’orecchio senti le risate di chi li ha scritti; quei libri-ottovolante pieni fino a scoppiare di idee, di giochi di parole, di personaggi assurdi, dove magari rivelazioni straordinarie vengono buttate lì (tipo quale personaggio ha un legame telepatico con il Canguro Gigante del Polo e perchè), e pagine e pagine sono dedicate alla descrizione dell’appartamento di Orsini, o dei vari palazzi di Nuova Venezia, o dei brani che questo o quel gruppo suona – con strumenti inverosimili – in questo o quel locale. Se siete fan dello «show-don’t-tell», se curate con occhio clinico la distribuzione delle parole o lo spostamento del punto di vista, state lontani da questo libro: qui ci sono descrizioni infinite di palazzi incredibili, assurdi alberi genealogici, discussioni filosofiche, dilemmi etici ed etnici, gente che si mena – con gran classe, però, dopotutto sono gentiluomini; intrighi politici, scienziati pazzi, anarchici bombaroli, sciamani inuit, orsi polari bipolari, enigmi cifrati, suffragette manesche, una varietà incredibile di sostanze stupefacenti e i loro molteplici effetti, e soprattutto, ci teniamo a ripetere, il Canguro Gigante del Polo.
Cioè, il Canguro Gigante del Polo.
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