Il Calendario di Frate Cazzaro – Marzo 2009

0903mese Estratti dalle intercettazioni telefoniche del noto Frate Cazzaro
[11 febbraio, ore 12.44] “… e domani dovrei incontrare l’Arcivescovo di Molfetta per quel progetto di cui sai.”
[15 febbraio, ore 22.58] “… e gli ho detto che non sono mica fesso. Io quella roba non la tengo, non in casa mia e neanche nella curia.”
[20 febbraio, ore 18.59] “… uno spasso ti dico. Urlava tutto coperto di farina di fecola. Avresti dovuto vederlo.”
[20 febbraio, ore 18.61] “No.”
[30 febbraio, ore 3.12] “… niente, è che ho finito i peperoni.”
0903calendario Scientiae Poponis:
Poponomastica: lo studio dei nomi dei poponi.
Poponimo: dicesi di nome di popone (es. melone è un poponimo).
Poponometria: lo studio della forma dei poponi.
Poponare: far di popone.
Poponiera: contenitore per poponi.
Poponderare: riflettere sui poponi.
Poponismatica: lo studio del valore dei poponi.
Nippoponico: dicesi di popone giapponese.

La Blatta Parlante,
nella terra di Frankie Avalon, impara le arti magiche dal grande Berlino, il tedesco mago a 5 porte

Un’appello
rivolto a tutti coloro che tengono segregate in cantina le misere Tegole della Mansuria, che per tanti anni, dalla diaspora della Terracotta in terra d’Abignone, sono state perseguitate:
La vogliamo finire? Ecchediamine!

Consigli per il Lombricolage:
Amanti del Lombrico, benvenuti al Lombrico center! Il grande magazzino del Lombrico dove trovare tutto il necessario per i vostri amati elminti.

Le Babbucce di Zinco
Romanzo in 2648 capitoli di 11 parole ciascuna
– cap. 24 –

“Non mi lasciare, mio amato! Non è colpa mia, bensì dei vichinghi!”

Vero ma vero:
SpiroAgnew, collaboratore del presidente Nixon, un giorno ebbe a dire: “E questo me lo chiama un tramezzino? Lei non sa chi sono io! Io sono SpiroAgnew!”.

0903semina

Il Santo del mese.

S. Wonko l’Equilibrato, vincitore di un Grammy nella categoria Miglior Gansta-motherfucka-rapper From tha Ghetto of Doom con il suo melodico brano Yo, Gansta-motherfucka-rapper From tha Ghetto of Doom, yo! feat. Puff Puffy Daddy Pippy Piripiry, fu freddato poche ore prima della cerimonia di premiazione da un fan impazzito di Rino Gaetano. Il suo disco postumo Yo, da Pope kicks ass! gli è valsa la santificazione da parte di Papa Notorious Gregorious XVI.

0903santo Ordini dall’alto

Queste sono le tappe degli Israeliti che uscirono dal paese d`Egitto, ordinati secondo le loro schiere, sotto la guida di Mosè e di Aronne. (…) Gli Israeliti partirono dunque da Ramses e si accamparono a Succot. Partirono da Succot e si accamparono a Etam che è sull`estremità del deserto. Partirono da Etam e piegarono verso Pi-Achirot, che è di fronte a Baal-Zefon, e si accamparono davanti a Migdol. Partirono da Pi-Achirot, attraversarono il mare in direzione del deserto, fecero tre giornate di marcia nel deserto di Etam e si accamparono a Mara. Partirono da Mara e giunsero ad Elim; ad Elim c`erano dodici sorgenti di acqua e settanta palme; qui si accamparono. Partirono da Elim e si accamparono presso il Mare Rosso. Partirono dal Mare Rosso e si accamparono nel deserto di Sin. Partirono dal deserto di Sin e si accamparono a Dofka. Partirono da Dofka e si accamparono ad Alus. Partirono da Alus e si accamparono a Refidim dove non c`era acqua da bere per il popolo. Partirono da Refidim e si accamparono nel deserto del Sinai. Partirono dal deserto del Sinai e si accamparono a Kibrot-Taava. Partirono da Kibrot-Taava e si accamparono a Cazerot. Partirono da Cazerot e si accamparono a Ritma. Partirono da Ritma e si accamparono a Rimmon-Perez. Partirono da Rimmon-Perez e si accamparono a Libna. Partirono da Libna e si accamparono a Rissa. Partirono da Rissa e si accamparono a Keelata. Partirono da Keelata e si accamparono al monte Sefer. Partirono dal monte Sefer e si accamparono ad Arada. Partirono da Arada e si accamparono a Makelot. Partirono da Makelot e si accamparono a Tacat. Partirono da Tacat e si accamparono a Terach. Partirono da Terach e si accamparono a Mitka. Partirono da Mitka e si accamparono ad Asmona. Partirono da Asmona e si accamparono a Moserot. Partirono da Moserot e si accamparono a Bene-Iaakan. Partirono da Bene-Iaakan e si accamparono a Or-Ghidgad. Partirono da Or-Ghidgad e si accamparono a Iotbata. Partirono da Iotbata e si accamparono ad Abrona. Partirono da Abrona e si accamparono a Ezion-Gheber. Partirono da Ezion-Gheber e si accamparono nel deserto di Sin, cioè a Kades. Poi partirono da Kades e si accamparono al monte Or all`estremità del paese di Edom. Il sacerdote Aronne salì sul monte Or per ordine del Signore e in quel luogo morì il quarantesimo anno dopo l`uscita degli Israeliti dal paese d`Egitto, il quinto mese, il primo giorno del mese. Aronne era in età di centoventitrè anni quando morì sul monte Or. Il cananeo re di Arad, che abitava nel Negheb, nel paese di Canaan, venne a sapere che gli Israeliti arrivavano. Partirono dal monte Or e si accamparono a Salmona. Partirono da Salmona e si accamparono a Punon. Partirono da Punon e si accamparono a Obot. Partirono da Obot e si accamparono a Iie-Abarim sui confini di Moab. Partirono da Iie-Abarim e si accamparono a Dibon-Gad. Partirono da Dibon-Gad e si accamparono ad Almon-Diblataim. Partirono da Almon-Diblataim e si accamparono ai monti Abarim di fronte a Nebo. Partirono dai monti Abarim e si accamparono nelle steppe di Moab, presso il Giordano di Gerico. Si accamparono presso il Giordano, da Bet-Iesimot fino ad Abel-Sittim nelle steppe di Moab.

Numeri 33 , 1

Ordini dal basso

Sortilegio per placare la collera:
Con due ti miro, con tre ti lego, il sangue ti bevo, il cuore ti spartisco. Cristo proteggimi e dammi la pace. (si ripete tre volte)

Il vero Libro Infernale


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Elegia del verme solitario


Di Ernesto Ragazzoni (1870-1920, autore fra l’altro dell’ “Inno di riscossa per i poveri cani proletari“, delle “Malinconie e il lamento del povero bigliardo che non vuole piu’ essere verde“, di una “Laude dei pacifici lapponi e dell’olio di merluzzo” e dell’ “Omaggio al 606“. ):

Solo è Allah nel Paradiso
del Profeta Macometto
solo è il naso in mezzo al viso
solo è il celibe nel letto,
ma nessun, da Polo a Polo,
come me sul globo è solo,
né mai fu, per quanto germe
ebbe lune del lunario,
perch’io solo sono il verme
lungo verme
cupo verme
cieco verme
bieco verme
triste verme
solitario.

Solitario sulla vetta
della torre antica è il passero
solitario. È la vedetta
solitaria in cima al cassero,
solitario è il soldo, o duolo,
del tapin ch’à un soldo solo,
solo andava il cieco inerme
e ben noto Belisario,
ma il più sol di tutti è il verme
lungo verme
cupo verme
cieco verme
bieco verme
triste verme
solitario.

Tutte l’altre creature
hanno moglie od hanno figli:
i canguri han le cangure
i conigli han le coniglie,
l’api accoppiansi nell’aria
e persin la dromedaria
tra le sabbie nude ed erme
ha il fedele dromedario.
Il più sol di tutti è il verme
lungo verme
cupo verme
cieco verme
bieco verme
triste verme
solitario.

Una vaga fantasia
alle volte pur mi coglie,
la mia mente vola via
e m’immagino aver moglie,
mi par d’essere, o cuccagna,
un bel nastro, una lasagna…
non più fitto in membra inferme
nel mio vil penitenziario
e non più essere un verme
lungo verme
cupo verme
cieco verme
bieco verme
triste verme
solitario.

Nastro a volte mi figuro
di annodarmi intorno a un collo
di fanciulla esile e puro.
In intingoli di pollo
altre volte invece parmi
da lasagna intingolarmi.
Il mio cor si tuffa in terme
di speranza… ed al contrario
resto sempre il verme, il verme
lungo verme
cupo verme
cieco verme
bieco verme
triste verme
solitario.

Pure il giorno verrà, il giorno
che uscirò fuori a vedere
come è fatto il mondo intorno
miserere, miserere,
finirò la vita trista
nel boccal di un farmacista
pieno d’alcool ed erme-
ticamente funerario,
perché io non son che il verme
lungo…
cupo…
cieco…
bieco…
triste VERME

SOLITARIO

***

Ehm. Si spiega da sè. Qui c’è la pagina di Uichipèdia sulle tenie, nel caso, e qui c’è la sublime poesia di cui sopra declamata dall’inarrivabile Vittorio Gassman (da Logospoetry). Bene così.


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Il Metodo Antistronzi – quello vero /2


Dicevamo dunque di Harlan Ellison. La cosa andò più o meno così: nel contratto che lo legava a una grande casa editrice, aveva chiesto e ottenuto che nei suoi libri non comparissero mai pagine aggiuntive di pubblicità (negli Usa si inseriscono – o almeno si inserivano – nei paperback) di alcool e sigarette. Così, quando gli capitò sottomano la ristampa di un suo volume con le sue belle pagine di pubblicità di alcool e sigarette, chiese spiegazioni all’editore. Spiegazioni che non arrivarono. Così, tramite il suo agente, chiese all’editore di ritirare quella partita di libri e di ristamparne un’altra senza la pubblicità dei bastoncini per il cancro. Gli dissero che poteva scordarselo. Così (e tre) si rivolse a un avvocato per ottenere l’annullamento del contratto. Gli dissero di scordarselo. E qui inizia l’epica battaglia. Ovvero:
Regola Numero Uno: non partite con la Bomba Atomica. C’è un lungo elenco di possibilità di ottenere giustizia quando si subisce un torto, possibilità che da una parte vi consentono di rimanere sempre dalla parte della ragione, dall’altra permetteranno a tutti quanti di notare e lodare la vostra pacatezza e il vostro buon senso. Dalla discussione pacata, alla lettera alla mamma del bastardo, al giudice di pace, non sempre è necessario fare fuoco e fiamme per ottenere ciò che ci spetta. Anche se spesso dà più soddisfazione.
Regola Numero Due: prendetevi il vostro tempo. A parte l’ovvia considerazione sulla vendetta da consumare fredda, c’è da dire che prendersela comoda aiuta a porre le cose nella giusta prospettiva, e spesso, a rendersi conto che dopotutto non ne vale la pena. Molto spesso la ragione e il torto sono mescolate in una specie di fanghiglia informe, ed è difficile in questo caso parlare di legittima vendetta. Se parcheggiate su un passo carraio e trovate la macchina rigata, avete poco di cui vendicarvi. Se invece ne vale la pena, è probabile che il bastardo che vi ha rovinato la vita vi abbia già dimenticato, e la vostra ira funesta gli piomberà tra capo e collo quando meno se lo aspetta.
Regola Numero Tre: non prendetevela con chi non c’entra. Nel caso di Ellison, il suo nemico non era la casa editrice, gli impiegati e le segretarie e i fattorini e quelli delle pulizie; era l’amministratore che aveva deciso di infrangere in maniera plateale una delle norme del contratto. Ce n’è più di quanta si immagini, di gente così: quelli che contano sul fatto che “ve ne farete una ragione” perchè loro sono più forti e hanno più avvocati, e se portate la cosa in tribunale la causa andrà avanti chissà quanto e vi costerà una barca di quattrini e non ne vale la pena. Ma la ragione è dalla vostra parte.
Regola Numero Quattro: cercate di non sembrare dei maniaci. Cercate di sembrare equilibrati e corretti. Fate in modo che il vostro ricorso alla Bomba Atomica appaia l’inevitabile conseguenza della loro arroganza. Ovvero, tempestate di lettere, telegrammi e telefonate l’ottuso bastardo finché questi non perde le staffe e vi ricopre di insulti. Come se avesse ragione lui! Quando si arriva a questo punto, si aprono le danze.
Regola Numero Cinque: divertitevi. Eviterete di diventare dei tenebrosi mentecatti tipo il Capitano Achab e male che vada potrete approfittarne per chiedere la semi-infermità mentale. Questa storia risale agli anni ’70. Era ancora possibile spedire per posta pacchi anonimi. Così l’amministratore di cui sopra si vede recapitare un pacco indirizzato a lui: all’attenzione dell’amministratore! urgente! consegna a mano! fragile! materiale importante! Dentro c’è un mattone. Anonimo. Nei primi dieci giorni arrivano duecentotredici mattoni. Tutti impacchettati uno per uno, anonimi, urgenti, personali. Poi il ritmo si stabilizza sui quaranta a settimana. Nessuna segretaria può permettersi di rimandare indietro un pacco indirizzato all’amministratore, anche quando si sa che dentro c’è un mattone. E così ogni due per tre arriva un mattone. Dopo un paio di mesi Ellison telefona dicendo che a questo punto, visto che i diritti di pubblicazione del suo libro non gli sono ancora stati restituiti, quei mattoni conviene utilizzarli per costruire un bunker.
Regola Numero Sei: fate in modo che sia evidente, al vostro obiettivo, che non state scherzando. Questa è guerra. Entra in scena Sandor, un conoscente dell’Autore che sosteneva di essere un killer professionista. Nessuno lo aveva mai preso sul serio in quanto lituano (un killer lituano? Cos’è, uno scherzo?), ma a questo punto Ellison gli chiede una mano e gli fornisce una fotografia della sua nemesi, una fotografia tratta da una di quelle riviste patinate in cui questo genere di persone senza scrupoli vengono lodate per la loro mancanza di scrupoli e la loro abilità di fare montagne di soldi ignorando bellamente i diritti degli altri. Si chiama “finanza“. Sta di fatto che una sera il povero manager si vede affiancare per strada da un losco figuro che gli dice qualcosa tipo: «tuo figlio si chiama Michael, tua figlie Michelle, lei va alla Cadwaller School di Long Island, lui è ad Harvard; abitate in Grove Avenue a Larchmont e avete un sistema di allarme Dictograph piuttosto vecchiotto. Se stasera torni a casa e trovi le loro teste sulla mensola del caminetto, Jimmy, pensa a Ellison e ai diritti del suo libro» (era facile allora, raccogliere informazioni sulla gente – figuratevi ora che c’è Feisbùc). Il giorno dopo Ellison telefona alla casa editrice con l’aria di quello che si trovava di lì per caso e passa a salutare i vecchi amici. Gli dicono, furibondi, che all’amministratore è quasi preso un infarto – ma di restituire i diritti del libro non se ne parla. E’ il momento di passare alla Bomba Atomica. La casa di campagna di Ellison era infestata dai topi. Ogni tanto ne trovavano qualcuno in una trappola, «stecchito come l’interesse di Reagan verso i poveri». Due settimane dopo, arriva all’attenzione dell’amministratore un altro pacco. Dentro c’è un ratto morto, morto da settimane. «Una cosa elegante», dice Ellison. Tre giorni dopo i diritti del libro gli vengono retituiti.
Regola Numero Sette: saranno loro a darvi l’occasione per pareggiare i conti. Questo è fondamentale. C’è un’intera genìa di bastardi che letteralmente vivono di soprusi e vessazioni. Non concepiscono altro modo di interagire col prossimo se non attraverso l’arroganza e la prevaricazione. Per loro, l'”altro” non esiste. Per questo non hanno scrupoli, ma hanno molti punti deboli. E’ un grosso errore tattico pensare che il tuo avversario non esista; pensare di essere così superiore al resto della razza umana da essere di fatto intoccabile: ti può dare un senso di onnipotenza, ma di fatto ti lascia esposto come una lumaca fuori dal guscio. Per questo è buona norma non rispondere all’arroganza con l’arroganza, al sopruso col sopruso – anzi, è saggio cedere per rafforzare la propria posizione (come l’acqua: dice il Tao Te Ching che l’acqua non ha neppure la forza di mantenere la propria forma, eppure travolge ogni ostacolo) e capire che la forza del piccolo è diversa, ma non minore, di quella del grande. La Grande Armée di Napoleone fu decimata dalla Rickettsia Prowazekii (0,3 millesimi di millimetro di diametro, l’agente eziologico del tifo) prima che dai cannoni dello Zar.
Regola Numero Otto: non basta pareggiare i conti. Ci vogliono gli interessi. E, di seguito:
Regola Numero Nove: occhio per occhio è una buona unità di misura. Come diceva Andreotti ne «il Divo»: «Nostro Signore ci ha detto: porgi l’altra guancia. Ma di guance ce ne ha date solo due». Dopodiché, mazzate.
Regola Numero Dieci: c’è gente a cui non bisogna mai, mai, mai, mai rompere i coglioni. Tipo Harlan Ellison, o la mafia lituana.
Fatene buon uso.


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Il Metodo Antistronzi – quello vero /1


Disclaimer: in questo post la parola “stronzo” compare 12 volte (compresa questa); la parola “culo” 2 volte e la parola “merda” una volta sola e senza alcun motivo. Innanzitutto precisiamo che non è nostra abitudine indulgere in questo genere di espressioni “volgarmente scurrili”, come diceva un nostro caro amico, espressioni che indignano la brava gente del Moige e fanno piangere San Gaspare; ma, visto il titolo dell’opra (si, opra) in questione, ci sembrava di poter fare uno strappo. In secondo luogo, visto il testo del DDL presentato di recente dall’Onorevole D’Alia (di cui potete leggere qui, qui, qui e financo qui, ma non, ad esempio, qui), ci rendiamo conto che, qualora il tono del nostro post fosse ritenuto offensivo o assimilabile a reati quali il turpiloquio, l’offesa alla morale, gli atti osceni in luogo pubblico o l’abigeato, questo potrebbe portare all’oscuramento non solo dell’Accademia della Fuffa, ma dell’intero Blogspot.com con tutti i suoi tipo 15 milioni di blog. Nel caso ciò dovesse accadere, ci scusiamo con il signor Blogspot.com e lo preghiamo di non rivalersi su di noi perche siamo soltanto dei poveri peones che possiedono solo qualche capra e un sombrero e il raccolto è andato male per colpa delle alluvioni e cosa daremo da mangiare ai nostri bambini. Grazie.

“Il Metodo Antistronzi” è un grazioso libretto che ebbe i suoi quindici minuti di notorietà in tempi recenti, grazie anche al tam tam dei giornali cui probabilmente non sembrava vero di poter pubblicare articoli con la parola “stronzi” nel titolo. In effetti l’argomento è interessante, vista l’impressione, che chiunque può confermare, che il 98% della popolazione mondiale sia composta da stronzi. Sembrerebbe quindi utile un manuale che insegni a riconoscere questi loschi figuri e a tutelarsi dai loro eccessi (a tale proposito consigliamo anche “Le Leggi Fondamentali della Stupidità Umana” di Carlo Cipolla, compreso nel fondamentale “Allegro ma non troppo”). Il libro – o libriccyno – consta per la maggior parte di racconti morali sulle gesta di stronzi famosi o sconosciuti, e di gente che ha avuto rovinato il fegato, per colpa di capi stronzi, o gli affari, per colpa di dipendenti stronzi, finendo nel tunnel dell’alcoolismo o della follia, in una soffitta di Montmartre, in compagnia della TBC e di una stvfa di ghisa. Poi viene esposto il metodo:

  • Lo stronzo è un vostro dipendente? Fategli il culo;
  • Lo stronzo è un vostro superiore? Fatevene una ragione

Seguono edificanti considerazioni dal sapore vagamente confuciano sul giunco che si piega per evitare la tempesta. Chissà perchè, abbiamo la sensazione che, a pensarci, ci si poteva arrivare, anche senza dare dieci euri a mr. Sutton (è anche probabile che esponendo il segreto del Metodo Antistronzi abbiamo violato qualche legge sul diritto d’autore, quindi nel caso ricordatevi di noi martiri del libero pensiero. Come Giordano Bruno. Già).
Tutto questo, comunque, ci porta ancora una volta a Harlan Ellison. Nel suo monumentale Essential Ellison: a 50 Year Retrospective ci regala (ci regala un pajo di ciufoli – avete visto quanto costa quel volumazzo? Ehm – ) un breve ma esaustivo saggio, Driving the Spikes, sul modo migliore di farla pagare agli stronzi. Sebbene riferito a un passato ormai remoto, in cui per esempio si potevano spedire topi morti per posta senza dover specificare il mittente, le dieci regole che Ellison ci illustra, raccontandoci la sua epica lotta contro un editore senza scrupoli, restano tuttora una guida insuperata sul come e sul perchè vendicarsi. Perchè il bisogno di vendicarsi è una forza primordiale, e ben diretta, può ristabilire l’equilibrio dell’universo e sostenere la carriera di uno scrittore per decenni. Sfortunatamente questo margine è troppo stretto per contenere tutta la dimostrazione. Per cui vi rimandiamo al prossimo post.


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L’Uomo di Fil di Ferro


«Io sono Zeta Otto. Non ci sarà nessuno che possa recarmi offesa oltre me stesso.»

Uno dei Grandi & Onorati Clichés della Fantascienza è quello dello Scienziato Folle che costruisce un Robot Super-Intelligente il quale si ribella e decide di conquistare il mondo. Una variante assai popolare è quella in cui lo scienziato ha una figlia di cui il robot si innamora. Di solito tutto finisce in tragedia quando il robot si accorge di essere soltanto uno squallido manufatto e non una creatura del Signore e si butta da una rupe o qualcosa del genere. Senza stare a scomodare Frankenstein, prendiamo per esempio questo “Uomo di Fil di Ferro“, romanzo italiano di fantascienza dell’ormai remoto 1932. Dell’autore, Ciro Kahn, non sappiamo nulla, se non che, a volte, si firmava Ciro Khan – il che ce lo fa immaginare pelato, baffuto e facile all’incazzatura, forse parente, come Mr. Prosser, del più famoso Gengis. Comunque sia, la storia dell’Uomo di Fil di Ferro l’abbiamo già riassunta qui sopra: quello che varia sono i particolari, e, trattandosi di un romanzo italiano (un romanzo certamente ingenuo e retrò ma, almeno per noi, assai godibile), abbiamo avuto di che divertirci. A partire dal fatto che i nomi italiani sembrano ben poco adatti alla fantascienza: il dottor Quatermass è una cosa, Hari Seldon un’altra, il dottor Narcisio Falqui, chissà perchè, suona strano. Pur essendo un genio, per carità: perchè nella Roma del futuristico 1998 costruisce un automa, Zeta Otto, capace di autocoscienza e di raziocinio, dotato di una biblioteca interna prodigiosa: «Speciali macchine parlanti giorno e notte in funzione fissarono la Bibbia, i lavori letterarî più noti, compendi di storia, di filosofia, di meccanica, di matematica superiore, di finanza». Ma non solo: «Allo stesso scopo, nonostante l’inservibilità pratica, venne munito delle qualità istinto-psichiche del maschio. E vennero in più inseriti in lui: il senso d’orientamento magnetico degli ostacoli invisibili come nei pipistrelli che possono volare anche al buio; e le possibilità magnetiche dei rabdomanti e degli ipnotizzatori». Mica pizza e fichi.
A questo punto Zeta Otto decide di conquistare il mondo, e come dargli torto? Rinchiude il genitore nella fabbrica dove è nato e inizia la costruzione di un esercito. Se non che, come da copione, la bella figlia del professore, Viola, fa la sua comparsa. Ora, il nostro automa è davvero un «uomo di fil di ferro»: spigoloso, metallico e artificiale; ma il buon Narciso gli ha dato fattezze umane, e per un «capriccio del caso», le fattezze di un lontano cugino canadese di cui Viola è innamorata, e che proprio ora è in visita a Roma. Mah. Perchè? Non lo sappiamo. E del resto chi siamo noi per sondare i misteri della mente di Ciro Khan? Per cui proseguiamo: l’esercito di uomini di fil di ferro invade le campagne romane, e scoppia il finimondo. Perchè da una parte ci sono quelli che non credono all’imminente pericolo («Comandante della squadriglia era il Generale Vittorio Lagreca. In sé medesimo aveva presa la cosa per un bluff ed era irritato per il compito affidatogli che egli qualificava: un inutile eccidio di pupazzi»); dall’altra quelli che ne approfittano per bieche questioni politiche («Assunse il potere Marco Mundus e questi ebbe alfine il coraggio di scavalcare l’Accademia e di assumersi la responsabilità delle operazioni». Chi sia questo signor Mundus non ci è dato sapere, visto che è la prima sua menzione nel romanzo – chissà se Khan sottintendeva qualche cosa); e poi ci sono gli abitanti di Roma, città amichevolmente indicata come «La Città dei Dementi». Le descrizioni dell’Urbe del 1998 sono spettacolari: un paradiso futurista di vetro e cemento, treni superveloci, marciapiedi mobili, luci, rumori… e soprattutto la pubblicità.

” Il vostro radiocallifugo s’irradia da qui: rammentatelo! ” — ” Avete abolita la tisi, avete abolito il cancro; e non volete abolire la calvizie? Abbonatevi alla nostra cura hertziana capellifera che vi segue a vostra insaputa ovunque andiate ” — ” Vasellame infrangibile per proiettili lunari ” — ” Siate moderni! Non perdete tempo a ingerire le pillole sintetiche dei vostri pasti! Abbonatevi alla nostra radioemissione di raggi infrarossi: da tremila calorie in su per giorno ” — ” Diecimila lire la nostra crociera al Polo Sud. Durata tre giorni. Trattamento Hôtel di prima classe con riscaldamento per radio: 20° C. garantiti invariabili. Inscrivetevi! ” — “C’è della gente pessimista? Questa sarebbe condannata alla sconfitta nella vita! Vada a vedere la ” Conquista del Pianeta Marte ” fonocromofilm stereoscopico d’avventure. Colossale capolavoro. Esso inspira desiderio di potenza e di espansione imperiale nell’Universo. Andatevi se volete guarire dal pessimismo.”“Visitate l’Atlantide! Crociera archeologica sottomarina di una settimana, con sosta e conferenze dei più insigni archeologi sopra le città più rimarchevoli del gran continente sommerso ” — “Dateci buoni polmoni, buon cuore, buone arterie e buoni nervi! E noi vi garantiamo in un anno il Diploma di Pilota Interplanetare e Siderale. Collegio di prim’ordine; rette mitissime. Giovani, questa è la carriera di domani! “.

Comunque, per farla breve, i Romani, dapprima terrorizzati, decidono che la conquista del mondo è, tutto sommato, un obiettivo interessante, e si alleano con gli automi, sotto lo sguardo inorridito della comunità internazionale; la quale minaccia rappresaglie. E così, nell’Urbe assediata, davanti alla folla radunata al Colosseo, il cugino canadese incontra la sua nemesi meccanica, e, sfoderando impensate doti di oratore (impensate perchè fino alla pagina prima era un contadinotto canadese grande e grosso ma non particolarmente sveglio), rinfaccia a Zeta Otto la sua inumanità. Il «malo fascino» dell’androide ipnotista si disperde, Viola capisce che non è una buona idea sposare un robot (cosa direbbe il papa?), e la folla inizia a lanciare sampietrini e gatti morti a quello che fino a un momento prima era il loro idolo. Finisce così l’impero delle macchine: Zeta Otto e i suoi commilitoni, «con i resti dei compagni sfracellati, con tutti i loro ordegni attraversarono la città, giunsero al Tevere; e, nella sera incombente, discesero in gran parata sotto le acque piegando verso occidente».
«Verso il mare, da dove ritorneranno un giorno.»

Si chiude così la storia dell’Uomo di Fil di Ferro; non sappiamo se l’autore avesse intenzione di narrare in forma fantastica gli eventi dei suoi tempi; ma la marcia su Roma degli androidi ci lascia qualche dubbio; e se così è, è probabile che il possente Khan della fantascienza, dalla sua remota fortezza sull’Himalaya, osservi la nostra situazione, e scuota amaramente la testa pelata al possibile avverarsi della sua profezia. Già.

PS: il romanzo è scaricabile aggràtis da Liber Liber.


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Kaprawoulf: CAP XIII

d-kaprawoulfRIIIIIIIIIIIIIIIN!
Silenzio.
DIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIN!
Silenzio.
DRIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIN!
Ancora silenzio.
HO DETTO DRIN ECCECCAZZO!
Ermenegesto Primo, sovrano indiscusso della Terra del Freddo Lontana e Inospitale, abbassò le parole crociate e guardò torvo il telefono. Da quando aveva assunto Ludmilla Grissina come segretaria il semplice atto di rispondere al telefono era diventato un calvario.
DIIIIIIIIIIN PERLAMISERIA! E’ FORSE UN CONCETTO TANTO DIFFICILE? Urlò il telefono.
Con un sospiro Ermenegesto sollevò il ricevitore.
“Capo, sono Ludmilla!”
“Lo so chi sei, e poi dovresti chiamarmi Maestà, non credi?”
“Certo capo! Come vuoi! Volevo dire, certo Maestà!”
“Che c’è?”
“Niente, è che non riesco ad abituarmi a questa cosa di maestà, signoria, eccetera.”
“No, intendevo dire, Che cosa succede? Perchè mi chiami?”
“Ah! Giusto! E’ una telefonata!”
“Lo so che è una telefonata, mica pensavo mi chiamassi urlando dall’altra ala del castello. Volevo solo sapere perchè mai, di grazia, mi stai chiamando al telefono.”
“No, capo, cioè maestà. E’ una telefonata il motivo della telefonata. C’è la regina Fanfulla Seconda di Gorgonzuela sulla linea 7. E comunque mi chiamo Ludmilla, capo, non Grazia, volevo dire maestà, capo.”
“Ossignore!”
“Gliela passo, signore? Cioè maes…”
“Ecco, brava.”
“Provvedo, capo.”
Il fruscio di elettrcità statica durò solo una frazione di secondo in più del sospiro del sovrano della Terra del Freddo Lontana e Inospitale.
“Pronto?” disse il re.
“Ermenegesto! Quanto tempo! Come te la passi?”
“Fanfulla! Che piacere sentirti! Si tira avanti, al solito, imponi una tassa, rimuovi un balzello. Sai com’è la vita del regnante. E tu come stai? E come sta la piccola Zoccola?”
“Piccola Zufola, intendi.”
“Certo, certo. Zufola. Come, no. Come sta?”
“Bene. La piccolina ha appena compiuto gli anni e sai come sono a quest’età.”
“No. Non lo so. Come sono?”
“Sono tanto dolci. Ma non gli si può negare niente che se no ti piantano su un casino frignando per una settimana che poi chi lo sente l’oculista.”
“L’oculista?”
“Ehm, perdonami. Non so chi mi scriva i dialoghi.” Disse Fanfulla lanciando un’occhiata feroce nella mia direzione.
“Ma dimmi, Fanfulla, come mai mi hai chiamato, dopo tanto tempo?”
“Ecco, Ermenegesto, caro. Ha proprio a che fare con il compleanno della piccola Zufola. Non ci crederai, ma indovinaun po’ che cosa mi ha chiesto?”
“La casa della barbie?”
“No…”
“Il Piccolo Forno “Questo lo cucino io ma te lo mangi te” DeGonghi?”
“No, ha…”
“Lo so! Ha chiesto un Troll nano da compagnia di nome Gorgo.”
“No, Er…”
“Aspetta! Ci sono…”
“Ermenegesto! Con “indovina un po’” non intendevo dire che dovessi effettivamente indovinare.”
“Ah no?”
“No.”
“E allora come faccio a sapere che cosa ha chiesto Piccola Scrofala?”
“Zufola.”
“Zufola, certo.”
“Magari te lo dico io? Eh? Che ne pensi?”
“Ehi! E’ un ottima idea. No voglio dire, tu lo sai di certo, sei la mamma, e lo ha chiesto a te e quindi…”
“Ermenegesto!”
“Sì! Taccio. Cosa ha chiesto?”
“Ecco. E’ buffo, ma vedi, la piccola vuole radere al suolo una città.”
“Che carina. E’ proprio tutta sua mamma.”
“Tapinambur.”
“Già il cipiglio della dittatrice la piccolin… cosa?”
“Già. Mi spiace. Pensavo fosse il caso di dirtelo, sai. Dato che credo stiamo per scendere in guerra.”
“Quando?”
“Mah, più o meno… adesso. L’esercito dovrebbe essere alle porte della città giusto ora.”
“Ma…”
“Bè, si è fatto tardi. Ermenegesto caro, ti saluto che l’oculista mi aspetta (ndr non è colpa mia, giuro). Stammi bene.”
“Ma… ma…”
“Ci sentiamo per le trattative della resa. Buona guerra, mio caro.” e riappese.
Il ricevitore rimase muto per qualche secondo. Ermenegesto esitò a riagganciare.
“Ludmilla?”
“Sì capo?”
“Stavi origliando?”
“Sì capo.” Ci fu un attimo di silenzio in cui Ermenegesto Primo avrebbe potuto sospirare ma si trattenne.
“Wow capo! No dico, quanto sei furbo e sgamato.”
Ermenegesto sospirò con rassegnazione.
E così l’esercito del Gorgonzuela, passata placidamente la dogana, raggiunse le porte di Tapinambur proprio mentre nella capitale il telefono di Ermenegesto Primo squillava di nuovo.
DRIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIN!
Ermenegesto abbassò le parole crociate e guardò il telefono con la segreta speranza che non squillasse di nuovo.
DRIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIN!
“Sigh.” Certi giorni non c’è proprio niente da fare.
“Pronto?” chiese sconsolato Ermenegesto.
“Pronta, capo. Sono Ludmilla, ricorda?”
“Sì, certo. Scusa.” sospirò il sovrano.
Silenzio.
“Ludmilla?”
“Sì capo?”
“Mi hai chiamato per un motivo, vero?”
“Ah certo, capo. C’è un motivo. Sicuro.”
“E vorresti anche dirmelo, di grazia?”
“Ludmilla.”
“Certo. Scusa.”
“E’ Manolo.”
“Manolo o Ludmilla? Di grazia.”
“Chi?”
“Cosa?”
“Grazia?”
“Eh?”
“Capo?”
“Ok. Ferma lì. Cominciamo da capo. Perchè mi hai chiamato, Ludmilla?”
“Comincio da capo, capo. Io sono Ludmilla, non Grazia. E c’è Manolo. Ma non qui. Al telefono.”
“Tutto chiaro. Finalmente.”
“Glielo passo?”
“Eh, magari.”
Ermenegesto abbassò la testa lentamente sul tavolo, accanto alle parole crociate.
“Maeztà!” La voce allarmata di Manolo arrivò allarmata, appunto, dall’altro lato del telefono.
“Sì…” rispose mestamente il sovrano indiscusso della terra del Freddo Lontana e Inospitale.
“Ztanno arrivando…”
“Lo so.”
“E hanno…”
“Lo so.”
“E noi ziamo…”
“Lo so.”
“Woa! Maeztà! Za già tutto!”
“Eh! Che ci vuoi fare?”
“E allora adezzo che facciamo?”
“Niente. Lo prendiamo in quel posto, direi.”
“Non zembra una gran bella prozpettiva, maeztà? No, dico, zoprattutto per me, che zon qui, mentre quei bruti arrivano con l’ezercito a menar massate a deztra e a manca.”
Manolo, alla prospettiva d’esser invaso dall’esercito del Gorgonzuela cominciò a singhiozzare al telefono senza alcun ritegno o dignità.
“Va bene. Va bene, Manolo, stai calmino. Ti mando una guarnigione, contento?”
“Zi, maeztà. Grassie.” Sospirò Manolo tirando su con il naso.
E fu così che iniziò quella che sarebbe poi stata ricordata come la Breve Guerra della Giada e delle Mazzate Invereconde che portò in pochi giorni alla caduta di Tapinambur e estese il dominio di Fanfulla Seconda su territori che non interessavano a nessuno.


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