Le Aeronavi dei Savoia

airship«- Le ha rubato dei denari, quell’uomo? – No, amico mio. – E che, dunque? – Il segreto del principio d’inversione della forza di gravità. – Fulmini! – Di più: un intero fascicolo di planimetria e tutti i disegni dettagliati dell’aerosfera. – Schiumaccia da galera!»

Per quanto possa sembrare strano, ci fu un’epoca in cui era effettivamente possibile scrivere un racconto che terminasse con “e poi si sveglia e si accorge che era tutto un sogno” senza essere sommersi da lanci di ortaggi e gatti morti. Era un’epoca ingenua e felice, e neppure così lontana come può sembrare; un’epoca in cui la narrativa fantastica muoveva i suoi primi passi: in Inghilterra o negli Stati Uniti (o in Francia, per dire). E pure in Italia: lo dimostra questa spettacolare antologia, curata dall’ubiquo De Turris, di “protofantascienza italiana”, che raccoglie racconti di marziani, astronavi e favolose invenzioni pubblicati nel Bel Paese tra il 1891 e il 1952.
Sono pagine assai piacevoli, sebbene più per il loro fascino retro’ che non per gli effettivi meriti artistici. A parte l’effetto di straniamento nel leggere di viaggi su Venere – a incontrare dinosauri e “veneriani” – compiuti da gente con nomi tipo ingegner Moriani, dottor Lucci e compagnia bella, per noi abituati ai John Carter di Marte, spesso il vero fascino di questi racconti sta proprio nella contrapposizione tra un’Italietta borghese e casalinga e i grandi misteri del Cosmo: come per esempio nel racconto «Ciò che accadde a noi tutti il 19 settembre 19…», dove un tranquillo signore milanese assiste a una catastrofe planetaria (la distruzione della Luna e relativa caduta di giganteschi meteoriti, con arresto della rotazione terrestre) leggendone i resoconti in Galleria o davanti a Sant’Ambrogio… Ma ce n’è per tutti i gusti: dalle parodie tecnologiche dell’ «Autocasa» (In quest’epoca elastica, chi perde il tempo nel pensare al mangiare? – E’ vero: necessario non è vivere. Necessario è andare in automobile!) e del «Chiesofono» (un apparecchio telefononico che, nel 1891, permette di confessarsi da casa, costringendo i sacerdoti a lunghe notti insonni spese ad ascoltare le paturnie di vedove e beghine), alle minchiate (ehm) pseudo-spiritiste di Salgari («Il mio terribile Segreto», storia di un tizio che senza spiegazione alcuna viene teletrasportato in Galles o giù di lì per impedire il rapimento di una fanciulla – mah) o di Gozzano («Dopo il voto tragico» – che in realtà è un racconto volutamente ironico di fachiri, divinità funeste e valigie perdute), per finire poi con gli esperimenti di storia parallela di «Non votò la famiglia De Paolis», in cui il mancato adempimento del proprio dovere elettorale da parte di ignari elettori provoca una vera e propria catastrofe: l’ascesa al potere dei comunisti, con relativa polizia politica e campi di concentramento. Brrrr!
Alcuni di questi racconti, comunque, sono davvero notevoli: «La Fine di Venezia» è esattamente questo: il resoconto della distruzione di Venezia dopo un bombardamento atomico (!) su Marghera; è una storia praticamente senza dialoghi nè personaggi, dove, anzi, protagonisti sono i palazzi e le chiese, che sembrano quasi prendere vita per un istante prima di scomparire in un mare di fuoco; oppure «la Morte di Re Salibù», che, con prosa roboante e tragica, descrive le vicende di un popolo di Titani minacciati dagli oscuri complotti del Nano Necroforo e di altri loschi figuri. Come pure «La Vita di Domani», di Fillìa (quello del Manuale di Cucina Futurista), il cui stile è incredibilmente particolare, quel genere di prosa futurista al contempo vecchia e nuova:

« – confusione, urla, calore, dinamismo dei sensi; contrasti feroci – immediatamente i guardiani civili entrarono in azione: una pompa a imbuto solidificò l’aria per molti metri cubi – quasi tutti i rissanti furono immobilizzati – quelli rimasti fuori dallo spazio solidificato attaccarono i guardiani con fulminanti elettrici – un pauroso lampeggiare di fiamme violette saettò il chiarore verticale della sala – confusione, grida, fuga vertiginosa.»

Stupiscono poi certi atteggiamenti nei confronti della scienza, e della cultura. La vita su altri mondi era semplicemente un dato di fatto; così come la realtà scientifica dello spiritismo, della fisiognomica, della frenologia; e anche di certe opinioni razziali – che quasi ci si aspetta se dirette a neri, orientali o indiani; molto meno nei confronti dei tedeschi: «L’avido istinto della razza, che fa d’ogni tedesco lo sfruttatore rigido e senza scrupoli di ogni nuova conquista della scienza, frutto il più delle volte di un ingegno estraneo al suo, aveva spinto Rodolfo Von Shalke a lasciare Jena e la sua università.».
Da un certo punto di vista questo volume sembra uno studio biologico su un qualche vicolo cieco evolutivo, tipo l’echidna o quegli assurdi animali precambriani: in più di un’occasione vien da chiedersi come si sarebbe potuta evolvere la letteratura italiana (e quindi molte, moltissime altre cose) se la fantascienza avesse attecchito anche qui da noi. In altri Paesi ha anticipato i tempi e le tematiche sociali, ha esplorato le possibilità della scienza e della tecnologia; e ha divertito un bel po’ di gente. Invece la fantascienza italiana ha sempre goduto di pessima fama: snobbata dai critici e considerata letteratura di serie Z, è cresciuta stenta e miserella, e in effetti è difficile, se non si è più che addetti ai lavori, citare qualche autore o titolo. Ma vabbè. Sta di fatto che, a leggere questi vecchi racconti, e a confrontarli con racconti di SF estera dello stesso periodo (c’è un’interessante raccolta curata da Sam Moskovitz, «il Futuro era appena cominciato»), si notano pochissime differenze: stesse trame farlocche, stessi personaggi tagliati con l’accetta, stessi finali inverosimili, stessi dialoghi surreali, stessi stereotipi razziali: insomma, eravamo partiti ad armi pari. Il che ci porta alla constatazione che, se la fantascienza italiana fosse stata un po’ più coccolata e vezzeggiata durante la sua infanzia, magari avremmo avuto anche noi i nostri Asimov o Henlein o Farmer o le Guin. Al che bisogna essere abbastanza pronti da schivare le inevitabili Grandi Domande: è colpa del neorealismo? E’ colpa della destra o della sinistra? E’ colpa del Sessantotto? Non lo sappiamo e ci frega assai poco, a dire il vero: ci basta poter passare di tanto in tanto un po’ di tempo tra questi cimeli e fotografie ingiallite, farci due risate e sperare che i corsi e ricorsi della Storia facciano tornar di moda i baffoni, i dirigibili e Cesare Lombroso.


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Kaprawoulf: CAP XV

o-kaprawoulfk. Sono qua. E’ ora di darsi da fare. Che ci faccio nell’Umido e Fanghiglioso Territorio da Qualche Parte al Nord?
Ricordo lo Svizzero farmi scendere in malo modo dal camion ad un autogrill. Ma questo è successo tre settimane fa. Dopo di allora le nebbie dell’alcool e l’afasia di Wernicke sono stati i miei unici compagni. Cavalcavia.
Che giornata, cercate di capirmi, è stato un periodo difficile.
Da giorni non ho un letto sotto i denti o un pasto decente su cui poggiare il capo. Non mi lavo. Ma questa non è una novità. E le parole del pinguino mi risuonano nella mente continuamente, intervallate solo dai vani farfuglii dell’afasia di Wernicke.
“…quakkarilla quarikkia quakka makka orcavakka! E lenti, i palindromi si fan prodromi di cucuzze!”
Riuscirò a venire a capo di questo mistero, quanto è vero che mi chiamo Il Personaggio del Detective!
(Certo che quando ci penso mi pare che mia madre abbia avuto proprio un’idea sciagurata nel battezzarmi.)
Ora cerchiamo di capire. Dove sono? Un cartello laggiù dice “Porto”. Come sono arrivato in Portogallo dall’Umido e Fanghiglioso Territorio da Qualche Parte al Nord? Pensa pensa pensa. Ehi! Un momento! Ci sono delle barche. Quindi sono al porto! Geniale! Sì, ma al porto di quale città? Porca miseriaccia. Zampogne! Forse è meglio che chieda informazioni. Vedo avvicinarsi un distinto signore in giacca di feltro e cappello di tweed.
“Mi scusi buon uomo.”
“Aaaaaaaah! Un mostro immondo!”
Iniziamo bene. Un altro signore, che mi osserva scrivendo su un taccuino. E’ vestito in abiti della moda locale. Credo. O forse solo vestito in modo bizzarro. Ma non è che posso stare a soffermarmi troppo su come sono vestiti gli autoctoni. Ho bisogno di informazioni su… su… su… Porca miseriaccia, mi son dimenticato. Forse è meglio chiedere informazioni.
“Signore col taccuino, scusi…”
“Mi dica mostro immondo!”
“Ok, non mi rado da qualche giorno ma mostro immondo non è un po’ eccessivo?”
“Beh, la barba è un po’ incolta, ma sono soprattutto i tentacoli a farmi pensare ad un mostro immondo. Sa com’è.”
“Perdinci. E’ vero! Da quando ho i tentacoli?”
“E lo chiede a me?”
“No. Era una domanda retorica.”
“Ah! Per fortuna. Altrimenti mi sarebbe toccato dirle che l’Oscuro Mago Cannolo le ha fatto un sortilegio di polipificazione pochi minuti fa, mentre era svenuto sul molo. Giusto prima di imbarcarsi sul traghetto per Zermeelo. Eccolo là che saluta Madame Vettovaglia sulla pensilina. O è madame Pensilina che porta le vettovaglie?”
“Ma perchè il Mago Cannolo mi ha fatto una cosa del genere?”
“E lo chiede a me?”
“In effetti no. Era un’altra domanda retorica.”
“Ah! Per fortuna. Altrimenti mi sarebbe toccato dirle che da settimane il Mago Cannolo sta esercitando i suoi incantesimi più letali sull’inerme popolazione di Buganville prima di partire per la Terra del Freddo Lontana e Inospitale dove intende rivelare tutto il suo potere minacciando di sterminare tutti quanti se non gli verrà consegnata l’intera produzione di giada della regione.”
“Ma, scusi, com’è che lei sa tutte queste cose?”
“E lo chiede a me?”
“No. Era una domanda retorica.”
“Davvero?”
“No, imbecille. Questa era una domanda proprio per lei. Risponda.”
“Va bene, va bene. Ma tenga giù i tentacoli.”
“Io sono Alfonso Bignè, il fedele aiutante nonchè biografo uffciale dell’Oscuro Mago Cannolo. Da molti anni lo seguo annotando tutto quello che fa in vista della pubblicazione della sua biografia “Gargantula Zabum Zabum” i cui diritti abbiamo già venduto alle Edizioni Il Pinguino.”
“Capisco. E ora mi dica, signor Bignet, come faccio a tornare normale?”
“Onestamente, signor mostro immondo, lei non era tanto normale neanche prima. E comunque il mio nome è Bignè, non sono mica francese.”
“Va bene. Ma come faccio a tornare com’ero?”
“E lo chiede a me?”
“…” (da leggere come uno sguardo di biasimo carico di significato e preludio ad eventuali eventi funesti.)
“Ok, ok. Maledette domande retoriche. L’unico che può farla tornare com’era è il Mago Cannolo…”
“Ovviamente.”
“Ovviamente. E il Mago si trova sul traghetto, dove pure io stesso dovrei trovarmi. Quindi se volesse scusarmi, io andrei.”
“Come Andrei? E’ russo? Non era Alfonso? E francese? Ehi? Ma dove va?”
E così ci troviamo a correre disperatamente verso il traghetto che si sta allontanando. Alfonso Bignè sembra disperato. Il traghetto se ne va mentre, imperturbabile, il Mago Cannolo sorride e saluta con la mano dalla prua. O è la poppa. Non fa molta differenza.
“Maporcapottanatroiadeldiavolodigiuda!!! Anni a seguire il Mago dappertutto, ogni minuto, ogni secondo. E ora come faccio? Come la scrivo la biografia? Eh? Me lo dici tu?”
Io capisco che si tratta di una domanda retorica e astutamente me ne sto zitto. Solo l’afasia di Wernicke mi fa dire “Sfogliatella!”
E allora eccoci qua. Seduti sul molo, in attesa del prossimo traghetto mentre Lady Veranda organizza un pic nic a base di tartine e gufi impagliati sul molo 74.
“Tranquillo Alfonso, lo ritroviamo il tuo Cannolo.”
Lady Veranda ci sente e urla:
“Mi spiace, il cannolo non c’è l’ho. Al limite un Bignè.”
Il mio compagno scuote mestamente la testa.
“Non lo vuoi un bignè, Bignè?”
Il mio compagno scuote mestamente la testa.
“Ma noi prenderemo questo traghetto e traverseremo il vasto mare stretto per giungere a Zermelo, dove i nostri destini si compiranno.”
“Potresti tenere giù i tentacoli, per favore?”
E’ una domanda retorica?


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Spiacevoli Incombenze

Cover_CRM_thumbAM 003: Comitato Rumori Molesti: Spiacevoli Incombenze
Genere: Rumore (ma di gran classe)

Nel centenario della nascita del Futurismo, proponiamo l’opera di un ensemble rumoristico che ha causato centinaia di liti condominiali in tutto il Vecchio Continente. Il Comitato Rumori Molesti, con la sua inventiva e il suo uso spregiudicato di motori a reazione, petardi, paperi, motoseghe, criceti di ceramica, cori di voci bianche, quartetti d’archi e grandi quantità di vasellame fatte cadere da notevoli altezze, vi farà passare momenti rilassanti e coinvolgenti, almeno finchè non arriva la polizia.

>> Download Album completo – 01 (MP3 file, 22 mega, mp3@256kbps)

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Oppure ascolta subito (bassa qualità – 64 kbps)!

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La Barba del Poliziotto era Semicostruita

racter
Tra le innumerevoli meraviglie che la Rete offre al fuffologo d’assalto, questo libretto merita di certo una menzione. Pubblicato nel 1984 da Warner Books, “The Policeman’s Beard was Half-constructed” fu scritto da Racter, bizzarro nome dietro cui non si nasconde un collettivo di autori tipo i Wu Ming, o Luther Blissett o la Squadra Cazzate: Racter è un programma di elaborazione di testi, scritto in Basic su uno Z80, capace di generare brani più o meno sensati e di simulare una conversazione con una persona. Cioè, brani non proprio sensatissimi, ma bizzarri e intriganti, poesie, dialoghi socratici o scexpiriani e cose simili. Corredato con assurdi disegni vagamente Terry-Gilliameschi, farebbe la sua porca figura in qualunque biblioteca ad alto tasso di cazzate. Lo potete osservare, leggere e scaricare da UbuWeb (un sito assai curioso, la cui sezione musicale è piena zeppa di quelle cose d’avanguardia alla Yoko Ono tipo “numero otto – burp! – numero otto – burp! – numero (questa la capisce solo il Gnagnera)). Ecco un esempio – la traduzione è nostra:

BUCKINGHAM: La Verità ama l’allegria. Eppure racterrapidamente voliamo, levitiamo e distruggiamo la felicità che è il nostro continuo piacere. Il massacro ci porta alla follia, e come ubriachi, osserviamo la felicità dei nostri contratti.

RICCARDO: Ben detto, mio vero amico. Il vostro disagio è principe al mio.

BUCKINGHAM: Regale principe, ora sogniamo, e le nostre ponderazioni ci aiuteranno a trangugiare l’intrattabile coppa dell’angoscia.

RICCARDO: Mentre trotterellavo rapidamente, la notte scorsa, osservavo la mia casa ornata d’angoscia. Pensai che avrei cominciato a massacrare quei consiglieri che sussurrano le loro spaventose storie sul nostro nervoso luogo di nascita.

BUCKINGHAM: Eppure questi avvocati sono come principi, nella nostra tragedia. Quanto è facile massacrare un avvocato, quanto è difficile disseminare come ubriachi la nostra casa di interessanti gioie. E così, buon principe, gli affascinanti impegni sono, come bistecche, cibo per i nostri sogni.

RICCARDO: Nobile fratello, il vostro racconto è furioso, eppure massacrare avvocati, in verità, è essenziale.

BUCKINGHAM: Buon principe, pacatamente penso che i nostri mesi si accorciano di millisecondo in millisecondo.

RICCARDO: Approfondite il vostro ragionamento, caro fratello.

BUCKINGHAM: Disprezzate questi conflitti, e potremo correre tranquillamente alla nostra carne e al nostro sherry.

RICCARDO: Ben detto, dolce fratello.

Racter;
Uichipèdia su Racter;
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Il Calendario di Frate Cazzaro – Aprile 2009

0904mese Frate Cazzaro e le Cose Banali
Ormai da alcuni mesi il povero frate è perseguitato da un ignoto persecutore che gl’impedisce anche le più banali faccende come fare la spesa, fare il bucato, fare di conto, fare baruffa, innaffiare le piante, innaffiare gli animali, innaffiare i fedeli. Come farà il misero frate a liberarsi di tale iattura? Eh?
0904calendario Il ritrovamento del demagongo perduto
Si credeva estinto da millenni. Invece il magnifico demagongo, albino e saccente mammifero anfibio, è stato recentemente avvistato durante una trasmissione di intrattenimento con ostici.

 

Le Indomite Gesta di San Cucufece:
San Cucufece fece cucù,
E cucù fu disse San Cucufù.

Ciambellani
E ora, su Catholic Action Network:
“CIAMBELLANI – Protettori del Commonwealth”
In questa puntata Riccardo di Villasacco e Tommaso II degli Andò indagano sulla scomparsa della Gloriosa Ciambellona della Regina Vittoria!
Ma il perfido conte Vanveroux a Lombra trama nell’ondra.

Segue la replica della 12ma puntata di “Camerlenghi”.

Le innovazioni di Windows Settete:
Tra le novità del nuovo sistema operativo c’è “l’applicazione a sorpresa” che apre un applicazione a caso nel momento esatto in cui stai cercando di fare qualcosa di molto importante.

 

Le Babbucce di Zinco
Romanzo in 2648 capitoli di 11 parole ciascuna
– cap. 25 –

“Non ricominciare con questa storia dei vichinghi! Sono ormai estinti da millenni.”

La storia insegna:
All’Università L’Ignoranza di Roma, lezioni di vermeneutica e serigrafia, i giovedì e i venerdì dispari dei mesi con la M.

0904semina

Il Santo del mese.

 

S. Azpatanazloto è particolarmente venerato in Turkmenistan, dove si recò in gioventù per partecipare ai Campionati Internazionali di Lancio del Criceto. La sua miracolosa vittoria contro l’allora campione in carica e favorito Brigadier Zollo gli valse il primo premio (una tonnellata di acciughine caramellate) e la candidatura alla santità. Purtroppo fu anche la causa della sua morte prematura per mano (o zampa) dei parenti dei poveri criceti da lui scagliati verso un orrendo destino.

0904santo Ordini dall’alto

 

Ospita un estraneo, ti metterà sottosopra ogni cosa
e ti renderà estraneo ai tuoi.

Siracide 11, 34

Ordini dal basso

La barba:
Non è inutile sapere che i peli della barba si formano con il superfluo degli alimenti ingeriti innalzantisi in forma di vapore fino alle mascelle, a somiglianza del fumo che sale su per la gola del camino. I bambini non hanno barba perché il loro organismo non è sufficientemente forte e perché non hanno aperti i pori delle mascelle.

Il vero Libro Infernale


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Il Re Pescatore


Tanto per restare in tema di Prescelti, e di luoghi comuni, avevamo una mezza intenzione di leggere questo «Bryan di Boscoquieto nella Terra dei Mezzidemoni», opera prima di tale F. Ghirardi, giovane virgulto & talento emergente (?) della pirotecnica scena fantasy italiana – libro di cui abbiamo letto entusiastiche recensioni (qual’è il nome di quella figura retorica in cui si scrive una cosa per affermarne l’opposto?) e in cui, a quanto sembra, si può leggere la frase «Se diventerò un discepolo potrò aiutare gli altri e proteggere la gente comune dai demoni e da tutti i mostri del cazzo». Fra parentesi, questo genere di cose ci fa sempre immaginare una scena di questo genere: nella Oxford del dopoguerra, JRR Tolkien legge agli Inklings le prime stesure del Signore degli Anelli: «E allora Frodo disse a Gandalf: si, porterò io l’Anello a Mordor: così potrò aiutare gli altri e proteggere la gente comune dai Nazgul e da tutti i mostri del cazzo». WH Auden vene colto da infarto, Charles Williams si getta dalla finestra, CS Lewis, alzando un sopracciglio, dice, con perfetto aplomb inglese: «Credo, old chap, che bisognerà lavorarci su un pochino.» Comunque sia, proprio in quel fatidico momento, la Musa delle Cazzate ci ha rimesso sotto il naso questo Re Pescatore, di Tim Powers, anno 1979, oramai introvabile, che avevamo già letto in tempi non sospetti traendone gran benefizio, e ci ha fatto notare che anche qui il protagonista si chiama Brian. Folgorati da questa coincidenza d’indubbia origine divina, e convinti, da bravi pensionati, che qualunque nuova serie di telefilm non sarà mai come l’ennesima replica di Matlock, abbiam fatto la nostra scelta.
Per farla breve, il bello di questo libretto è che tutti bevono. E non è mai acqua. E’ un gran bel fantasy, ed è un fantasy sulla birra (fra l’altro, il titolo inglese è “The Drawing of the Dark”, che si può tradurre con “l’avvicinarsi dell’Oscurità”, ma anche, con un po’ di fantasia, come “lo Spillaggio della Scura”). E’ la storia di Brian Duffy, acciaccato e attempato mercenario irlandese, che nella Venezia del Cinquecento viene assoldato dal classico misterioso vecchio per un lavoro all’apparenza facile e ricco di gratificazioni: fare il buttafuori in una birreria, su al Nord. Così Duffy si mette in viaggio per Vienna, che fra parentesi, in quel periodo era sotto assedio da parte dell’esercito turco. Duffy non è un fringuello, come si suol dire, e capisce subito che il vecchio – Aurelianus – non gli ha detto tutto: un po’ per i suoi modi misteriosi, un po’ per la sua lunga palandrana nera e vagamente iettatoria, un po’ per la sua abitudine di fumare strane cose. E un po’ per il fatto che per tutto il viaggio Brian è accompagnato da spettri e draghi, basilischi e nani balestrieri, e tutta una serie di mostri erranti che farebbero la gioia di qualsiasi Dungeon Master, un po’ meno quella degli occasionali monaci itineranti o mercanti che ne incrociano il cammino. In effetti il romanzo si apre con una scena che, di Aurelianus, ci dice molto: in una stanza, un vecchio Re malato giace sul letto, e Aurelianus gli porge un traboccante boccale di birra. Chi sarà mai questo Re malato? E questo vecchio saggio che gli sta accanto? Se al secondo paragrafo non l’avete ancora capito, andiamo male: vuol dire che mancano proprio le basi. La presenza, comunque, del Re Pescatore ci assicura che stiamo per imbarcarci in una storia epica: e in effetti il lavoro di Brian alla birreria Zimmerman è molto più importante di quel che sembra. Perchè l’assedio dei Turchi non mette in pericolo solo Vienna, ma tutta l’Europa: è un attacco al cuore stesso del Mondo Occidentale. E questo cuore, ed e qui che il romanzo sale assai di livello, non è una chiesa nè un monastero: è proprio la Birreria Zimmerman. Già. Seimila anni prima di Cristo, la Birreria esisteva già, con altri nomi, e l’immenso tino che giace nei suoi sotterranei contiene una Birra che, non solo è spettacolare, ma è un vero e proprio elisir di lunga vita. Il tino è senza fondo, e poggia direttamente sulla terra: la Birra si mescola dunque al buon vecchio suolo europeo: la terra delle grandi foreste, degli spiriti e dei guerrieri, degli dèi numerosi nascosti in ogni luogo. Se un romanzo del genere uscisse oggi qualcuno parlerebbe di scontro di civiltà, di Oriente contro Occidente, di Islam contro Cristianità, di radici cristiane della cultura europea. Ma di personaggi cristiani in questo libro non ve ne sono, se non qualche monaco di passaggio, e Brian, nel suo viaggio sosta in una taverna popolata di Satiri e Fauni, dove un vecchio perennemente ubriaco, la fronte cinta di foglie, sonnecchia in un angolo; e sulle Alpi i mostri e i nani che lo accompagnano lo portano in un tempio preistorico che era già vecchio di millenni quando San Pietro arrivò a Roma; e nella battaglia contro i Turchi sarà aiutato da un drappello di pensionati vichinghi discesi dalla Scandinavia, e dalle ombre di legioni romane e triremi fenicie. Le radici di cui parla questo libro sono quelle plurimillenarie e pagane dei Romani, dei Celti, dei Vichinghi, dei Goti e dei Greci, e di tutti i popoli perduti ormai nelle nebbie della storia: popoli che adoravano dèi diversi ma con gli stessi riti e negli stessi giorni, nei Solstizi e negli Equinozi, e che mai si sarebbero permessi di dire: il mio Dio è quello vero (quindi, aggiungiamo noi, caccia l’otto per mille).
Questo insomma è il classico libretto, all’apparenza senza pretese che si rivela, invece, a) molto divertente b) molto piacevole da leggere c) molto più profondo di quel che sembra. Sul simbolismo del Re Pescatore e della Terra Desolata, del Calderone dell’Abbondanza, del Campione Eterno e del Boccale della Buona Sorte è stato scritto più di quanto potremo mai leggere in tutta la vita; sul fatto che possa esser inteso come metafora della lotta tra Islam e Cristianità o che debba invece essere inserito nell’index Librorum Prohibitorum (assieme alle opere di Galileo, ma non, giova sempre ricordarlo, al Mein Kampf), non ci esprimiamo; ci limitiamo a far notare che, in questa storia, il braccio destro del sultano, il perfido Gran Visir (era Pratchett quello che diceva che da che mondo è mondo nessuno ha mai visto un Gran Visir che non fosse perfido?), si chiama Ibrahim: vale a dirsi: Abramo – patriarca, guarda caso, delle tre religioni monoteistiche. Fate un po’ voi. E con questo prendiamo congedo.


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