Breve Storia della Lingua Italiana Immaginaria
di Mario Turn und Taxis Rossi
dipartimento di Analisi Linguistica Moderna, Università L’Ignoranza, Roma
mturnundtaxisrossi@igno.edu.uniro.it
Il primo riferimento a noi noto dell’esistenza di un dizionario immaginario si trova nel compendio al quindicesimo libro dell’Ambaragesto di Tolomeo, dal titolo “Discorso sull’arte della composizione poetica” nell’italica edizione ad opera di Ettore Ciccionazzi (Venezia, 1642)[1]. In riferimento alla difficoltà di trovare rime per certe parole di uso comune si legge:
“…e trovatomi nell’impossibilitate di rimare in fegato, non prono all’arrendevolezza, come ben noto, escogitai siffatto stratagemma: che le desinenze in porzione uguale alla lunghezza delle parole fossero in relazione con li termini di pari misura i cui suffissi stessero in antitetico rapporto con le suddette desinenze. Ed introdussi lo simbolo “§” per riconoscere le parole soggette a cotale artifizio dalle parole impiegate in usual guisa.
Sicchè lo mio componimento risultossi alfine:
Svegliati infine
dal tuo torpore,
caro il mio Ubaldo,
uomo d’onore.
Incedi spavaldo,
se tu ce ne hai il fegato,
e affronta da uomo
il tuo §paranco.“[2]
Lo stratagemma introdotto dal Ciccionazzi fu ripreso più volte nel corso del mezzo secolo seguente[3], fin quando Ludovico Fibonacchio, matematico mantovano di oscura fama, dedito alla scienza come all’alchimia e noto ai più per essere stato il primo ad usare il machete nella preparazione della ricotta salata, si dedicò ad uno studio esaustivo delle rime immaginarie. Si deve quindi al Fibonacchio l’introduzione del simbolo “1” in vece del più complicato “§”[4].
Nel suo “Delle Rime possibili. Breve componimento scientifico, sul rimare matematico delle parole assoggettabili” (Editori Sfiniti, Mantova, 1714)[5] si legge:
“Con questo mio modesto libercolo intendo qui mostrare riguardo all’artificio del rimare immaginario, che da qualche decennio tanto popolare è invero tra le italiche arti, che in realtà non di artificio si tratta bensì di matematica regola della lingua e della grammatica.”[6]
Segue un’accurata analisi della regola introdotta dal Ciccionazzi con conseguente applicazione ad intere famiglie di parole del dizionario (la prima famiglia di parole considerata dal Fibonacchio è quella dei vegetali e non, come ritenuto da molti[7], quella degli organi interni) allo scopo di mostrare come questa regola, scoperta per caso, potesse essere l’indicazione dell’esistenza di un intero nuovo vocabolario di parole della lingua italiana. Il Fibonacchio introduce quindi la terminologia “Lingua Italiana Immaginaria” ed in appendice al libro stila quello che può essere considerato il primo dizionario “italiano reale – italiano immaginario”[8].
Dopo alcuni decenni di esplorazione, interesse e curiosità per la nuova lingua introdotta dal Ciccionazzi, tuttavia l’italiano immaginario si ridusse a mera curiosità artistica e grammaticale[9]. Tanto che la più rilevante poesia immaginaria di quel periodo fu scritta per semplice gioco, nel corso di una cena tra amici all’osteria del Muflone Ripieno, sul retro di un fazzoletto di carta da Guiscardo Marronazzi detto il Celenterato[10]. Essa recita:
Fior di popone
felici i pappataci a colazione
esclamano contenti: 1ussaro![11]
e si può ben vedere come il livello delle composizioni immaginarie fosse sceso nel corso di poche decadi.
Lo studio della lingua italiana immaginaria proseguì quindi lentamente fino alla metà del XIX secolo quando Pierre Simon de Surplace, poeta e matematico torinese, si accorse delle profonde implicazioni matematiche della lingua immaginaria. Il lavoro di Surplace collegava diverse aree del samepre accademico e fu per questo che riscosse un certo successo. Nasceva così la disciplina oggi nota come analisi poetica complessa che attirò rapidamente una vasta schiera di eruditi tra cui Guglielmo Sfarinazzi, Adolfo Bacchilardo-Popoff, Lamberto Pallaro e Giovanni De La Rive Gauche[12].
Questi ampliarono e approfondirono il bagaglio di conoscenze sulla lingua immaginaria e nel giro di pochi anni introdussero una serie di nuovi concetti, teoremi, proposizioni, strutture metriche che portarono al nascere di nuove arti e discipline (di quel periodo la teoria dei numeri poetici che connette lo studio delle rime con la nascente teoria dei numeri) in quello che oggi è conosciuto come “Rinascimento immaginario”[13].
Ricordiamo ad esempio l’introduzione del “Dizionario Irrazionale” ad opera del Bacchilardo-Popoff (noto anche per aver calcolato le prime tavole delle logarime)[14]. Le parole irrazionali, secondo il Bacchilardo-Popoff, sono tutte e sole quelle che possono essere ottenute da due parole naturali effettuando una semplice operazione di sottrazione. Ad esempio, seguendo la notazione introdotta dal Bacchilardo-Popoff:
o anche:
In questo modo Orlando Iermolo Micione, discepolo del Bacchilardo-Popoff, introduce un poetare irrazionale nell’arte italiana. A lui si devono le indimenticate rime irrazionali:
dendo e rando, terminati
azi dà da ella, e umani
lenzi, e rondissima qui.[15]
E’ nota a tutti la diatriba epistolare tra il Micione e il Leopardi sull’uso delle rime irrazionali[16]. Fu al termine della querelle, durata diversi anni, in cui il Leopardi ebbe il sopravvento tacciando il Micione di qualunquismo, insipienza e abigeato, che il poeta ebbe un esaurimento nervoso e passò i restanti anni della sua vita convinto di essere una credenza Luigi XIII[17].
Di quegli anni è pure l’analisi teorica della lingua immaginaria. Iniziata dalla scuola matematica di Luigi Maria Caciuccoli con un pioneristico saggio su poesia, grammatica e religione dal titolo “Dio, fegato e il gerundio passivo“[18].
Riteniamo opportuno riportare, per interesse storico, un passaggio fondamentale, in cui, per la prima volta, arte, analisi numerica e religione convergono in una unitaria forma di sapere pandisclipinare:
“E pertanto, se consideriamo attendibile la teoria appena enunciata, ad ogni parola reale deve necessariamente corrispondere una parola immaginaria e vice versa. Di modo che applicando ad una parola reale l’immaginarietà due volte in successione si ottenga nuovamente una parola reale.
Inoltre risulta chiaro, alla luce di quanto appena esposto riguardo al simbolo “1” del rimare immaginario, che non di simbolo si tratta bensì di parola immaginaria a tutti gli effetti. E quale parola può questa essere a non aver corrispettivo tra le parole reali? Una breve indagine storico/religiosa ci mostra immediatamente che l’unica parola reale che non può essere pronunciata è il nome di Dio stesso. Pertanto questo deve essere il significato di “1” (da cui l’unicità della trinità divina e l’uno come principio primo o motore immoto. Ogni cosa sia nell’universo quanto nel linguaggio si origina quindi dall’Uno). E a questo punto è facile concludere che
come intuito secoli or sono da Plotino e con buona pace dei pluralisti.”[19]
Pure del Caciuccoli è l’idea che la composizione di una parola reale con una immaginaria dia luogo ad un altra parola, che viene definita complessa[20]. Un esempio di parola complessa è:
Il modulo di una parola complessa è una parola reale che non necessariamente corrisponde alla parte reale della parola complessa considerata. Ad esempio la parola reale “fegato” può essere ottenuta come modulo della parola complessa “cammello+1andassero”. Il tutto è molto semplicemente riassunto nella notazione introdotta dal Caciuccoli:
Allievi del Caciuccoli furono i poeti e grammatici immaginatici, a cui si devono gli sviluppi che portarono la teoria della lingua immaginaria alla sua forma attuale[21].
Nel pioneristico lavoro “Immaginario e poetica di un poeta immaginario“[22] vengono introdotti alcuni dei concetti che sono a tutt’oggi fondamento del rimare immaginario.
L’articolo era una biografia di Primo Orazio Maria Imago, poeta mai esistito, con conseguente analisi della sua opera e delle sue costruzioni in rima, scritta da uno studioso di nome Ermete Pancreatico. In realtà, come risultò chiaro in seguito, sotto lo pseudonimo del Pancreatico si celavano diversi studiosi della grammatica e dell’alfabeto immaginario[23].
Nel secondo paragrafo vengono per la prima volta introdotte le coordinate cartesiane per individuare le parole reali e le parole immaginarie[24] (si veda la figura seguente).
In questo modo il modulo di una parola complessa può essere individuato graficamente.
Da allora lo studio della lingua italiana immaginaria si è esteso nelle più svariate direzioni. Dai “Sonetti immaginari” di Guglielmo Scoppolo[25] alle “Rime complesse di un vecchio marinaio” di Goffredo Maionese[26]. Dall’immaginismo allo sfrucugliantismo, fino ad arrivare poi alla corrente del complessicismo[27], molto popolare negli anni venti del XX secolo.
Alla base del complessicismo sta l’idea che ogni poesia debba essere interamente complessa con rime intrecciate tra le parole reali e le parole immaginarie di modo che il significato reale dell’opera emerga solamente facendo il modulo dell’intera poesia.
Leggiamo ad esempio Salvatore Della Terra in un classico esempio di poesia complessicista[28]:
Degna di nota è infine la moderna corrente del funzionalismo (o funzionalismo poetico multidimensionale), che formula ogni componimento poetico come grafico nello spazio delle fasi immaginarie[29]. Dalle più semplici poesie viste come funzioni nel piano si arriva fino alle complesse interazioni poetiche multidimensionali in cui la poesia risulta un’ipersuperficie in uno spazio delle rime a n dimensioni (in figura una proiezione bidimensionale del componimento eptadimensionale “Oh! Signor del Quando a che io gorgoglio” di Libero Ambidestri[30]).
Parallelamente alle correnti artistiche si muovono poi dotti e studiosi che le studiano. Per un’analisi approfondita del fenomeno rimandiamo all’esaustivo lavoro di Andrea Vasto e Maria Minuta[31]. Qui ci preme solamente ricordare la rilevanza artistica e cognitiva delle simmetrie nelle composizioni complesse, come fatto notare da Otto Ionoi e Alvino Livio Oivilonivla (di origini finlandesi), noti come i palindromi, in “Strutture simmetriche nell’arte immaginaria“[32].
Note bibliografiche:
[1] Tolomeo, Ambaragesto, vol. XV, Discorso sull’arte della composizione poetica, trad. Ettore Ciccionazzi, Venezia, 1642.
[2] ibid., vol XV, p.487.
[3] Poemi e canti italici dagli albori al 1703, a cura di Marco Pàcapa, vol. VIII, Edizioni Sparute, Conegliano Veneto, 1988.
[4] Angelo Maria Rimario, Della notazione poetica nel ‘settecento e delle sue influenze sul contenuto fattuale, Annali di Ricerca Poetica, vol. 78, p. 1038, 2002.
[5] Ludovico Fibonacchio, Delle Rime possibili. Breve componimento scientifico, sul rimare matematico delle parole assoggettabili, Editori Sfiniti, Mantova, 1714.
[6] ibid., p.1.
[7] Andrzej Szklowkowatzki, On rhymes and vegetables in italian poetry, International journal of poetical reserch, vol. 104, p.22, 1973.
[8] ibid., p.748.
[9] Vannoccio Biringuccio, Rimae Pyrotechnicae, Editori Zitti Zitti, Pantelleria, 1790.
[10] Selvaggia Frolla, Vita e opere del Celenterato, Ed. Einaudite, 1968.
[11] ibid., p.237.
[12] Introduzione all’analisi poetica complessa con esercizi svolti, a cura di Giovanni Dementiele e Anna Maria Scorza, Ed. Gulp, 1998.
[13] ibid., vol. IV, p.171.
[14] Adolfo Bacchilardo-Popoff, How to say irrational things and still make sense somehow in Metric structures, Worchester Sauce University Press, 1868.
[15] Orlando Iermolo Micione, L’infinito imperativo categorico da Cantici Irrazionali, edizioni Giunone, 1901.
[16] Emanuele D’Annunzio, Micione e Leopardi. Ovvero di come due spiriti potenzialmente affini possano ridursi a darsele di santa ragione attraverso mezzi di comunicazione e oggetti contundenti per ragioni la cui futilità è evidente per chiunque, Edizioni la Rinascente, Milano, 1915.
[17] Oliviero Sacchi Pallati, Il poeta convinto d’esser una credenza, Ed. Alephi, 1963.
[18] Luigi Maria Caciuccoli, Dio, fegato e il gerundio passivo, Nuovo Cimento Poetico, vol.4, p.18. 1912.
[19] ibid., p.17.
[20] ibid., p.31.
[21] Szwinka Voluptaya, Caciuccoli’s heritage: A short essay about nothing e Caciuccoli’s followers: A longer one, but still about nothing, Poetical review D, vol. 66, p.1034, 1973.
[22] Ermete Pancreatico, Immaginario e poetica di un poeta immaginario, Annali di Ricerca Poetica, vol.2, p.34, 1926.
[23] Autori Vari, Steno, Euriale, Ermete Pancreatico, Alan Smithee e altre creature immaginarie di cui non si sentiva il bisogno, Atti del XXII Convegno Immaginario, Editore Ignoto, La spezia, 1932.
[24] ibid. p. 38.
[25] Guglielmo Scoppolo, Sonetti immaginari, Ed. Einaudite, 1974.
[26] Goffredo Maionese, Rime complesse di un vecchio marinaio e altre cose, Pizzaioli, 1952.
[27] Autori Vari, Manifesto Astratto e Complessicista, Edizioni Il Panzone, Villafranca, 1919.
[28] Salvatore Della Terra, Opere Scelte. Da chi?, a cura di Scelto Curatore, edizioni Spazio, 1999.
[29] John John Perone, Functional poetical analysis in n-dimensional compactified grammar spaces, Ars Magna et Magna Magna, vol. 43, p. 342, 1978.
[30] Libero Ambidestri, Rime sparse in n dimensioni, Edizioni Buttafuori, 1982.
[31] Andrea Vasto e Maria Minuta, Tutta la poesia. Ma proprio tutta. E che diamine., Ed. Il Minchione, 1973.
[32] Otto Ionoi e Alvino Livio Oivilonivla, Strutture simmetriche nell’arte immaginaria, Edizioni Università di Pazzia, 2004.
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