Ricette delle bevande forti dei marinai

Arrh, pesciolini!Mastro Eckhardt, il mistico tedesco del ‘300, citando Alberto Magno e Galeno, afferma che le tre potenze dell’anima umana, intelletto, memoria e volontà, hanno sede nel cuore, nel cervello e nel fegato – non ho ancora ben capito chi stia dove, e perchè, ma prima o poi ci arriverò. Che c’entra tutto questo? C’entra, c’entra: perchè il saggio, per aver cura delle potenze dell’anima, deve esercitare il cervello con lo studio, il cuore con l’arte e la contemplazione, e il fegato con grandi quantità di bevande alcooliche. A codesto fine degno di lode questo libriccino introvabile, di Neil Hollander e Harald Mertes, risulta quantomai utile ed indispensabile. Si tratta di una raccolta di ricette, di cocktails e bevande più o meno improbabili, alcune risalenti ai secoli d’oro della Marina Imperiale Britannica, classificate secondo la Scala Beaufort delle Bevande (da 1 – “adatto a giovani donne o ai clienti dei charter” – a 9 – “si rolla bene, si distrugge l’albero maestro e ci si incaglia”), capaci di suscitare ogni reazione da “wow! devo provarlo subito!” a “ommioddìo! meglio lo scorbuto!”.

Dal Capitolo: Bevande per il Cattivo Tempo
La Melma – forza 9
(estratto da “Observations on some points of seamanship – eight practical hints” del Capintano A.J. Griffith, R.N. Chelternham, 1824)
Il succo di una scatola di crauti; 2 cucchiaini di brodo; 4 dita di rum, acquavite, vodka. Far scaldare il tutto, servire freddo, oppure caldo se il tempo è cattivo.

Dal Capitolo: Veleni della Cucina del Diavolo
Antifouling – forza 5
Un litro di succo di lamponi; una bottiglia di grappa e una di cognac; mezzo chilo di zucchero; cumino e chiodi di garofano. Mettere tutto in un bottiglione; tenere a bordo per quattro settimane; invitare gli amici e servire.

Dal Capitolo: Bevande al Cognac
Bristol Blend – forza 7
Tre dita di cognac; 1 rosso d’uovo; 1 cucchiaino di zucchero; pepe nero; ghiaccio. Mettete tutto nello shaker. Servite senza ghiaccio.

Che altro dire? Arrrh, pesciolini!


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Il Mar delle Blatte e altre storie

Le Fantasmagoriche Avventure della Blatta Parlante!“Disgraziati! Che avete mai fatto!
Ora le blatte si sdegneranno
e sarà la fine di tutti !”

Ho scoperto l’esistenza di Tommaso Landolfi leggendo la voce “Astronomia Sideronebulare” nell'”Enciclopedia delle Scienze Anomale” – un altro testo meritevole d’attenzione – e, visto che il legame tra blatte e corpi celesti non sembra a prima vista così immediato, eccoci qua. Il Mar delle Blatte è un misterioso e temutissimo mare di cui parlano le leggende dei pirati – un mare, appunto, ricoperto di blatte vive e anche un po’ incarognite, visto che se si sdegnano è la fine (mi fa troppo ridere l’espressione “blatta sdegnata” – e nel racconto viene ripetuta in continuazione) – un mare che bisogna attraversare per giungere a una leggendaria isola del tesoro. Il problema è sapere cosa ci fa, su questa nave pirata, l’avvocato Coracaglina, il quale, rincasando un pomeriggio di primavera, viene costretto dal figlio – che il padre ha sempre reputato un perdigiorno, finchè ora scopre trattarsi di un temutissimo pirata, conosciuto come Il Variago – ad imbarcarsi per questo periglioso viaggio. Un’atmosfera da sogno, carica di scene dall’aspetto simbolico, pervade tutta la storia: dal giovane Roberto, alias il Variago, che si estrae da una profonda ferita sanguinante ogni sorta di oggetti che dona al padre (bulloni, spago, riso, un lombrico intelligente) – alla misteriosa e bellissima Lucrezia, il cui amore è reclamato dal pirata e dal lombrico (si, dal lombrico. E i due si sfidano a una gara amatoria per vedere chi può accampar diritti sulla fanciulla. Non vi dico chi vince, ma è una scena decisamente bizzarra) – al surreale Mar delle Blatte. E’ quel genere di racconto dove l’atmosfera conta più della trama, e lo stesso vale per gli altri, decisamente più brevi. Fa eccezione “Da: l’Astronomia spiegata al popolo: nozioni di astronomia sideronebulare”, sintesi di un articolo divulgativo (con tanto di omaggio a Camillo Flammarione) su questa astrusa scienza – cito: Il Sistema Primario risulta invece dalla conglobazione o coacervazione di tutte le nebulose visibili invisibili e supposte, a partire dalle nebulose-basi (o cellule nebulari, quali ad esempio Galassia nostra patria) per finire alle primarie e alle epiprote (o superprimarie o principes). Non so se rendo l’idea. Per il resto abbiamo due lupi mannari che rubano la luna perchè non li disturbi più, un misterioso spazzacamino, un mentecatto che assilla un pover’uomo con il suo cane parlante e con astruse teorie numeriche, un viaggio in treno fino ai confini della Galassia (Galaxy Express 999 ante-litteram?) la storia di una cagna e del perchè i cani fanno pipì dappertutto, e altre curiose vicissitudini. Bizzarro. Ma finchè le blatte non sono sdegnate, a noi piace così.


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Un Rinoceronte per il Papa

rinocerontibusNon si trovano molte recensioni di questo romanzo, in Rete; e la maggior parte sono dubbiose o negative. Si dice che è un libro prolisso, inutilmente cervellotico, inconcludente, noioso e così via. Io, dopo un anno e mezzo di faticosa lettura (prima in inglese, poi in italiano, poi, visto che il traduttore a due terzi del libro getta la spugna e abbandona ogni parvenza di grammatica, di nuovo in inglese) , l’ho trovato eccezionale. Per dire: inizia con una panoramica del Mar Baltico. Ma inizia un po’ alla lontana: dalla fine dell’ultima Era Glaciale, con la lotta tra la terra, il mare e il vento per plasmare le coste, con il lento mutare dei fondali che porta all’instaurarsi di nuovi ecosistemi, con l’arrivo di popolazioni di aringhe che per migliaia di generazioni vivono la loro vita d’aringa nelle quiete e gelide acque del Nord. Finchè, dopo dieci pagine, il loro monotono tran-tran viene turbato: sopra le loro teste squamose galleggia una botte. E nella botte c’è un uomo. Un inizio così è talmente assurdo che o ti stronca o ti cattura – e avete già capito da che parte io stia. Comunque, aringhe a parte, questo monumentale racconto prende spunto da un fatto storico: una spedizione portoghese, partita nel 1516 per le Indie, per procurare un rinoceronte da offrire in dono a Papa Leone X. Si, perchè gli Spagnoli avevano già regalato al Pontefice un elefante – e i Portoghesi non potevano essere da meno. E siccome Plinio aveva scritto che il rinoceronte è nemico mortale dell’elefante, ecco spiegato tutto. Ma non tutti vedono di buon occhio quest’impresa; e anzi, segretamente si complotta perchè fallisca: e quale metodo migliore che non affidarne il comando a un perfetto incapace? Ovvero, il tizio nella botte di cui sopra. Che si chiama Salvestro ed è un ex-mercenario, nativo proprio di queste contrade piene di aringhe, che scende in Italia in cerca di fortuna, e, sopravvissuto al sacco di Prato del 1512 – che dalle descrizioni dev’essere stato un inferno – torna al nord a cercare una leggendaria città sottomarina chiamata Vineta (che probabilmente è Venezia, ma lui non lo sa). Niente città sommersa, niente ricchezze leggendarie, niente fortuna: e allora Salvestro, affiancato dall’inseparabile compagno d’arme Bernardo (un tizio enorme, forte come un bue ma non proprio sveglissimo), accetta di tornare in Italia per scortare un gruppo di monaci il cui monastero sta lentamente sprofondando nel fango ormai da decenni: lo hanno costruito dove fu loro ordinato, e hanno continuato a ripararlo e a puntellarlo – finchè, dopo il crollo dell’ennesima navata, decidono di recarsi dal Papa per chiedergli se non possono ricostruirlo un cinquanta metri più in là, sulla roccia.
Questo libro è, semplicemente, sterminato: vi sono centinaia di personaggi, di eventi, di luoghi, di “cose” – e in effetti ci si perde quasi infallibilmente e bisogna tornare sui propri passi e ricontrollare – oppure fingere nulla e sperare che si chiarisca tutto più in là (una tecnica che di solito non funziona); e Lawrence Norfolk, l’autore, è uno a cui piace scrivere proprio per il gusto di scrivere, e si vede: le pagine dedicate alla guerra dei ratti nelle viscere dei palazzi romani, l’Asia e l’Africa e il Nord Europa, i mercenari assurdi cui Salvestro si aggrega, gli inconfessabili segreti del Vaticano e della nobiltà italiana, spagnola e portoghese; e così via e così via. E’ il genere di libro che difficilmente si finisce, e che, quando lo finisci, lo metti via dicendo “madonna che fatica” – e poi, dopo qualche tempo, ci ripensi, ed è come ricordare una vecchia campagna di giochi di ruolo: “era lì quella scena col capo mercenario senza gambe, che si faceva portare in giro su una portantina? – e la rissa in chiesa, coi frati che invocano oscuri codicilli e bolle papali mentre le guardie del cardinale li bastonano di santa ragione? – e la messa solenne, con le galline in chiesa e i bambini del coro che sputano dalle balconate sulle parrucche dei nobili?” – beh, è stata una soddisfazione arrivare in fondo.


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The Invisibles

fuffademia071010-blogmorrisonGrant Morrison: genio o mentecatto? E’ questa la prima domanda che sorge spontanea al termine della lettura di “Invisibles” – oddìo, “termine” è un termine – vabbè – quantomai impreciso vista la natura del fumetto: non è che lo finisci, a un certo punto, quando ti ritieni soddisfatto, basta. E non perchè sia una serie interminabile, una soap-opera a fumetti, tipo l’Uomo Ragno o gli X-Men; anzi, Invisibles è una serie conclusa, organizzata in tre cicli di 25, 22 e 12 numeri. “E allora dov’è il problema?” – il problema sta nel fatto che è probabilmente la storia a fumetti più incasinata, autoreferenziale, convoluta, crittografica, caotica, convulsa e frattale che abbia mai letto. E ho letto anche Flex Mentallo, badate bene, per non parlar di Cronache Mazzate. Puoi leggere Invisibles cominciando da qualunque numero, in qualunque ordine (stavo per aggiungere “tanto non ci capisci un ca**o lo stesso – ma non è vero); e a ogni rilettura scopri citazioni, controcitazioni, allusioni, doppi, tripli, quadrupli significati, simboli e cose strane. Di cosa parla? Avete presente le teorie del complotto, gli alieni di Roswell, gli Illuminati: ecco. Immaginate che sia tutto vero, dagli UFO al sesso tantrico all’Atlantide ai messaggi subliminali di Macdonald, ai retroscena della morte di Diana d’Inghilterra. Oscuri poteri tramano nell’ombra per rendere schiava l’umanità – e ci riescono anche bene, direi: se non fosse per uno sparuto gruppo di combattenti per la libertà che si fanno in quattro per salvare il futuro del pianeta – gli Invisibili, appunto. Un po’ anarchici, un po’ sciamani, terroristi ontologici, dadaisti d’assalto, gli Invisibili – l’Esercito Invisibile, l’Internazionale Invisibile, o uno degli altri numerosi nomi con cui sono noti ormai da secoli – combattono una guerra segreta (anche se non proprio silenziosa, visto il casino che fanno, a colpi di magia, nanotecnologie e, soprattutto, armi automatiche) – contro le orrende entità lovecraftiane che attendono in agguato il 22 dicembre 2012 – quando, secondo il calendario Maya, finirà il mondo. Non stiamo a parlare dei personaggi (uno dei protagonisti è l’alter ego dello stesso Morrison, poi abbiamo il futuro Buddha, un travestito brasiliano esperto di vudù, gente che viaggia nel tempo, il Marchese de Sade e così via), nè della trama che è impossibile da riassumere: è l’atmosfera che rende questo fumetto originale. Ho letto in giro che Morrison lo ha creato come un ipersigillo, una specie di rituale magico (?) che riflette l’universo per poterlo riplasmare – capite con che gente abbiamo a che fare? – cosa che rende onore al Nostro, anche se non so quanto successo abbia avuto. Comunque – aldilà del casino che è leggere Invisibles, e aldilà che una storia così ambiziosa e complicata nove volte su dieci finisce in vacca (e questa non fa eccezione) – è forse la portata stessa della storia a costituire il suo punto debole: quando non è chiaro se stai leggendo una storia che è una storia, o la trama di un film realizzato da uno dei personaggi, o un romanzo scritto da un altro, o un videogame di un terzo, quando non capisci più chi sono i buoni e chi i cattivi, e quando la posta in gioco è così enorme da rendere il nostro mondo soltanto un bruscolino, perdi un po’ la prospettiva. Alla fine, si resta un po’ con l’amaro in bocca, perchè tutto questo gran parlare di spirito, materia, evoluzione, illuminazione, e così via, si risolve in un gran rave party. Tutto qui? La soluzione è non considerare l’ultimo numero come l’ultimo numero. Finito quello, riprendine uno qualsiasi e ricomincia a leggere. Anche perchè qualunque fumetto abbia una scena come quella dell’immagine qui a fianco, merita tutta la mia stima.


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Il ciclo vitale del Kiwi

scienze-veritaocazzate

Giusto ieri l’altro mi sono recato dal pescivendolo a comprare un chilo di kiwi per il sushi e quell’insulsa parodia di un essere umano ha avuto il coraggio di ridermi in faccia e dirmi che i kiwi non sono pesci. Vi rendete conto? Al giorno d’oggi l’ignoranza dilaga e le nozioni più basilari vengono dimenticate come lacrime nella pioggia… Ehm, dicevamo. Ho capito che è mio sacro dovere disperdere con la luce della mia sapienza le tenebre dell’odierna insipienza e quindi spiegherò a tutti voi miseri cafoni i segreti del ciclo vitale del kiwi, questo simpatico animaletto così pieno di sorprese e di fegatini di pollo.

Il kiwi inzia la sua avventurosa seppur lievemente scialba esistenza come pianta rampicante anfibia, con verdi fronde lussureggianti e lunghe radici palmate. Quando il momento è giusto e la luna piena splende rossa nel cielo australe, la pianta-kiwi lascia cadere dolcemente i suoi frutti maturi sugli ignari passanti. A questo punto avviene il primo massacro: innumerevoli frutti vengono divorati senza pietà dalle belve feroci oppure rapiti da spietati fruttivendoli mascherati che lucrano sulla pelle pelosetta di queste tenere creaturine succulente e ricche di vitamine salvifiche. Ebbene sì, salvifiche, perché, avete problemi? I pochi sopravvissuti alla razzia sfuggono ai predatori estroflettendo zampette e becco e dandosela a gambe levate. Una volta emigrati all’estero, gli uccelli-kiwi conducono di solito vite lunghe e pacifiche, dedicandosi ai piccoli piaceri della vita e al bricolage. Raggiungono la maturità a 10 giorni (sono molto precoci) e a questo punto si dedicano alla ricerca di un partner con cui passare il resto della loro lunga esistenza. Sono infatti animali monogami ed estremamente fedeli: per assicurarsi un compagno spiritualmente affine inziano un lungo corteggiamento della durata di circi 20 anni, durante il quale discutono di cinema e allevamento delle blatte. Una volta sicuri di poter passare la vita insieme senza rischio di fraintendimenti e dispiaceri, sigillano la loro unione imperitura con una vicendevole beccata nella nuca, dopo di che passano alle presentazioni – “Io sono Mario” “E io Ugo” “…” “…” “oh beh, andiamo al cinema?”. Le poche coppie miste che si formano a questo punto portano sulle loro fragili spalle l’onere della sopravvivenza dell’intera specie. Con alacrità ed entusiasmo si dedicano a deporre splendide uova di marmo, utili per rammendare calzini in ogni dove. Le uova-kiwi depongono minuscole spore-kiwi negli ignari calzini, dove rimangono dormienti fino al primo passaggio in lavatrice. La combinazione di temperatura e centrifuga innesca la crescita delle spore, che, una volta portate dalle fogne fino al mare, sono pronte a trasformarsi in guizzanti pesci-kiwi (quelli che il mio inutile pescivendolo si è rifiutato di vendermi, maledetto incapace). Gli argentei pesci-kiwi percorrono instancabili tutti gli oceani del mondo, condotti da un istinto ineluttabile fino alle bianche spiagge neozelandesi, pronti a risalire i fiumi australi. Alla fine del loro estenuante viaggio, questi teneri pesciolini si arenano stremati sull’arida terra ostile e esalano il loro ultimo respiro, maledicendo il fato che li ha condotti a un sì triste destino. Le loro carcasse putrescenti fungono da ricco concime per il seme che si trova nel loro cervello, esattamente tra i due emisferi. Il seme-kiwi, grazie al ricco nutrimento che lo circonda, si schiude dando vita alla verde e rigogliosa pianta-kiwi. Ecco.

scienze-kiwi

Il kiwi (kiuis kiuiformis infernalis) può sembrare a prima vista un innocuo animaletto mutaforma, ma possiamo davvero essere così ingenui da trascurare il pericolo insito nella sua subdola natura? Con un aspetto o un altro, il kiwi si è introdotto in ogni nicchia ecologica del nostro pianeta, alterando i delicati equilibri vitali dell'intero ecosistema terrestre. Potrebbero mai sopravvivere tutte le forme di vita esistenti se il diabolico kiwi dovesse mai entrare in sciopero? Perché le autorità non fanno nulla per arginare il pericolo incombente? Possiamo lasciare forse questa minaccia libera di... di... di... Capite? Non è ancora troppo tardi per correre ai ripari!


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Il Primo Post non si scorda mai

fuffademia071007-post_01O qualcosa del genere – anzi, magari no, visto che il primo post è per sua natura interlocutorio e quindi non gli si può chiedere troppo, poverino. Si può invece chiedere su cosa verteranno i post successivi: per la maggior parte, libri; per il resto, cazzate. Cazzate nel senso buono, per carità: romanzi, fumetti, dischi, giuochi, cose, posti, persone, criceti, tutti con quel tanto di assurdo o insolito o fuor del comune da poter spiazzare, incuriosire e chissà cos’altro. Per cui, lunga vita alle cazzate: se non ci fossero, bisognerebbe inventarle. Questa era una cazzata: visto? E’ facile!
Buon proseguimento.


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