Wordle è un curioso sito che crea composizioni da file di testo. Ecco cosa si ottiene dal nostro modesto racconto “L’Uomo che attraversa un ponte di notte“.
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Wordle è un curioso sito che crea composizioni da file di testo. Ecco cosa si ottiene dal nostro modesto racconto “L’Uomo che attraversa un ponte di notte“.
E’ la Zecca ben vorace
ma sa a lungo digiunare;
può talora inoculare
la malaria del bovin.
Ed il psòrico Sarcòptide
quale esperto minator,
scava sotto l’epidermide
cagionando gran prudor.
Citazioni tratte da: Shihab al-din Yahya Suhrawardi, Il Fruscio delle Ali di Gabriele; J.L. Borges, L’Accostamento ad Almotasim; F. H. Burnett, Il Giardino Segreto; A. Rand, L’Uomo che apparteneva alla Terra; C. Emery, Zoologia Popolare ovvero la Bestiale Commedia, Nuove Dispense di zoologia per le sessioni straordinarie d’esami disposte in 100 strofe facili e amene a cura di Cocò il Pappagallo, precedute da una lettera del Prof. Carlo Emery all’Autore (Bologna, Zanichelli 1905)
aprawoulf, Flaffenberg, Platano e Sgabello scesero dal calesse non senza qualche difficoltà, soprattutto per il platano e lo sgabello. Avevano sperato di ottenere un passaggio fino a Zeermelø, per poi prendere la corriera fino alla capitale, ma poco dopo il confine Kaprawoulf, bullandosi delle sue inutili gesta, si era fatto sfuggire di bocca il dettaglio della taglia che pendeva sulla sua testa nell’Umido e Fanghiglioso Territorio da qualche parte al Nord. Lo sguardo avido di cupidigia del calessiere li aveva allora indotti ad abbandonare il calesse in frutta e feria… in frotta e furla… insomma presto!
La cittadina si presentò loro imperlata di mestizia e tristitudine. Gli abitanti, mogi, sfilavano lenti per i grigi viottoli.
“Che posto è mai questo?” Esclamò Kaprawoulf stizzito.
“Questa è Tapinambur, la mia città sì tanto amata. Che da quando è sotto il giogo di Manølo, il nano gigante console legato, non più riconosco. Neanche la Fiera del Papero Bollito quest’anno. E a noi onesti cittadini non resta che camminar bigi pei vicoli.” disse un passante con la bombetta che si accompagnava ad una vecchietta in grigie vesti di flanella.
“Perchè interloquisci stizzito?” chiese la vecchietta.
“Perchè hai un platano in spalla?” chiese la bombetta.
“Voi fate troppe domande.” Disse Kaprawoulf, che non voleva rivelare la sua identità ad altri sconosciuti.
“Che posto triste. Sembra Katowice in inverno.” commentò Flaffenberg con un inusuale spunto di intelletto.
Nel fratempo il platano pensava “Io avrei un po’ fame. Mangerei volentieri una trota con le patate bollite. Se solo avessi una bocca e un apparato digerente.”
“Io sono un po’ stanchino” disse lo sgabello “mi siederei volentieri un minuto. Se solo ci fosse una sedia o uno sgabello. Nel senso, un altro sgabello. Oltre a me. Così potrei anche fare amicizia magari. O una bella sedia di mogano, di quelle sofisticate con cui fare conversazioni intellettuali.”
“Dimenticate che siamo fuggitivi. Ricercati! Dobbiamo nasconderci.” interloquì Kaprawoulf saltando in un cespuglio, sotto lo sguardo attonito dei mesti passanti.
Flaffenberg si avvicinò con calma: “Concordo. Siamo ricercati e dobbiamo nasconderci.”
“E allora che fai lì impalato? Nel cespuglio c’è posto per tutti.”
“Ecco, Kapra, forse ci sono posti migliori dove nasconderci in attesa che si calmino le acque.”
“Tipo? In un camino di una casa abbandonata? In un canale di scolo?”
“La locanda del paese?”
“Ah. Sì, beh. Anche.”
“Sono fuggitivi. Ricercati.” Esclamò la bombetta.
“Avevo sentito.” Rispose il passante.
“Forse che vogliate seguirci alla nostra modesta magione? Si da il caso che noi si sia affittacamere della massima serietà e integrità.” disse la vecchietta.
“Quand’è così.” Bofonchiò Kaprawoulf uscendo dal cespuglio.”Facciateci strada.”
Incamminandosi verso la magione un refolo di vento fece volare la bombetta dalla testa del passante fin sullo sgabello.
“Ciao!” Disse lo sgabello. “Io sono uno sgabello!”
“Bello!” Rispose la bombetta. “Io una bombetta.”
“Betta!”
“Ha! Ha! Ha! Sei simpatico…”
E così tutti quanti arrivarono alla casa, la vecchietta mostrò la stanza a Kaprawoulf che ne rimase entusiasta. Dopodichè il passante si premurò di chiudere a chiave i nostri eroi nella cantina. Kaprawoulf ne fu meno entusiasta, ma si sarebbe adattato, non fosse che Flaffenberg fece notare che forse erano chiusi lì in attesa dell’arrivo delle autorità che li avrebbero arrestati ed espatriati e giustiziati e sicuramente non rimpinzati o coccolati.
A questo punto vi risparmio la penosa scena di disperazione rappresentata da Kaprawoulf nella consapevolezza della morte. Vi risparmio anche le reazioni di sarcasmo, sfiducia, motteggio e indifferenza dei suoi compagni di viaggio. Vi risparmio anche di come l’altra sera sono riuscito a cucinare uno spezzatino usando solo bambù, funghi champignon, uno spazzolino da denti e sette fiammiferi nuovi. E se volete risparmiare ancora fate la tessera del supermercato che questa settimana c’è la mozzarella in offerta.
Passerò invece a raccontarvi di come la bombetta, invaghitasi dello sgabello, sfilò le chiavi della cantina dalle narici del passante e liberò i nostri.
Anzi, no.
In fondo vi ho appena detto cos’è successo, quindi non c’è bisogno di entrare nei dettagli. Anche se sarebbe stato interessante scoprire come se la cavarono per il rotto della cuffia grazie al provvidenziale intervento del platano che dimostrò di conoscere le arti marziali. E invece niente. Ma non credo che ci perderete il sonno stanotte.
E così Kaprawoulf, Flaffenberg, Platano, Sgabello e Bombetta si rifugiarono in un negozio per sfuggire agli inseguitori. Si trattava perlappunto di un’agenzia di collocamento interinale e alla scrivania, seduta in posa poco elegante con i piedi sul monitor si trovava Erinnarinnirahannarica.
E qui ci fermiamo perchè da questo incontro scaturirono conseguenze tali da cambiare la storia del mondo per sempre e non siamo sicuri che siate pronti per sentire il racconto di ciò che segue… e poi è anche un po’ tardino. E devo svuotare la lavatrice. Ecco.
Abbiamo scoperto di recente, curiosando nei misteriosi archivi dell’Internet Movie Database, l’esistenza di un bizzarro film di fantascienza, il quale ha attratto la nostra attenzione per diversi motivi: a) si intitola Kin Dza Dza! e questa è già, a ben vedere, una ragione sufficiente; b) è piazzato al 25° posto nella classifica dei Più Bei Film Di Fantascienza Del Mondo; c) è un film sovietico; d) nessuno di noi ne aveva mai sentito parlare. Potevamo sopravvivere senza colmare questa incresciosa lacuna? No, non potev – beh, in realtà si, ma sapete come vanno queste cose. Per cui ci siamo procurati il film in questione, e in compagnia dei due protagonisti, Zio Vova e il Violinista, ci siamo ritrovati sul pianeta Pluk. Eh si.
Vladimir Nikolaevich Mashkov, infatti, Zio Vova per gli amici, saggio e robusto elettricista sovietico, incontra per la prima volta il suo compagno di avventure, il timido e smilzo Gedevan Alexandrovich Alexidze (detto il Violinista perchè, non ci crederete, suona il violino in un’orchestra), per le strade di Mosca. I due si fermano a prestar soccorso a un tizio che afferma di provenire da un altro pianeta; trovandosi nella Russia degli anni ‘8o sono più propensi a credere che si tratti di un ubriaco, e così quando il misterioso raggio teletrasportatore si attiva, si trovano sparati dall’altra parte dell’universo. L’idea in sè non è certo una novità: dai tempi di John Carter di Marte e del Barone di Munchhausen, la storia del tizio su un altro pianeta che deve trovare il modo di tornare a casa è uno dei Grandi ed Onorati Clichès della fantascienza. Così come il mondo postapocalittico, ridotto a un deserto cosparso di rovine arrugginite, dove pochi superstiti si contendono le scarse risorse vitali – tipo Mad Max, per intenderci, o Dune. Quello che fa la differenza è il modo di raccontare queste storie; e qui abbiamo tutto lo squallore, i personaggi grotteschi, i paradossi della burocrazia e quell’incredibile atmosfera di miseria stabile, economica e morale, talmente tragica da risultare comica, che solo la Grande Madre Russia ci ha potuto regalare. Oppure Alan Ford. Comunque, il pianeta Pluk è abitato da umanoidi telepatici, suddivisi in un incomprensibile sistema di caste, classi e ruoli sociali; neanche i Plukiani sembrano capirci granchè, e portano sempre un apparecchio che fornisce l’esatto status di chi si ha davanti, il che permette di eseguire correttamente tutti i rituali del caso – tipo accovacciarsi, battersi le guance e gridare “KOO!” quando si è in presenza di una persona di rango più elevato. Zio Vova e il Violinista scoprono che un oggetto in loro possesso è considerato estremamente prezioso, su Pluk; non si tratta del colbacco nè del violino, ma dei fiammiferi. Già, i fiammiferi; le cui sostanze chimiche permettono ai plukiani di far funzionare le loro astronavi. Che si chiamano Pepelaz. No, per dire: Pepelaz. Altro che Millennium Falcon o Cuore d’Oro: Pepelaz. Potremmo andare avanti tutto il giorno a dire: Pepelaz. Vabbè, sorvoliamo (a bordo del Pepelaz! – ehm). Kin Dza Dza!, comunque, ha avuto un enorme successo, in Russia, tanto che, a quanto dice l’immancabile Uìchipedia, Koo! è un’esclamazione comune tra i nerd di quelle lontane contrade; è un film chiaramente satirico e critico, ma non per questo meno godibile da chi come noi è nato dall’altra parte della Cortina di Ferro (dalla parte sbagliata, direbbe il Gnagnera). Anzi: un po’ Kusturica, un po’ Monicelli, un po’ Kaurismaki, è l’ideale per chi – come noi – ama bullarsi con gli amici dei propri insoliti gusti cinematografici. KOO!
L’Iconologia del Cav. Cesare Ripa ha goduto, dai tempi lontani della sua prima apparizione, di vasta e meritata fama; e ognuna delle sue, innumerevoli, edizioni successive ha visto questo curioso catalogo ampliarsi ed arricchirsi, fino a diventare un vero e proprio esercito allegorico (di cui qualche esempio può essere osservato, chissà perchè, in queste pagine giapponesi). Il suo ideatore l’aveva concepita come opera di riferimento, per pittori, scultori e architetti: si tratta infatti di una raccolta di icone, di immagini commentate, di rappresentazioni simboliche, cui artisti e committenti potevano trarre ispirazione. «Con l’Iconologia alla mano si può spiegare la maggior parte delle allegorie che ornano i palazzi e le chiese di Roma», afferma lo storico Émil Mâle, e il celeberrimo Praz, nell’introduzione, fa notare come questi emblemi siano in un certo senso più vicini alla mentalità pagana dei Romani che non a quella cattolicissima del XVII secolo. Noi, che di queste cose ne capiamo poco assai, ci limitiamo a goderci questa interminabile sfilata di bizzarri personaggi, dove, accanto all’immagine dell’Amore, del Digiuno, della Modestia e della Fede, appaiono la Povertà In Uno Che Abbia Bell’Ingegno, la Fuga Popolare, il Disprezzo Et Distruttione De I Piaceri & Cattivi Affetti, il Giorno Artificiale, la Meditazione Della Morte, la Machina del Mondo e la Digestione. Vien da chiedersi quale cardinale o visconte abbia mai detto al pittore che ne decorava i saloni: «E qui mi faccia una bella immagine della Vergogna Honesta, o magari del Commertio della Vita Humana»; molte di queste immagini hanno radici in un mondo assai diverso dal nostro, e ci risultano strane e incomprensibili. Oggi, forse, avremmo la Casella Di Posta Intasata Dallo Spam, le Dichiarazioni Farneticanti Del Tale Ministro, o il Pirla Che Parcheggia Il Suv In Seconda Fila Dimodochè Il Tram Impiega Sei Ore Per Fare Due Fermate. Ma ad una di queste immagini siamo particolarmente affezionati, un’immagine che giustifica la non proprio esaltante frequenza dei nostri ultimi post:
«Donna vecchia, brutta, mal vestita, che stia à sedere e che tenghi la guancia appoggiata sopra alla sinistra mano, dalla quale penda una cartella con un motto che dichi: TORPET INERS, & il gomito di detta mano sia posato sopra il ginocchio, tenendo il capo chino, e che sia cinto con un panno color nero e nella destra mano un pesce detto Torpedine.»