Brevi ma Intense

Ah, le vacanze! Il Grande Esodo è finalmente giunto e per alcuni fortunati è pure già passato. Finalmente potrete rilassarvi & dimenticare le frombole e i dardi dell’anno passato spaparanzandovi al sole dei Tropici (e dite un po’: quanti di voi hanno mai usato almeno una volta in tutta la vita la parola “spaparanzàndovi”? Eeh?) con un bel cocktail. Non tutti, però, sono così fortunati: come, tanto per dire, alcuni membri della Squadra Cazzate, costretti a passare lunghe notti insonni a vegliare su complessi meccanismi da cui dipende il futuro dell’umanità. Il che, se non altro, lascia un bel po’ di tempo per leggere. Per esempio:

  • Il Signore delle Mosche: beh, la storia la sapete: un branco di odiosi ragazzini fa naufragio su un’isola deserta piena di maiali selvatici e cominciano darsele di santa ragione. La cosa che più colpisce, per quanto possa parere strano, a parte poi le ovvie considerazioni filosofiche del caso, è la curiosa scelta editoriale di lasciare metà dei nomi in inglese e tradurre gli altri in italiano: per cui accanto a Ralph, Jack, Stanley e Piggy abbiamo Simone, Maurizio, Aroldo e Guglielmo. C’è anche un Pippo. Il che forse non spiega l’atroce epilogo della vicenda, ma dà da pensare. Golding, comunque, nonostante frasi come “L’uomo produce il male come le api il miele”, doveva essere un’ottimista: l’idea che un gruppo di dodicenni abbandonati a sè stessi aspetti un paio di mesi prima di iniziare a scannarsi è francamente ingenua. Noi non gli avremmo dato mezza giornata.
  • Il Diario Segreto di Phileas Fogg: Philip Josè Farmer, autore del Salario Purpureo , del Ciclo del Fiume e di Venere sulla Conchiglia ci spiega cosa è realmente successo durante l’avventurosa impresa immortalata da Giulio Verne. Perchè, dovete sapere, Fogg era in realtà un alieno, come Passepartout, e il viaggio era in realtà una complessa messinscena per nascondere un allucinante intrigo di spionaggio intergalattico. C’è il capitano Nemo, ovviamente, ci sono doppi e tripli giochi, marchingegni diabolici, elefanti imbizzarriti e così via. Curioso, anche se a tratti, diciamolo, un po’ pallosetto.
  • The Amazing Screw-On Head: dal mitico Mike Mignola, creatore di Hellboy, la storia – un fumetto di una quarantina di pagine – di un agente segreto al servizio di Abramo Lincoln, il cui nome, La Stupefacente Testa Svitabile, indica abbastanza chiaramente che si tratta di un automa a molla intelligente e dal corpo intercambiabile. Non finiamo mai di stupirvi, eh? Comunque, Lo Stupefacente coso, assieme al suo assistente, Mr. Cane (un cane parlante e dotato di poteri occulti, nonostante sia imbalsamato in una teca di vetro) e al maggiordomo Groin, sventano i piani… oh, beh, non possiamo certo rivelarvi tutto. Vi basti sapere che ci sono mostri e dirigibili e vampiri e antiche profezie e gentiluomini coi baffoni e persino il ritratto di una scimmia. Come molte altre storie di Mignola non è tanto la trama, quanto l’atmosfera, le facce stralunate, i dialoghi; per cui sappiatevi regolare. Un piccolo capolavoro.
  • La Tuttologia e la Fuffa. Due vie che conducono alla stessa meta: il successo dell’imprenditoria italiana, della dottoressa Ana Che Mazón y Gulag. Ehm. Che dire? Gulag, appunto. Interessante ed innovativo, indispensabile per ogni fuffologo degno di questo nome, una panoramica sulle nuove frontiere del mercato globale dell’aria fritta alle soglie del terzo millennio. O qualcosa del genere.

Buona lettura.


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L’Alfabeto Immaginario

scienze-veritaocazzate

Breve Storia della Lingua Italiana Immaginaria

di Mario Turn und Taxis Rossi

dipartimento di Analisi Linguistica Moderna, Università L’Ignoranza, Roma
mturnundtaxisrossi@igno.edu.uniro.it

Il primo riferimento a noi noto dell’esistenza di un dizionario immaginario si trova nel compendio al quindicesimo libro dell’Ambaragesto di Tolomeo, dal titolo “Discorso sull’arte della composizione poetica” nell’italica edizione ad opera di Ettore Ciccionazzi (Venezia, 1642)[1]. In riferimento alla difficoltà di trovare rime per certe parole di uso comune si legge:

“…e trovatomi nell’impossibilitate di rimare in fegato, non prono all’arrendevolezza, come ben noto, escogitai siffatto stratagemma: che le desinenze in porzione uguale alla lunghezza delle parole fossero in relazione con li termini di pari misura i cui suffissi stessero in antitetico rapporto con le suddette desinenze. Ed introdussi lo simbolo “§” per riconoscere le parole soggette a cotale artifizio dalle parole impiegate in usual guisa.
Sicchè lo mio componimento risultossi alfine:

Svegliati infine
dal tuo torpore,
caro il mio Ubaldo,
uomo d’onore.

Incedi spavaldo,
se tu ce ne hai il fegato,
e affronta da uomo
il tuo
§paranco.[2]

Lo stratagemma introdotto dal Ciccionazzi fu ripreso più volte nel corso del mezzo secolo seguente[3], fin quando Ludovico Fibonacchio, matematico mantovano di oscura fama, dedito alla scienza come all’alchimia e noto ai più per essere stato il primo ad usare il machete nella preparazione della ricotta salata, si dedicò ad uno studio esaustivo delle rime immaginarie. Si deve quindi al Fibonacchio l’introduzione del simbolo “1” in vece del più complicato “§”[4].
Nel suo “Delle Rime possibili. Breve componimento scientifico, sul rimare matematico delle parole assoggettabili” (Editori Sfiniti, Mantova, 1714)[5] si legge:
“Con questo mio modesto libercolo intendo qui mostrare riguardo all’artificio del rimare immaginario, che da qualche decennio tanto popolare è invero tra le italiche arti, che in realtà non di artificio si tratta bensì di matematica regola della lingua e della grammatica.”[6]
Segue un’accurata analisi della regola introdotta dal Ciccionazzi con conseguente applicazione ad intere famiglie di parole del dizionario (la prima famiglia di parole considerata dal Fibonacchio è quella dei vegetali e non, come ritenuto da molti[7], quella degli organi interni) allo scopo di mostrare come questa regola, scoperta per caso, potesse essere l’indicazione dell’esistenza di un intero nuovo vocabolario di parole della lingua italiana. Il Fibonacchio introduce quindi la terminologia “Lingua Italiana Immaginaria” ed in appendice al libro stila quello che può essere considerato il primo dizionario “italiano reale – italiano immaginario”[8].

Dopo alcuni decenni di esplorazione, interesse e curiosità per la nuova lingua introdotta dal Ciccionazzi, tuttavia l’italiano immaginario si ridusse a mera curiosità artistica e grammaticale[9]. Tanto che la più rilevante poesia immaginaria di quel periodo fu scritta per semplice gioco, nel corso di una cena tra amici all’osteria del Muflone Ripieno, sul retro di un fazzoletto di carta da Guiscardo Marronazzi detto il Celenterato[10]. Essa recita:

Fior di popone
felici i pappataci a colazione
esclamano contenti:
1ussaro![11]

e si può ben vedere come il livello delle composizioni immaginarie fosse sceso nel corso di poche decadi.
Lo studio della lingua italiana immaginaria proseguì quindi lentamente fino alla metà del XIX secolo quando Pierre Simon de Surplace, poeta e matematico torinese, si accorse delle profonde implicazioni matematiche della lingua immaginaria. Il lavoro di Surplace collegava diverse aree del samepre accademico e fu per questo che riscosse un certo successo. Nasceva così la disciplina oggi nota come analisi poetica complessa che attirò rapidamente una vasta schiera di eruditi tra cui Guglielmo Sfarinazzi, Adolfo Bacchilardo-Popoff, Lamberto Pallaro e Giovanni De La Rive Gauche[12].
Questi ampliarono e approfondirono il bagaglio di conoscenze sulla lingua immaginaria e nel giro di pochi anni introdussero una serie di nuovi concetti, teoremi, proposizioni, strutture metriche che portarono al nascere di nuove arti e discipline (di quel periodo la teoria dei numeri poetici che connette lo studio delle rime con la nascente teoria dei numeri) in quello che oggi è conosciuto come “Rinascimento immaginario”[13].
Ricordiamo ad esempio l’introduzione del “Dizionario Irrazionale” ad opera del Bacchilardo-Popoff (noto anche per aver calcolato le prime tavole delle logarime)[14]. Le parole irrazionali, secondo il Bacchilardo-Popoff, sono tutte e sole quelle che possono essere ottenute da due parole naturali effettuando una semplice operazione di sottrazione. Ad esempio, seguendo la notazione introdotta dal Bacchilardo-Popoff:

immaginario-car

o anche:

immaginario-alb

In questo modo Orlando Iermolo Micione, discepolo del Bacchilardo-Popoff, introduce un poetare irrazionale nell’arte italiana. A lui si devono le indimenticate rime irrazionali:

dendo e rando, terminati
azi dà da ella, e umani
lenzi, e rondissima qui.
[15]

E’ nota a tutti la diatriba epistolare tra il Micione e il Leopardi sull’uso delle rime irrazionali[16]. Fu al termine della querelle, durata diversi anni, in cui il Leopardi ebbe il sopravvento tacciando il Micione di qualunquismo, insipienza e abigeato, che il poeta ebbe un esaurimento nervoso e passò i restanti anni della sua vita convinto di essere una credenza Luigi XIII[17].

Di quegli anni è pure l’analisi teorica della lingua immaginaria. Iniziata dalla scuola matematica di Luigi Maria Caciuccoli con un pioneristico saggio su poesia, grammatica e religione dal titolo “Dio, fegato e il gerundio passivo[18].
Riteniamo opportuno riportare, per interesse storico, un passaggio fondamentale, in cui, per la prima volta, arte, analisi numerica e religione convergono in una unitaria forma di sapere pandisclipinare:
“E pertanto, se consideriamo attendibile la teoria appena enunciata, ad ogni parola reale deve necessariamente corrispondere una parola immaginaria e vice versa. Di modo che applicando ad una parola reale l’immaginarietà due volte in successione si ottenga nuovamente una parola reale.
Inoltre risulta chiaro, alla luce di quanto appena esposto riguardo al simbolo “1” del rimare immaginario, che non di simbolo si tratta bensì di parola immaginaria a tutti gli effetti. E quale parola può questa essere a non aver corrispettivo tra le parole reali? Una breve indagine storico/religiosa ci mostra immediatamente che l’unica parola reale che non può essere pronunciata è il nome di Dio stesso. Pertanto questo deve essere il significato di “1” (da cui l’unicità della trinità divina e l’uno come principio primo o motore immoto. Ogni cosa sia nell’universo quanto nel linguaggio si origina quindi dall’Uno). E a questo punto è facile concludere che

immaginario-dio

come intuito secoli or sono da Plotino e con buona pace dei pluralisti.”[19]
Pure del Caciuccoli è l’idea che la composizione di una parola reale con una immaginaria dia luogo ad un altra parola, che viene definita complessa[20]. Un esempio di parola complessa è:

immaginario-xenu

Il modulo di una parola complessa è una parola reale che non necessariamente corrisponde alla parte reale della parola complessa considerata. Ad esempio la parola reale “fegato” può essere ottenuta come modulo della parola complessa “cammello+1andassero”. Il tutto è molto semplicemente riassunto nella notazione introdotta dal Caciuccoli:

immaginario-fegato

Allievi del Caciuccoli furono i poeti e grammatici immaginatici, a cui si devono gli sviluppi che portarono la teoria della lingua immaginaria alla sua forma attuale[21].

Nel pioneristico lavoro “Immaginario e poetica di un poeta immaginario[22] vengono introdotti alcuni dei concetti che sono a tutt’oggi fondamento del rimare immaginario.
L’articolo era una biografia di Primo Orazio Maria Imago, poeta mai esistito, con conseguente analisi della sua opera e delle sue costruzioni in rima, scritta da uno studioso di nome Ermete Pancreatico. In realtà, come risultò chiaro in seguito, sotto lo pseudonimo del Pancreatico si celavano diversi studiosi della grammatica e dell’alfabeto immaginario[23].
Nel secondo paragrafo vengono per la prima volta introdotte le coordinate cartesiane per individuare le parole reali e le parole immaginarie[24] (si veda la figura seguente).

immaginario-cartesiane

In questo modo il modulo di una parola complessa può essere individuato graficamente.

Da allora lo studio della lingua italiana immaginaria si è esteso nelle più svariate direzioni. Dai “Sonetti immaginari” di Guglielmo Scoppolo[25] alle “Rime complesse di un vecchio marinaio” di Goffredo Maionese[26]. Dall’immaginismo allo sfrucugliantismo, fino ad arrivare poi alla corrente del complessicismo[27], molto popolare negli anni venti del XX secolo.
Alla base del complessicismo sta l’idea che ogni poesia debba essere interamente complessa con rime intrecciate tra le parole reali e le parole immaginarie di modo che il significato reale dell’opera emerga solamente facendo il modulo dell’intera poesia.
Leggiamo ad esempio Salvatore Della Terra in un classico esempio di poesia complessicista[28]:

immaginario-plot

Degna di nota è infine la moderna corrente del funzionalismo (o funzionalismo poetico multidimensionale), che formula ogni componimento poetico come grafico nello spazio delle fasi immaginarie[29]. Dalle più semplici poesie viste come funzioni nel piano si arriva fino alle complesse interazioni poetiche multidimensionali in cui la poesia risulta un’ipersuperficie in uno spazio delle rime a n dimensioni (in figura una proiezione bidimensionale del componimento eptadimensionale “Oh! Signor del Quando a che io gorgoglio” di Libero Ambidestri[30]).

plot3d

Parallelamente alle correnti artistiche si muovono poi dotti e studiosi che le studiano. Per un’analisi approfondita del fenomeno rimandiamo all’esaustivo lavoro di Andrea Vasto e Maria Minuta[31]. Qui ci preme solamente ricordare la rilevanza artistica e cognitiva delle simmetrie nelle composizioni complesse, come fatto notare da Otto Ionoi e Alvino Livio Oivilonivla (di origini finlandesi), noti come i palindromi, in “Strutture simmetriche nell’arte immaginaria[32].

Note bibliografiche:
[1] Tolomeo, Ambaragesto, vol. XV, Discorso sull’arte della composizione poetica, trad. Ettore Ciccionazzi, Venezia, 1642.
[2] ibid., vol XV, p.487.
[3] Poemi e canti italici dagli albori al 1703, a cura di Marco Pàcapa, vol. VIII, Edizioni Sparute, Conegliano Veneto, 1988.
[4] Angelo Maria Rimario, Della notazione poetica nel ‘settecento e delle sue influenze sul contenuto fattuale, Annali di Ricerca Poetica, vol. 78, p. 1038, 2002.
[5] Ludovico Fibonacchio, Delle Rime possibili. Breve componimento scientifico, sul rimare matematico delle parole assoggettabili, Editori Sfiniti, Mantova, 1714.
[6] ibid., p.1.
[7] Andrzej Szklowkowatzki, On rhymes and vegetables in italian poetry, International journal of poetical reserch, vol. 104, p.22, 1973.
[8] ibid., p.748.
[9] Vannoccio Biringuccio, Rimae Pyrotechnicae, Editori Zitti Zitti, Pantelleria, 1790.
[10] Selvaggia Frolla, Vita e opere del Celenterato, Ed. Einaudite, 1968.
[11] ibid., p.237.
[12] Introduzione all’analisi poetica complessa con esercizi svolti, a cura di Giovanni Dementiele e Anna Maria Scorza, Ed. Gulp, 1998.
[13] ibid., vol. IV, p.171.
[14] Adolfo Bacchilardo-Popoff, How to say irrational things and still make sense somehow in Metric structures, Worchester Sauce University Press, 1868.
[15] Orlando Iermolo Micione, L’infinito imperativo categorico da Cantici Irrazionali, edizioni Giunone, 1901.
[16] Emanuele D’Annunzio, Micione e Leopardi. Ovvero di come due spiriti potenzialmente affini possano ridursi a darsele di santa ragione attraverso mezzi di comunicazione e oggetti contundenti per ragioni la cui futilità è evidente per chiunque, Edizioni la Rinascente, Milano, 1915.
[17] Oliviero Sacchi Pallati, Il poeta convinto d’esser una credenza, Ed. Alephi, 1963.
[18] Luigi Maria Caciuccoli, Dio, fegato e il gerundio passivo, Nuovo Cimento Poetico, vol.4, p.18. 1912.
[19] ibid., p.17.
[20] ibid., p.31.
[21] Szwinka Voluptaya, Caciuccoli’s heritage: A short essay about nothing e Caciuccoli’s followers: A longer one, but still about nothing, Poetical review D, vol. 66, p.1034, 1973.
[22] Ermete Pancreatico, Immaginario e poetica di un poeta immaginario, Annali di Ricerca Poetica, vol.2, p.34, 1926.
[23] Autori Vari, Steno, Euriale, Ermete Pancreatico, Alan Smithee e altre creature immaginarie di cui non si sentiva il bisogno, Atti del XXII Convegno Immaginario, Editore Ignoto, La spezia, 1932.
[24] ibid. p. 38.
[25] Guglielmo Scoppolo, Sonetti immaginari, Ed. Einaudite, 1974.
[26] Goffredo Maionese, Rime complesse di un vecchio marinaio e altre cose, Pizzaioli, 1952.
[27] Autori Vari, Manifesto Astratto e Complessicista, Edizioni Il Panzone, Villafranca, 1919.
[28] Salvatore Della Terra, Opere Scelte. Da chi?, a cura di Scelto Curatore, edizioni Spazio, 1999.
[29] John John Perone, Functional poetical analysis in n-dimensional compactified grammar spaces, Ars Magna et Magna Magna, vol. 43, p. 342, 1978.
[30] Libero Ambidestri, Rime sparse in n dimensioni, Edizioni Buttafuori, 1982.
[31] Andrea Vasto e Maria Minuta, Tutta la poesia. Ma proprio tutta. E che diamine., Ed. Il Minchione, 1973.
[32] Otto Ionoi e Alvino Livio Oivilonivla, Strutture simmetriche nell’arte immaginaria, Edizioni Università di Pazzia, 2004.


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Il Calendario di Frate Cazzaro – Agosto 2008

0808mese Debello Cazzaro
Le Cazzate, nel loro insieme, sono divise in tre parti: una abitata dai Belgi, un’altra dalla Squadra Cazzate, che fa la guardia ai suoi confini con la roncola di giorno come che di notte, la terza dai popoli chiamati localmente I Popoli della Terza Parte delle Cazzate e da noi… pure (o anche I Popoli a Ovest delle Cazzate). Le Cazzate differiscono tra loro per linguaggio, istituzioni e leggi, eppure ovunque vada è facile riconoscerle. A meno che non si tratti del Calamaro Vampiro, ovviamente.
0808calendario Ode alle Cazzate estive
Cazzate d’agosto
Fioriscon di botto
e prendon il posto,
con astuto complotto,
di vecchie minchiate,
ormai lise e consunte,
che furon piazzate,
da teste presunte,
a guidare le genti,
liberare le fonti,
e spiegar ai sapienti
a fare due conti.

La Blatta Parlante
se ne sta lì, immobile, da giorni. Non fa nulla, non dice nulla, rifiuta persino la sua amata tisana di cerfoglio. Forse che dobbiamo preoccuparci?

Le Babbucce di Zinco
Romanzo in 2648 capitoli di 11 parole ciascuna
– cap. 17 –

Con uno scatto felino ingoiò la povera laringe, azzittendone le urla atroci.

Saper ascoltare:
-E’ importante.
-Cosa?
-No, dicevo… saper asoltare è importante.
-Ascoltare cosa?
-Eh?
-Dicevi che saper ascoltare è importante.
-Lo so.
-Cosa?
-Quello che dicevo.
-E?
-E cosa?
-Cosa è importante saper ascoltare cosa?
-Che?
-Vabbè… diciamo che è importante e facciamola finita lì che se no si fa notte.
-Dove?
-Qui… ma facciamola finita lì.
-Sì.
-E diciamo che è importante.
-Diciamolo.
-Dillo tu che a me non va tanto… sono un po’ stanchino e mi sa che mi sta pure venendo il mal di testa.

 

0808semina

Il Santo del mese.

 

B.V. Miss Piggy : pochi oggetti inanimati e ancor meno vegetali riescono ad avvicinarsi alla soave beltà della Beata Vergine Miss Piggy, venerata con ardore e devozione da intere popolazioni di platelminti e anche da qualche solitario vombato.
Nota ai più per il Miracolo delle Presine da Forno, la Beata Suina vinse il primo premio alla XXVIII Sagra “Cazzate & Santità” grazie alla pattina del Cardinal Rugginofagus (da lei abilmente sottratta con l’uso di un mattarello rinforzato in ghisa), che venne prontamente santificata senza alcun perché.

0808santo

Ordini dall’alto

Hai davanti una tavola sontuosa? Non spalancare verso di essa la tua bocca e non dire: “Che abbondanza qua sopra”. Ricordati che l’occhio cattivo è un male. Che cosa è stato creato peggiore dell’occhio? Per questo esso lacrima in ogni circostanza.

Siracide 31, 12


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Gorbaciov contro gli Zombie!

Un esercito di zombie coi baffoni invade la Russia! Solo il prode Mikhail Gorbaciov può salvarci! O qualcosa del genere. Questi sono gli Anj, un gruppo metal russo di cui ignoravamo ahimè l’esistenza… ma ci ripromettiamo di colmare quest’incresciosa lacuna.


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Il Calendario di Frate Cazzaro – Luglio 2008

0807mese I dolori del giovane Frate Cazzaro
Tutto quanto ho potuto rintracciare sulla vicenda del povero Cazzaro, l’ho raccolto con cura e qui ve lo sottopongo, sicuro che me ne sarete grati. Non molto in verità. Un vecchio tovagliolino scritto, un piccolo taccuino e alcune annotazioni su un sacchetto di carta. Non mancherete di effondere la vostra ammirazione e il vostro amore sul suo spirito e carattere e su quanto sia riuscito a scrivere su un semplice sacchetto di carta. Già.
0807calendario Discorso su cose che riguardano cose
del Conte Gianluigi Naso Guascone
Fattispicio: “Io qui asserisco che le cose sono necessarie in quanto fanno cose mio caro Qualunquio.”
Qualunquio: “Non intendo io negar la tua asserzione, illustre collega, sebbene la disputa di Aquisgrana sembra aver dimostrato che le cose, se non impiegate in qualcosa, sono di fatto inutili.”
Fattispicio: “Oh, Qualunquio. Ricordo bene Aquisgrana. E ricordo l’arringa di Sospezio riguardo alla cositudine delle cose e all’immanenza nel cosar qualsiasi cosa. Cionondimeno la cosa mi pare speciosa.”
Qualunquio: “Quale cosa?”
Fattispicio: “Cosa?”
Qualunquio: “Eh?”
Fattispicio: “Non ho capito una cosa.”
Qualunquio: “Cosa?”
Fattispicio: “Appunto.”
Le Babbucce di Zinco
Romanzo in 2648 capitoli di 11 parole ciascuna
– cap. 16 –

Fermati marrano, invocò la laringe. Ma il Piripiriz era scaltro e avveduto.

La Blatta Parlante
è senza parole dopo aver preso una multa per divieto di Blatta su Iota Lyrae III …ma tanto poi fa ricorso al tarb (Tribunale d’Appello Reati Blattici) e finisce tutto a tarallucci e vino.

Forse non tutti sanno che
in alcuni paesi dell’Asia il masochismo è un reato punibile con un soggiorno forzato di una settimana in una località termale della bassa Baviera.

 

0807semina

Il Santo del mese.

 

San Gengulfo: l’esile e aggraziato san Gengulfo adora muoversi leggiadro di fiore in fiore e posarsi sull’addome di ignari passanti, frantumando ossicina e spappolando organi interni e venne perciò ingiustamente bandito da quasi ogni nazione civile nel lontano ’37 con l’Editto di Pinzillacchera. Così impossibilitato a diffondere la parola del Signore, il tenero santino si dedicò quindi al wrestling, utilizzando le sue doti arcane per spiaccicare poveri omoni dotati di maschere buffe.

0807santo Ordini dall’alto

 

– continua – Perciò tutti i popoli, nazioni e lingue, in quell’istante che ebbero udito il suono del corno, del flauto, della cetra, dell’arpicordo, del salterio e di ogni specie di strumenti musicali, si prostrarono e adorarono la statua d’oro che il re Nabuccodonosor aveva fatto innalzare. Però in quel momento alcuni Caldei si fecero avanti per accusare i Giudei e andarono a dire al re Nabucodonosor: “Re, vivi per sempre! Tu hai decretato, o re, che chiunque avrà udito il suono del corno, del flauto, della cetra, dell’arpicordo, del salterio, della zampogna e di ogni specie di strumenti musicali si deve prostrare e adorare la statua d’oro: chiunque non si prostrerà per adorarla, sia gettato in mezzo ad una fornace con il fuoco acceso.”

Daniele 3, 7


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Gli Eterni

«Le mie ferite sono profonde, Kro! Ma sopravvivo! Sopravvivo per farmi beffe di parole così arroganti pronunciate da qualcuno abituato a giudicare gli altri!»

Questi si che sono dialoghi! Un fumetto in cui ci sia una battuta del genere, pronunciata per giunta da un personaggio come il capoccione rosso dell’immagine accanto, ci dice prima di tutto una cosa: se devi fare una cazzata, falla grossa. E in effetti Gli Eterni di Jack Kirby (roba di trent’anni fa) si muove pericolosamente in bilico tra il capolavoro e la minchiata, lasciando al lettore il compito di decidere quale dei due aspetti prevalga. Per noi, neanche a dirlo, è un capolavoro. Gli Eterni che danno il titolo a questa saga di divinità cosmiche e mazzate pure (nel senso di pure loro cosmiche) sono un popolo di superuomini immortali, che da millenni vivono su sperdute montagne dediti alla ricerca della Verità Assoluta e alla protezione dell’umanità, che nel corso dei secoli li ha trasformati in miti, divinità e leggende. Molti di loro camminano tra di noi sotto mentite spoglie: Socrate, la Maga Circe, Toshiro Mifune (!?) sono in realtà membri di questa razza eletta, creata dagli Dei in un lontanissimo passato a partire dai nostri antenati scimmieschi. Assieme agli Eterni crearono gli Uomini (noi) e i Devianti, orride creature che ora abitano in fondo al mar; e poi se ne andarono. Ora sono tornati per controllare il risultato del loro esperimento genetico. Kirby, come abbiamo detto, pensava in grande, e in effetti le sue visioni sono semplicemente fuori scala, nel tempo e nello spazio: in una scena che definire epica è poco, il Signore degli Dei dello Spazio, Arishem della Quarta Schiera – un cristone di seicento metri di altezza con una specie di secchio in testa – discende dalla sua sterminata Nave Madre sulle montagne andine (perchè gli Inca sapevano tutto e ci hanno lasciato messaggi, piste d’atterraggio e financo una squadra di tecnici Eterni ibernati pronti ad accogliere gli augusti ospiti) e si piazza lì su un piedistallo di pietra, per esaminare il mondo per cinquanta anni, al termine dei quali deciderà se lasciarlo in pace o gettarlo nel cestino. I terrestri reagiscono come formiche impazzite: gli Americani mandano razzi nello spazio, i Russi preparano la rappresaglia nucleare perchè, cheddiamine, sono Russi, i Mutanti dalla loro perduta Lemuria preparano la guerra finale contro tutti, e gli Eterni si decidono finalmente a scendere dall’Himalaya e aiutare tutti a mantenere la calma. Questo lo scenario; per il resto, sono mazzate. Gli Eterni sono ispirati (o ispirarono) i pantheon di molti popoli, in particolare i Greci: Zuras è Zeus, Ikaris è Icaro, Makarri è Mercurio e così via. Sono immortali e onnipotenti, e non ci sono in giro supereroi o supercattivi che possano dar loro fastidio (questa serie non era pensata come parte della mostruosa continuity che da sempre ingloba tutte le creazioni Marvel) – e gli dei sono fuori portata anche per loro. Quindi si menano fra di loro, in letizia e armonia, oppure con i Devianti (gente tipo Zakka, il Signore dei Marchingegni, oppure Tutinax lo Scuotimontagne, o Dromedan il Ladro di Cervelli), oppure altri malcapitati come un Hulk robot, creato da due liceali, che si ribella e spacca tutto (dove ho già sentito questa storia?); inframmezzando il tutto con pagine di rituali e discorsi incomprensibili, tipo l’Uni-Mente, in cui tutti gli Eterni si uniscono alla mente di Zuras (“Levitiamo, ora, per goderci un ultimo istante di volo prima di diventare una cosa sola con il grande Zuras!”) creando un megacervello intelligentissimo che poi non si capisce bene cosa faccia.
Beh, che altro dire? Gli Eterni resta per noi una pietra miliare del fumetto, e dimostra come la differenza tra il genio e “gli altri” sta nel fatto che il genio si crea i propri criteri di riferimento, e i metodi di giudizio che applichiamo agli altri qui non funzionano. Ovvero: questa è una storia strampalata, per usare un eufemismo, che oscilla tra l’epico e il ridicolo (tipo la lezione tenuta dagli Eterni all’università di New York per spiegare la vera storia della vita sulla terra, o il Deviante Kro che vuole conquistare il mondo facendosi crescere le corna e spacciandosi per il Diavolo), con personaggi assurdi, dialoghi altrettanto assurdi, disegni grotteschi (lo stile di Kirby è semplicemente impareggiabile, con quelle manone e soprattutto quei dannati pallini neri, fastidiosi come un distacco di retina, che nessuno ha mai saputo imitare) ed episodi inconcludenti – ma ciononostante, o forse proprio per questo, è una storia unica, perchè ha una potenza visionaria, un’ampiezza, e quel nonsochè di mitico, di archetipico, di fuori-del-tempo (eterno, appunto) che ti lascia senza fiato. Cioè, almeno noi. (Come tutte le serie a fumetti, anche Gli Eterni ha avuto il suo remake. Nonostante le buone premesse – disegni di John Romita e storia udite udite di Neil Gaiman – non c’è paragone. Peccato.)


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