La straordinaria invenzione di Hugo Cabret


Wow! Un libro di seicento pagine che si legge in un paio d’ore! E chi sono, Babbo Natale? A parte gli scherzi, ecco un piccolo (ma ponderoso) gioiellino che mette insieme narrativa, fumetto e soprattutto cinema. “La straordinaria invenzione di Hugo Cabret” è uno di quei romanzi frettolosamente etichettati come “roba per bambini” perchè ci sono i disegni, ma che può essere apprezzato da lettori di tutte le età (giuro. Come la Bussola d’Oro, la Storia Infinita e tutte quelle cose lì). Comunque sia, la particolarità di questo libro sta nella commistione, appunto, di parti scritte e parti disegnate – disegnate, fra l’altro, come sequenze di un film in bianco e nero. Cosa che rende conto del cospicuo volume di questo libro, e cosa peraltro azzeccatissima, visto che la storia appunto parla di cinema. Di cinema, orologi e giochi di prestigio, di giocattoli a molla, automi, stazioni ferroviarie, di George Méliès (quello del razzo nell’occhio della Luna, per intenderci) e delle sue straordinarie invenzioni… E’ la storia del piccolo Hugo e del suo segreto: un omino meccanico mezzo sfasciato, unico ricordo di suo padre – un omino seduto a un tavolo, con una penna in mano. E il piccolo Hugo si dedica anima e corpo a tentare di ripararlo, per scoprire che cosa scriverà quest’omino, quale segreto nasconde tra i suoi ingranaggi. Ve lo consiglio.


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Dizionarietto (illustrato) della lingua italiana lussuosa


Debbo alla sollecitudine dell’amico Daniele, attore di gran pregio e polacco d’adozione, la scoperta di questo dizionarietto, stampato in poche copie dalla Rizzoli nel lontano ’77 e dimenticato in gran fretta come capita sempre ai libri strani, insoliti e divertenti. Si tratta di una raccolta di parole desuete, arcaiche o probabilmente inventate, cui sono attribuiti significati quasi certamente inventati. Fatevi una cultura:

Anteambulone, s. Chi precede un altro per la strada. Si scosti, anteambulone della malora, che ho fretta.

Barbacheppo, s. Barbalacchio. Barbandrocchio. Moccione.

Cancherussa!, escl. Canchigna! M.E.: evita di dire Non svegliare il cancherussa, significherebbe non svegliare il canchigna, e non avrebbe senso.

Disfiorentinare, v. Cessare d’essere fiorentino.

Gagnolare, v. Dolersi, rammaricarsi. Gagnolo sentitamente per la sventura occorsavi.

Gattafurato, s. Spaventato da un gatto. Gatto gattafurato: gatto spaventato da un altro gatto. In senso figurato, preludio a un finimondo.

Impanazione, s. Credenza dei Luterani che sussista la sostanza del pane, nell’Eucaristia. E’ scorretto l’uso per significare quella suggestiva cerimonia in cui l’ostia, prima della Comunione, viene impanata e fritta, a ricordo del miracolo detto appunto dell’Ostia alla Milanese.

Leppo, s. Vapore grasso e puzzolente. Ah, il bel leppo di Lombardia! (A. Manzoni)

Licoperdo, s. Genere di strani funghi, tra cui il Licoperdo Orrendo di Crimea, il fungo più impressionante che si conosca.

Paciozza, s. Non proprio pace, ma quasi. …e preghiamo, fratelli carissimi, affinchè tra quei popoli sconvolti da una guerra fratricida, torni a regnare la pace, o almeno la paciozza. (Paolo VI)

Sizio, s. Una delle sette parole dette da Cristo in croce.

Vigilambulismo, s. forma speciale di sonnambulismo, in cui anzichè dormire si è svegli.


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Il Calendario di Frate Cazzaro – Gennaio 2008

0801mese Frate Cazzaro, Papa immaginario
Eletto a gran voce da se stesso, il santo Frate passa alla storia come il primo Papa immaginario dell’Universo Mondo. Le sue inani benedizioni raggiungono le menti di tutti coloro che non hanno niente di meglio da fare che fissare il vuoto con aria ebete tutto il santo giorno, sempre che non abbia altri impegni, tipo andare alla partire di curling a tirare gatti morti in testa ai giocatori.
0801calendario L’Invasione dei Vampiri
Nel 1973 fu approvata dall’ONU la mozione 47 rinominata “La Riscossa del Vampiro”. Proposta da e avallata dagli emissari di Scozia, Uggezia e Pancrazia (nonchè fortemente appoggiata dalla Squadra Cazzate) l’ordinanza fa divieto a qualsiasi stato sovrano riconosciuto di opporsi ad un’eventuale invasione di Calamari Vampiri (Vampiroteuthis Infernalis). La mozione fu approvata a maggioranza, nonostante i voti contrari di paesi influenti quali Le Isole Fiji e la Micronesia, i cui abitanti, i micronauti, sostenevano che l’influsso ipnotico di esseri alieni potesse aver inficiato il risultato del conteggio finale.

Le Babbucce di Zinco
Romanzo in 2648 puntate di 11 parole ciascuna
– cap. 10 –

nonostante la sua presenza fosse invisa ai parenti di Eugenia, storicamente amici

La Blatta Parlante
viene insignita sulle strisce pedonali, da una due cavalli color cachi.

Vecchie cose che però servono sempre
La ruota. Inventata molti anni or sono è sempre molto apprezzata da Gandhi e Puccini (ma non dai maya, i quali però si sono estinti… come il dodo. Che ci sia forse un nesso? Anche il dodo non faceva uso della ruota… pensateci.) per le sue qualità circolari. Pare sia un’ottimo rimedio contro l’estinzione.

Nuove cose per il nuovo anno
Il quadrato. ma forse è ancora troppo presto per parlarne. Se il suo immenso potere finisse in mani sbagliate potrebbe scatenare l’ira del Dodo.

0801semina

Oroscopo per il nuovo anno
Sancripone: I nati sotto il segno del sancripone sono due e anche per quest’anno non si incontreranno.
Pagelli: Per i pagelli si prevede un anno lungo e tedioso. Ma non preoccupiamoci troppo, in fondo son dei pesci, neanche tanto simpatici.
Vernaccia: Per i nati nella vernaccia si prospettan tempi bigi e una vitaccia. Ah ah ah! Ehm.
Manticora: Per i nati della manticora non abbiam nulla da dire. Che si arrangino un po’, sempre a chiedere consigli e poi sparare raggi laser dalla coda. E dico io.

Il Santo del mese.

S. Fuffa e S. Fuffezio
se ne andavano all’ospizio,
li seguiva tosto un tizio,
un lacché del Sant’Uffizio,
con lo scopo surrettizio
di condurli al Gran Supplizio!
S. Fuffezio e S. Fuffa
intuirono la truffa,
scatenarono una zuffa
esclamando: “Piglia! Acciuffa!”
“Ahia, ahia! Basta! Uffa!”
disse il tizio a S. Fuffa,
e gli allegri santarelli
lo ridussero a brandelli.
Sia lodato il Coso, lì, Tutankamen o quel che è.

0801santo Ordini dall’alto

Se uno avesse cento figli e vivesse molti anni e molti fossero i suoi giorni, se egli non gode dei suoi beni e non ha neppure una tomba, allora io dico: meglio di lui l’aborto, perché questi viene invano e se ne va nella tenebra e il suo nome è coperto dalla tenebra. Non vide neppure il sole: non conobbe niente; eppure il suo riposo è maggiore di quello dell’altro. Se quello vivesse anche due volte mille anni, senza godere dei suoi beni, forse non dovranno andare tutt’e due nel medesimo luogo?

Ecclesiaste 6, 3


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Il Matrimonio Alchimistico di Alistair Crompton


“Il medico più anziano aveva
una lunga barba grigia
biforcuta e indossava
in modo autorevole
dei calzettoni scozzesi, forse
per mettere in evidenza
le sue intenzioni ambigue.”

Detto questo, mi pare ci sia poco altro da aggiungere. Il bello dei vecchi Urania è che sono brevi, e si possono leggere in quattro e quattr’otto, come in questo caso, mentre si aspetta di strafocarsi al pranzo di Natale alla faccia degli ignavi e degli indigenti. Comunque, a parte questo, abbiamo qui un paradossale romanzo di fantascienza psichedelica pronto a confermarci, se mai ce ne fosse ancora bisogno, che Sheckley era un genio. Alistair Crompton è un creatore di profumi: le sue opere sono famose in tutta la Galassia e lo hanno reso ricchissimo e rispettato. Ma Crompton non è un uomo felice: pignolo, controllatissimo, insensibile alla bellezza e al divertimento, è una persona cui manca qualcosa. Nel vero senso della parola: da bambino gli fu diagnosticata una schizofrenia terminale, e, nel tentativo di salvare la parte principale della sua mente, le sue personalità multiple gli furono estirpate con un ardito intervento psicochirurgico, per poi essere impiantate in corpi sintetici. Così Crompton è un uomo dimezzato: la sua parte giocosa e sensuale, così come quella aggressiva ed animalesca, sono state date in adozione, e per giunta su lontani pianeti. Così, arrivato alla quarantina, Crompton decide di imbarcarsi in un viaggio per ritrovare sè stesso – e non è un modo di dire – e tentare di riconciliarsi con i suoi alter ego. Fin qui, tutto bene. Se non che Sheckley a questo punto parte per la tangente e il romanzo diventa un vero delirio psichedelico: per farvi un’idea, immaginate una storia scritta a quattro mani da Douglas Adams e PJ Farmer in acido. Ecco. Crompton si reca prima sul pianeta Aaia, dove la sua controparte Edgar Loomis si guadagna da vivere alle spalle di ricche signore e, occasionalmente, come attore porno. E poi sul selvaggio Ygga, alla ricerca di Dan Stack, criminale pluriomicida e folle – già, anche le personalità multiple di Crompton hanno personalità multiple: e nella testa di Stack si nasconde il misterioso e taciturno Barton Finch (chissà se i fratelli Coen avevano letto questo romanzo prima di scrivere Barton Fink). Ma la convivenza dei quattro non è per nulla facile: lungi dal fondersi in un’unica entità equilibrata, litigano e si detestano dal primo istante. Così Crompton si reca ad Aion, un centro per la cura delle malattie psichiche, il cui motto è “Mente Sana in Corpo Sano Altrimenti Crepa”. E qui la realtà, già pesantemente messa alla prova (per non parlare della coerenza interna della storia), crolla definitivamente in un tripudio di visioni, illuminazioni, allucinazioni, bizzarrie e assurdità sparse. Non vi dico come va a finire – forse perchè non l’ho capito nemmeno io; vi accenno soltanto alla presenza, nelle ultime pagine, del più plateale ed improbabile deus-ex-machina che si sia mai visto: sto parlando del Comitato per la Salvaguardia dell’Integrità del Racconto, altrimenti noti come i Vigilantes degli Archetipi. Non so se mi spiego.

“Io sono Thangranak – proclamò la minacciosa presenza. – sappiate che adesso le tre lune di Kvuuth sono allineate con la grande costellazione di Greptzer e che gli adoratori dell’Abominio a Pallini esigono sangue in dono, secondo il nostro antico accordo. Così io sono venuto, con mezzi troppo transeunti per poter essere immaginati, a imporre la Morte sul Prescelto!”
Oh, beh… appunto.


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Mind Fields

Visto che siamo qui a cincischiare, vi propongo alcune immagini dal libro “Mind Fields”, di Yacek Yerka, pittore surrealista polacco, e Harlan Ellison, scrittore entrato nell’olimpo della fantascienza per capolavori come “La Bestia che gridava amore al cuore del mondo” o “Non ho bocca e devo urlare”. Rifatevi gli occhi.

 

 



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Essendo capace di intendere e di volere – Guida al testamento narrativo


Presentiamo all’attenzione dei lettori una cospicua raccolta di testamenti olografi, scritti lungo tutto l’arco del ‘900, compilata e curata da Salvatore de Matteis in lunghi anni di esplorazione degli Archivi di Stato (che, immagino, siano luoghi da visitare con spada e lanterna, metri e metri di corda robusta, e magari una barchetta) di Napoli, forse, o di qualche altra popolosa città del Mezzogiorno d’Italia. Il testamento olografo (o “testa mando agrofolo”), come sicuramente saprete, è il testamento vergato non di fronte a un notaio, ma in qualunque altra circostanza, mantenendone comunque lo stesso valore legale. Tuttavia, proprio per le sue caratteristiche di atto magari improvviso, dettato dal subitaneo aggravarsi di una malattia, o da ponderose riflessioni sulla caducità della vita, o dall’eccessivo accumularsi di dolori e tristezze, il testamento olografo mantiene una spontaneità che la sua controparte, diciamo così, “burocratica” si sogna. Non avendo mai steso un testamento, posso solo azzardare, ma immagino che mettere per iscritto le proprie ultime volontà sia un atto di una certa importanza, qualunque siano i motivi che ci spingono a farlo. Siamo messi di fronte all’ineluttabile certezza della nostra mortalità; siamo costretti a tirare le somme di ciò che abbiamo fatto e siamo stati – e di solito ben pochi possono dire, come Ozymandias, “guardate le mie opere, o potenti, e disperate”. Ed è per questo che il testamento olografo riesce a dire così tanto, della persona che lo scrive, in così poche parole. Questo libriccino è, alla fin fine, una raccolta di biografie involontarie, una galleria di caratteri, una serie di ritratti spesso comici – per l’italiano approssimativo, per le bizzarrie degli scrittori – a volte triste – per i magri bilanci di vite rovinate, di rancori decennali, dispute e faide – a volte commovente. C’è l’uomo che scrive le sue volontà di nascosto dalla moglie, “che se si sveglia son mazzate”; c’è la ricca vedova che lascia il patrimonio al pappagallo, raccomandando agli esecutori di licenziare “quel fetente del portiere”; c’è il soldato che lascia alla fidanzata la medaglia guadagnata al fronte; la donna che vuole un funerale degno di un imperatore “con venti orfanelli coi ceri”; c’è l’uomo che teme di essere sepolto vivo e chiede che nella bara ci siano acqua, cibo, la dentiera e lo “iochitochi” per chiamare il genero (che se non si fa trovare verrà diseredato); il marchese caduto in disgrazia che lascia ai suoi unici amici, mendicanti e senzatetto, la sua panchina preferita al parco e il suo bastone col pomo d’argento. C’è un’intera umanità, in questo libretto, il che dovrebbe suggerirmi alcune profonde riflessioni sulla vita, l’universo e tutto quanto; ma non mi viene in mente nulla di adatto al luogo e all’ora: per cui chiudo con questa raccomandazione: “In fundis. Mi arraccomando le esequie. Non facciamo le solite figure di pezzente.”


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Acqua, Luce e Gas: la Trilogia dei Lavori Pubblici

Acqua, Luce E Gas
Sutter riuscì a staccare il Castoro dal proprio cuoio capelluto e lo sbattè sul ponte finchè non smise di mordere. L’uomo si raddrizzò, respirando a fatica dal naso rotto. Si girò e si trovò faccia a faccia con un eschimese nudo in posa da karateka. “Cazzo, starai scherzando”, disse Sutter. Ma Ventinove Parole era assolutamente serio. Nudo, ma serio.

Matt Ruff ci propina questa trilogia fantascientifica in un unico romanzo – un unico romanzo che contiene materiale per un’intera collana. In effetti, a ben vedere, le linee narrative principali sono tre, il che più o meno giustifica il parlare di “trilogia”, frullate assieme e unite a una foresta di narrazioni secondarie che rendono questa storia una vera e propria epopea. Premetto che a me piacciono i romanzi popolosi, e qui di personaggi ce n’è un vero esercito. E oltre che tanti sono anche uno più strambo dell’altro, il che non guasta mai. Ma procediamo con ordine. Uno dei protagonisti della storia è Harry Gant, il prototipo del self-made man: ricchissimo, giovane, bello, intelligente, entusiasta come un cucciolo di san bernardo e in definitiva troppo minchione per riuscire antipatico. Il suo avversario, più per partito preso che per effettiva inimicizia, è Philo Dufresne, ecoterrorista, con il suo sommergibile a pallini e un equipaggio di sconvolti (fra cui Ventinove Parole per la Neve, l’eschimese esperto di arti marziali citato sopra) – ah, il sommergibile si chiama Yabba-Dabba-Doo. Naturalmente. Il terzo personaggio principale è Joan Fine, ex-moglie di Gant, figlia di una suora lesbica (non fate domande) e ridotta ora a lavorare come cacciatrice di squali nelle fogne di New York. Una New York rivoltata come un calzino dalle geniali intuizioni urbanistiche di Gant, che vuole costruire un palazzo alto milleseicento metri (e ci sta riuscendo) ma soprattutto sconvolta dalla Pandemia che nei primi anni del Ventunesimo Secolo, cancellò una fetta considerevole della razza umana dalla faccia del pianeta: gli africani. Si, non ci sono più neri. Anzi, ci sono i Negri Elettrici, robot tuttofare (prodotti da Gant, ovviamente) che la gente acquista a milioni, simili allo Zio Tom del romanzo. E già fin qui capirete che Matt Ruff non ci sta con la testa. Proseguendo, Philo Dufresne e il suo sottomarino si imbarcano in una spedizione per salvare gli ultimi lemuri rimasti sulla terra e tenuti in ostaggio dai perfidi burocrati della Gant Corporation (all’insaputa del loro capo) – mentre Joan viene assunta dalla moglie di Philo, giornalista, per indagare sulla misteriosa morte di alcuni soci del miliardario – soci che non erano d’accordo con alcune sue scelte. Joan è accompagnata, in questa sua indagine, da una veterana della Guerra di Secessione (che, per essere giunta alla bella età di 181 anni è ancora in ottima salute) e dalla scrittrice Ayn Rand, profetessa dell’ultracapitalismo, resuscitata al computer. Mi fermo qui e non vado oltre, se non per dirvi che Walt Disney ha un ruolo importante e inquietante in questa oscura vicenda. Ma “Acqua, Luce e Gas”, più che un romanzo, sembra una forsennata corsa sull’ottovolante. Oltre a questi personaggi c’è un miliardo di comprimari, che magari compaiono per una scena ma riescono comunque a lasciare il segno; e c’è una tale abbondanza di idee, invenzioni, trovate, colpi di scena, che fanno onore a Ruff – e al suo pusher. Ci sono squali mutanti (l’invincibile Meisterbrau), castori meccanici, coccodrilli albini, Boy Scout allo sbaraglio, la Regina Elisabetta, (“Ci dica, fedele suddito, chi è la donna più ricca e potente del mondo intero?” – “Voi, Vostra Maestà” – “Lo ripeta, per favore” – “Voi, Vostra Maestà” – “Un’altra volta”…), cyborg impazziti, automobili parlanti, cannoni spara-salami, il tutto mescolato a dialoghi surreali e a continui riferimenti alla cultura pop – da Alien a Guerre Stellari, cosa che ha meritato a Ruff continui paragoni con Pynchon (“Hai presente il libro di quel tizio che non si lascia fotografare da nessuno?” – “Tu hai letto il libro di quel tizio che non si lascia fotografare da nessuno?” – “No, ovvio, nessuno lo ha mai letto”). Solo che Pynchon è più sottile, e di solito impieghi otto-dieci pagine per renderti conto che sta dicendo cazzate. Matt Ruff è molto più diretto, e noi gli vogliamo bene per questo.


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