Il Treno degli Dèi

China Mieville non ha mai fatto mistero della sua collocazione politica, ed era inevitabile che prima o poi venisse fuori anche in uno dei suoi romanzi. «Il Treno degli Dèi» è il terzo romanzo ambientato nell’incredibile mondo del Bas-Lag, ed è una storia di lotte operaie, sommosse, attentati, giornali clandestini e anarchici bombaroli.
Le vicende dei tre protagonisti – Judah Low, costruttore di golem (qui però mi piacerebbe chiedere al buon Mieville come gli è venuta di chiamare un personaggio Judah Low: Perchè non Kristopher Wolken, allora?), il suo amante Cutter e Ori, un giovane operaio – si svolgono su uno sfondo complesso: la grande città-stato di New Crobuzon, la sua guerra con il lontano regno di Tesh, la sua situazione politica e sociale al limite del collasso. In realtà, e spero che l’autore non se la prenda a male, delle vicende di questi tre signori non è che riusciamo a interessarci più di tanto. Cioè, Judah lavora per il re delle ferrovie, e vediamo le sue vicende intrecciarsi con quelle della costruzione di una nuova linea: i paesi attraversati, le tribù autoctone sgomberate a colpi di fucile, il lavoro di operai e schiavi, un’atmosfera a metà tra il western alla Sergio Leone e Dungeons & Dragons, con pistoleri, spettri, giocatori d’azzardo, prostitute, incantesimi e uomini-cactus. E nell’immensa New Crobuzon (una delle creazioni più impressionanti e originali della fantasy di sempre) seguiamo la storia di Ori, che stanco della sua vita di operaio precario, si unisce prima a una cellula radicale di quelle che fanno riunioni su riunioni tipo il Fronte Popolare di Giudea, e poi alla banda del terrorista-taumaturgo Toro, che invece mira direttamente alla testa del Sindaco. Cutter invece è una lagna, lasciamo perdere.
Poi c’è altro, molto altro, anzi, tonnellate e tonnellate di altro. I romanzi di Mieville sono semplicemente alluvionali: la fantasia di quest’omino dallo sguardo omicida è a dir poco vulcanica, e tener dietro alle sue invenzioni (a volte demenziali, come i Bufali del Vino), ai popoli del Bas-Lag (umani, cactus ambulanti, trampolancieri, hotchi, llorgiss e borinatch), alle immagini (la città-tartaruga, l’elementale della luce lunare, la Macchia Cacotopica), alla semplice terminologia (tutti i discorsi tecnico-filosofici sull’arte e la scienza della golemanzia), non è impresa facile.
Anzi, non è facile proprio come romanzo, nè leggero, nè di evasione, anche perchè la sua prosa  sa essere fin troppo barocca (e la traduzione alquanto sciatta non aiuta). Ma il punto è un altro: è un romanzo di idee, di ideali e di speranze, incarnate nel Concilio di Ferro, una comunità nomade di operai, banditi e reietti, umani e non-umani, fuggiti decenni prima da New Crobuzon, a bordo di un treno rubato e decisi ora a tornare per portare la rivoluzione. E il popolo della città-stato, il vero protagonista, soffocato dalla disoccupazione e dalla povertà, stanco della corruzione dei potenti, della stampa succube o imbavagliata, del razzismo ormai palese, non aspetta altro.
E’ indubbiamente un romanzo corale, dove i protagonisti sono quasi, non vorrei dire anonimi, ma di certo meno memorabili di quelli di Perdido Street Station: alcune figure minori (mi vien da dire Personaggi Non Giocanti, sono certo che anche a Mieville capita), come il mago-pistolero Drogon, l’inquietante monaco Qurabin, il vecchio pazzo Spiral Jacobs sono decisamente ben riuscite, ma più che altro è l’esercito senza nome delle comparse, decine e decine di figure che salgono alla ribalta per un attimo e poi svaniscono nella folla, a dare al romanzo la sua forza. Forse è una conseguenza della visione politica dell’autore, che la massa conti più del singolo, forse no (o forse è solo una mia impressione) – ma il risultato è decisamente notevole.
E’ un omaggio, dice la copertina, «al socialismo utopico, ai rivoluzionari anarchici e alla tradizione radicale europea»; un inno alla rivoluzione, anzi, all’Idea di Rivoluzione, di Uguaglianza e di Giustizia, perchè Mieville sa benissimo, come lo sappiamo anche noi, che le rivoluzioni nel mondo reale finiscono sempre a schifìo. Quando va bene, in un bagno di sangue; altrimenti, passano vent’anni e quelli che una volta volevano rovesciare il mondo si accorgo di essere passati, sa dio come, dall’altra parte.

Da leggere ascoltando – ovviamente – «la Locomotiva» di Guccini.


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San Crepino e San Sicario

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Questi famigerati santi lapponi sono noti ai più per il Miracolo delle Melanzane Ripiene, in cui sfamarono tre tizi che passavano di là per caso con 10 quintali di melanzane andate a male. Il processo seguente diventò famoso per l’arringa difensiva dei due santi realizzata con le ombre cinesi sulla parete del bagno dell’autogrill al km. 42 dell’autostrada Milano-Bratislava. Nonostante l’alto valore artistico della loro difesa, vennero condannato a 15 anni di lavori su insistente richiesta. Furono poi riabilitati dal Concilio Melanzano II e santificati da Papa Zongo III lo Sventrapapere.

In un raro dipinto di Giovanni da Amersfort detto il Pusher di Senigallia, i due santi sono raffigurati nell’atto di invocare la divina medusa Gisella e i suoi vapori radioattivi. La risposta negativa della soave medusa (che si può sommariamente tradurre come “Col cazzo! Potete anche morire!”) provocò forti capogiri ai due santi e la subitanea apparizione di una melanzana tuttora venerata nel Sangiaccato di Voivodina come reliquia. Fu la Sacra Melanzana di Voivodina che li guidò al parcheggio tir delle melanzane irrancidite dove avvenne il celebre miracolo. Vabbè.


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Sant’Avessero

Sant'Avessero

S. Avessero e S. Avessero all’inaugurazione del festival di Cinema e Mostarda di Capracotta (Sussex).

Protettore dei melograni e dei giocatori di curling, S. Avessero è passato alla storia grazie al suo dono dell’ubiquità, che gli permetteva di trovarsi contemporanemente nello stesso posto. Il Gran Fonavolo di Sassonia Gunther von Ramirez ha fatto notare come i due S. Avessero presenti ai numerosi party fossero completamente diversi tra di loro, insinuando che la storia dell’ubiquità fosse solo una scusa per pagare un solo biglietto di ingresso. La rissa tra il Gran Fonavolo e i due S. Avessero si è piazzata al secondo posto nella classifica Mazzate & Cazzate del 230 d.C.


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Sant’Omiciattolo

Sant'Omiciattolo

Sant’Omiciattolo con la sua amorevole tata, Ludmillo il Manesco. Per aiutare il piccolo santo a dimenticare le pene del mondo ed addormentarsi nella grazia del Signore e dei Suoi criceti, il dolce ancorché manesco Ludmillo era solito usare una mazza chiodata di ghisa dal peso di 300 chili.

Ultimo discendente dell’antica dinastia degli Inutili e Rachitici Nanerottoli Privi di Spina Dorsale, Sant’Omiciattolo da Poggibonsi è noto (ma non troppo) per la sua completa e totale insulsaggine, che lo rendeva l’attrazione delle fiere di paese di tutta la Dalmazia. Salì agli onori della santità per aver salvato da morte certa Liutprando, il criceto profetico di Papa Rambo IV, rimasto incastrato nell’esofago del Papa stesso. Non fate domande. Da allora è diventato il Santo Patrono dei piccoli roditori incastrati negli esofagi degli alti prelati. Per la cronaca, San Frullino è invece il Santo Patrono degli alti prelati nei cui esofagi si incastrano spesso piccoli roditori.


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San Pirottino il Sanguinario

San Pirottino il Sanguinario

Questo Santo allegro e pacioccone, amato da tutti i bambini ai quali soleva portare in dono balocchi e canditi, deve il suo bizzarro soprannome a una sfortunata scommessa fatta con suo cugino Piero il Sanguinante, che deve il suo bizzarro soprannome a un incontro fatto con una betoniera sulla tangenziale est. Quale betoniera, chiederete voi? Ma non divaghiamo. Divagare è male. Lo diceva anche il tenero S. Pirottino il Sanguinario. Una volta un tizio ha divagato e lui lo ha ridotto in francobolli. E poi li ha regalati ai bambini, perché è un benefattore. Ecco.

“Santo, santo Pirottino, sterminatore beniamino! Ascolta, o Pirottino, la preghiera del bambino.
Non ti pulsa il cuoricino a sentir tanto casino, che ti invoca Pirottino dalla sera fino al mattino?”
“No. Anzi, avreste anche rotto un po’ i coglioni.” – “Ah. Allora provo a chiedere a San Gennaro.”
“Vai, vai, che è meglio.” – “San Gennaro, San Gennaro…”
“Non qui, imbecille.” – “Ah. Chiedo scusa. Allora io andrei.”


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Web Comic Ring: L’Ultimo Uomo Sulla Terra!

E dopo di noi il giro continua con Fam!

Fumetti sul Web!Ebbene sì, cari figlioli! L’allegra combriccola di Fumetti sul Web vi invita a farvi un giro sul nuovo Web Comic Ring! TA-DAM! Di che si tratta? E’ molto semplice: questa volta ci siamo ispirati al celeberrimo e microscopico racconto racconto di Fredric Brown, maestro della fantascienza, quello che dice: «L’ultimo uomo sulla terra è solo nella sua stanza. Qualcuno bussa alla porta» (Già. Proprio così. Diteci voi se questa non è classe). Ognuno dei partecipanti ha rielaborato la storia a suo piacimento, realizzando una vignetta, una striscia, un disegno, una saga epica in trentadue volumi, un’opera per oboe solista e orchestra o un sonetto. Poi ognuno linka la sua creazione a quella di un altro, in letizia e armonia, finchè l’ultimo rimasto ri-linka il primo e si ricomincia daccapo.  Fantastico, nevvero? Buona lettura e buon divertimento!


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S. X (Il Santo del Mistero!!!)

 S. X (Il Santo del Mistero!!!)

Chi non ha mai sentito parlare del famoso santo X? La sua sagacia illuminata, la sua sicumera tagliente, la sua dispepsia cronica ne hanno fatto ormai una figura leggendaria. Si narra che amava aggirarsi di notte nelle brulle distese di baobab mutanti di Londra declamando passi del codice penale polinesiano, mentre attorno a lui le folle ascoltavano sgomente, pregando per la salvezza della loro anima immortale. Gli eretici dicono che in realtà non si trattava del santo, ma di Pino il giardiniere folle, ma dopo averne bruciati un paio hanno smesso di sparare cazzate. Ecco.

Il Santo del Mistero ama rilassarsi fissando il vuoto con aria ebete, fidando del fatto che i comuni mortali non possono sopportare la vista del suo volto. Purtroppo per lui, il clone del Papa Androide Alieno Mutante venuto dal futuro non aveva di queste limitazione e, avendolo sorpreso a bere birra dal naso, lo condannò giustamente ai lavori forzati nelle miniere di melma del Cairo. La rocambolesca fuga del Santo del Mistero è ormai nota a tutti e così il suo riscatto grazie all’eroismo dimostrato nella battaglia di Cologno Monzese.


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Il Furto della Grande Pigna

Il Furto della Grande Pigna

Abelardo da Vimodrone – 1644

Fiumi di inchiostro sono stati versati nel vano tentativo di spiegare il profondo significato del Furto della Grande Pigna, effettuato dal famigerato emiro Ahmed El Yallabassula nel lontano Anno del Signore 725. Il Pellegatti Rompiglioni sostiene, ancora una volta completamente a sproposito, come la natura allegorica del dipinto mostri l’anelito dell’Uomo verso la Conoscenza, l’Armonia Universale e i Pinoli. Da cui nacque l’annosa questione sull’esistenza dei Sacri Pinoli della Grande Pigna: sono stati forse essi la causa del Furto? L’emiro El Yallabassula è stato incapace a resistere al loro richiamo divino? E’ per questo che la Grande Pigna non fu mai ritrovata, venne forse divorata senza pietà? In risposta a queste domande, lo Zappone diede vita a una petizione per far internare il Rompiglioni il più presto possibile, petizione accolta da ovazioni e giubilo in tutto il mondo.


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