Il Libro del Sole e dello Scorbuto: Il Cucchiaio di Re Salomone


Il Califfo Ahmed El-Yallabassula contempla l’infinita distesa del deserto. Sotto di lui, alla base della duna, gli schiavi continuano a scavare, ormai da due giorni, a pochi passi dal confine dell’oasi.
«Bòn. Direi che basta. Torniamo a casa.»
Il Gran Visir, a destra del Califfo, annuisce sconsolato. A sinistra, il mercante Rashud rimane basito.
«Come? A casa?»
«A casa, a casa. Abbiamo scavato abbastanza. Cioè, hanno scavato. Qui non c’è niente.»
Il Gran Visir, intanto, agita le braccia per attirare l’attenzione degli schiavi e dei soldati. «Ohi, là sotto! Basta scavare! Si torna a casa!»
«Ma… eccellenza, non capisco…»
«Lo sai perchè siamo qui?»
«No, maestro. Quando la mia carovana è arrivata, questa mattina, i vostri schiavi stavano già scavando. Che cosa cercate?»
«Ti spiego. L’ultima notte del Ramadan una stella cometa con due code è apparsa nel cielo sopra il mio palazzo; e la voce del Profeta, la cui saggezza colma le mie giornate, è discesa dall’alto dicendo: “Principe El-Yallabassula! A cento passi dall’oasi di El-Daud, scava e troverai un tesoro quale neanche Iskandar il Magnifico ebbe a possedere!” Così ci siamo messi in marcia, cento uomini tra guardie, guide e portatori, e duecento cammelli, e siamo venuti qui a vedere.»
«Sia lodato il Profeta! È un prodigio inaudito! E voi abbandonate così la ricerca, alla faccia del Profeta?»
«Eh, sapessi, caro mio. Ascolta: in gennaio mio suocero, il Califfo El-Yallabrambilla, Baluardo dei Veri Credenti, trova in riva al Nilo un antico vaso; lo apre e ne esce un djinn. E il djinn gli dice: “Riferisci queste parole al Califfo El-Yallabassula: Principe! Recati in cima al monte Oreb, e troverai un mausoleo antico quanto il mondo ove si custodiscono l’armatura d’argento e la spada dell’Arcangelo Gabriele!” E noi che abbiamo fatto? Abbiamo organizzato la carovana, cammelli, guardie, nani, portatori, e ci siamo messi in viaggio. Due settimane.»
«E avete trovato – »
«Niente.»
«Ma – »
«Aspetta. L’anno scorso, a metà aprile, per sette notti di seguito, ci è apparso in sogno, a me e ai miei dodici figli, il santo eremita sufi Shihab el-Badil che mi ha detto “Principe El-Yallabassula! In fondo alla mia grotta c’è un baule, e in quel baule c’è una pergamena su cui ho scritto i segreti dell’Universo, la mappa del mondo sotterraneo e i resoconti dei miei viaggi oltre le sfere celesti.”»
«E siete andati a cercare.»
«Già. Organizza la spedizione, raduna i mercenari, i portatori, i cammelli, convoca i cartografi, consulta gli oroscopi, saluta le mogli, eccetera eccetera. E siamo andati fino in Cappadocia, a cercare ‘sta cazzo di grotta. E indovina cosa c’era nella grotta?»
«Niente?»
«Beh,» interviene il Visir, «su una parete c’era scritto “andate tutti a fare in cu-”»
«Lasciamo perdere.»
«Ma – »
«Non è mica finita: a febbraio dell’anno scorso certi mercanti mi hanno portato dall’Egitto una mummia. Dicevano che i miei astrologi e alchimisti avrebbero potuto farci chissà cosa. E insomma, mentre eravamo lì a discutere sul prezzo la mummia si alza e dice “O Califfo El-Yallabassula, prediletto del Profeta! Sappi che a cento giorni di cammino da qui, oltre le rovine di Ninive la superba, una volta ogni cent’anni le sabbie del deserto si aprono e rivelano il palazzo di Re Salomone, colmo di tesori al di là di ogni immaginazione! Affrettati!”»
«E voi siete andati?»
«Sì.»
«E avete trovato il palazzo di Re Salomone?»
«Sì.»
«E nel palazzo c’era…»
«Un cucchiaio.»
«Un…?»
«Un cucchiaio. Visir, fa vedere.»
Il Visir estrae dal mantello un cucchiaio di legno.
«Ma… ma cosa significa?»
«Ma che cazzo ne so. Non faccio a tempo ad arrivare a casa, metter giù le valigie e farmi una doccia che ne arriva un altro. Una volta è una scritta di sangue sul muro, un’altra è un unicorno nelle mie riserve di caccia, oppure il fantasma di un mio antenato o cosa ne so. E tutti a dire Principe vai qui, Califfo vai lì, e scava di qua, e scava di là, e cerca questo, e cerca quello. Guarda, non so più dove sbattere la testa. Perchè questi prodigi vengono dall’Altissimo, e se l’Altissimo mi chiama alle tre di notte e mi dice di andare a scavare un buco in un qualche posto in culo al mondo non è che possa far finta di niente, capisci. Mi tocca prendere su e andare a scavare. Ormai tutte le volte che qualcuno chiede udienza mi vengono i sudori freddi. Ma dimmi un po’ te se è vita, questa.»
«Già. Non posso dire di invidiare la vostra sorte, mio signore. Ora prendo congedo, ma non disperate: evidentemente il Profeta vi ha scelto fra i suoi fedeli, e l’Altissimo ha in serbo per voi grandi cose.»
Rashud si allontana; il Visir scende goffamente dalla collina, sprofondando nella sabbia fino alle caviglie. Gli schiavi e i portatori, a udire i suoi ordini, scuotono la testa perplessi e borbottano tra loro. Le guardie si scambiano battute sarcastiche e ridono sotto i baffi; i cammelli osservano la scena con nobile distacco. Il Califfo, perso nei suoi pensieri, scruta l’orizzonte.
«Eh, l’Altissimo. Avrà anche in serbo grandi cose, l’Altissimo, ma se andiamo avanti così un giorno o l’altro gli metto le mani addosso.»
Sotto di lui, nella luce del tramonto, le nude e sconfinate sabbie deserte e piatte si stendono lontano.

***
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Jurgen, una Commedia di Giustizia

Il signor Jurgen ha pochi capelli e una discreta pancetta. In gioventù ha avuto la sua parte di conquiste galanti, ha composto poesie e sognato avventure; ora, più vicino ai cinquanta che ai quaranta, ha una moglie che sopporta con rassegnazione e un lavoro più che remunerativo (è un prestatore su pegno; non un usuraio, ma la differenza è talvolta assai sottile), ma non proprio entusiasmante. Come si suol dire, ha messo la testa a posto. Gli è rimasta, però, la passione per i giochi di parole, le schermaglie intellettuali e il piacere di sparar cazzate, ed è per questo che un giorno si mette a discutere con un frate incontrato per strada e gli dimostra come il diavolo non sia poi così diabolico e che la maggior parte del male che c’è a questo mondo sia causato dagli uomini. Sagge parole, direte voi, e non siete i soli; perchè sulla strada di casa un gentiluomo nero lo avvicina e lo ringrazia; e, anzi, si è preso la libertà, dice, di fargli un favore per sdebitarsi. E in effetti la moglie di Jurgen è scomparsa. La tentazione di far finta di nulla, per Jurgen, è forte; ma il senso del dovere prevale e il nostro pacioso gentiluomo si imbarca in una quest alla ricerca della moglie: un viaggio che lo condurrà prima sottoterra, poi nel passato, poi in paesi lontani e misteriosi; scenderà all’inferno e risalirà fino in paradiso; ritroverà la giovinezza perduta, verrà aiutato da streghe e centauri, incontrerà maghi, santi, farisei e scarabei ruzzolamerda e scoprirà il misterioso segreto di Papa Giovanni Ventunesimo.
«Jurgen, una Commedia di Giustizia» è un fantasy d’altri tempi; risale al 1919 e fa parte del Ciclo di Poictesme, il paese immaginario in cui J. Branch Cabell ambientò qualcosa come 25 romanzi. No, dico, venticinque. Poi ci lamentiamo di Terry Brooks. E’ un libro strano, e a dir la verità, la prima volta che l’ho letto l’ho trovato una minchiata. Però a quei tempi leggevo la Dragonlance e la saga di Thomas Covenant l’Incredulo. L’ho riletto altre tre o quattro volte, e devo dire che oggi lo considero un piccolo, prezioso libriccino. Il che può voler dire che «Jurgen» è uno di quei libri che a quindici anni non si possono capire e a quaranta sì, per una semplice questione di bagaglio di esperienze e crescita personale eccetera; o magari che con gli anni mi sono rincoglionito; nel qual caso sono in buona compagnia. Dice Wikipedia, e chi sono io per contraddire Wikipedia, che Heinlein si ispirò a questo romanzo per la sua epopea hippy «Straniero in Terra Straniera», e il titolo originale del «Pianeta del Miraggio» era guarda caso «Job, a Comedy of Justice». Aleister Crowley considerava «Jurgen» un «capolavoro filosofico» e in effetti è uno di quei libri che sembrano sempre alludere a qualcos’altro, che nominano senza descrivere, che lasciano sempre l’impressione che ci sia sotto qualcosa, un senso recondito, un significato differente.
Certo, spesso sono solo doppi sensi (e certe volte di quelli che ti fan venire voglia di picchiare la testa negli spigoli) per parlare di sesso senza scandalizzare i benpensanti (cosa che a Cabell non riuscì, visto che «Jurgen» gli costò un processo per oscenità); però questa atmosfera, a volte misteriosa, a volte malinconica e a volte sarcastica, unita al suo innegabile fascino retrò, ne fanno un libro da riscoprire.
E poi c’è il protagonista. Jurgen, «a monstrous clever fellow», è un eroe molto poco eroico; ama la bella vita e le belle donne – e in effetti il fatto che sia alla ricerca della moglie non gli impedisce di sollazzarsi con fate, regine, ninfe e diavolesse – e preferisce cavarsi d’impiccio, più che con le armi, con un mix torrenziale di retorica, sarcasmo e supercazzole. Non solo: Jurgen sa benissimo che le sue avventure sono tutte cazzate, che sono solo una parentesi, e che prima o poi tornerà a fare il prestatore su pegno, con una moglie bisbetica e un sacco di sogni irrealizzati e di amori impossibili nel cassetto, perchè dopotutto è questa la vita vera. Non so se Jurgen abbia ragione o meno (e sotto sotto spero di no); ad un certo punto incontra il Dio Pan, che gli mostra, appunto, tutto; e Jurgen ne rimane sconvolto, perchè non può credere che l’universo sia così grande e la sua vita, e tutto ciò che la compone – il lavoro, la moglie, la casa, – sia meno che nulla. Eppure questo nulla per molti è tutto; e molte di queste persone, come Jurgen, sono state giovani idealisti e scavezzacollo, poeti e spadaccini, giullari e cantastorie. Tutti ne conosciamo almeno uno, che vent’anni fa sembrava John Belushi e ora è un rispettabile membro della società; questo libro è per loro.

***

Jurgen, a Comedy of Justice, è scaricabile gratis ma in inglese da Feedbooks


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La tragica storia di Gianciotto Malatesta e del maligno nano Maligno

Le più grandi storie d’Amore di tutti i tempi

C’era una volta, tanto tempo fa, un placido mercante di polenta chiamato Gianciotto. Cresciuto nella tetra rocca di Vrócc, deriso e sbeffeggiato per il suo aspetto deforme e il suo nome ridicolo (come se non bastasse, di cognome faceva Malatesta. No, dico: Gianciotto Malatesta. Avete mai sentito niente di più ridicolo?), il povero Gianciotto aveva, come unico rifugio da un mondo gelido e ostile, la sua amata polenta, con cui si divertiva a comporre sculture megalitiche di pregiata fattura che poi rivendeva a prezzi esorbitanti ai nobili del contado (le cui capacità critiche in campo artistico erano di poco inferiori a quelle di un gerbillo in coma). La sua fama di polentore – parola da lui inventata per indicare l’artista capace di estrarre dalla polenta bruta e primordiale le eteree fattezze di… ehm… insomma… qualcosa – raggiunse ben presto la remota Rimini, dove il nostro eroe si recò in viaggio per ritirare l’ambito trofeo messo in palio dal Gran Fonavolo della Riviera Romagnola – il famoso Plantigrado di Gesso – per il suo fenomenale Laocoonte di polenta taragna.

Tra i giurati della giurìa (non l’avreste mai detto) vi era anche Polento da Polenta, rivenditore di polenta di Polenta (nel senso che abitava a Polenta – frazione di Bertinoro – e vendeva polenta – ci siamo capiti), noto ai più, per una serie di motivi che non starò a elencarvi, come Guido Uno Minore da Polenta. Lo accompagnava la sua graziosa figlia Francesca da Polenta. Come Gianciotto posò gli occhi su tale angelica bellezza, cadde in un estatico stupore che gli fece dimenticare finanche la sua polenta (in favore della da Polenta – ha ha ha), e lo innalzò tra le schiere celesti degli angeli e degli arcangeli che cantavano in coro le lodi della fanciulla. Purtroppo, la sua timidezza, il suo aspetto orrendo, il suo alito letale e la sua totale goffaggine gli impedirono di palesare i suoi sentimenti, e se ne tornò a Vrócc con le pive nel sacco e un Plantigrado di Gesso, privo per lui di qualsiasi attrattiva (e in effetti, come dargli torto).

In breve tempo, l’intera rocca risuonava dei suoi lamenti strazianti. «Ahimè lasso! Me tapino! Son ridotto al lumicino! La polenta è smunta e deperita e non mi dà più gioia nè sollazzo! Solo la Da Polenta è regina del mio cuore! Come posso vivere senza di lei? Ohibò!» e così via. Grande era lo sconforto tra gli abitanti della rocca: «Oh povero Gianciotto, il suo cuore è stato rotto.»
«Come i nostri timpani! È una settimana che va avanti. Lui e il suo Plantigrado di Gesso.»
«Comunque Gianciotto è proprio un nome idiota.»
«Ha ha ha… Gianciotto!» (Exeunt)
Solo una persona condivideva il dolore del nostro eroe, seppure per un diverso motivo: il nano Maligno da Capocollo, fedele servitore di famiglia. Il nano, d’animo sensibile e romantico, nonostante l’aspetto rozzo e ributtante, nutriva da anni un profondo amore verso il suo padrone; conscio della differenza di classe (e del fatto che a quei tempi per queste cose si finiva al rogo), il buon Maligno non aveva mai osato far parola dei suoi sentimenti, contentandosi di amare da lontano il suo Gianciotto e la sua polenta.

Lo scultore – anzi, il polentore – e il suo assistente soffrivano insieme le pene dell’amore:  inutilmente il servo deforme cercava di aiutare Gianciotto a liberarsi da questa ossessione! Fu allora che Paolo, l’aitante fratello di Gianciotto, stanco delle notti insonni, lo prese da parte e gli disse:
«Uè, ciccio, qui non se ne può più. Cosa ci vuole per farti stare zitto?»
«Ahimè, fratello mio! Il mio cuore sanguina! Solo la Da Polen-»
«Ho capito. Prendo il cavallo e vado.»
E fu così che il valoroso Malatesta pigliò la sua spingarda caricata a sale, balzò a cavallo e andò a procurare una moglie al fratello.

In men che non si dica, il prode Paolo attraversò le perigliose lande inesplorate che si stendono tra San Giovanni in Galilea e Sogliano Al Rubicone, indi raggiunse l’agognata Polenta. Fedele alla tradizione di famiglia, il giovanotto attese la fanciulla davanti alla chiesa e, ratto come un coguaro, le sferrò una precisa manganellata sull’occipite. Quando riprese conoscenza, la dolce Francesca era ormai lontana dal focolare paterno: sperduta in una terra straniera, in compagnia di un rozzo manigoldo privo di scrupoli, la nostra eroina diede sfoggio del suo carattere indomito tirando una pietrata in testa al marrano. Quando riprese conoscenza, il dolce Paolo era legato come un salame e in compagnia di una furia scatenata armata di spingarda.

«Tu, verme schifoso! Come hai osato rapire una povera fanciulla indifesa quale io sono? Credi forse che i da Polenta siano disposti a sopportare un simile affronto? Parla, miserabile! O un fiume di polenta rovente si rovescerà sul tuo inerme capo riverso!»
«Eh?»
«Parla, ho detto!»
«Oh, soave fanciulla! Se ho osato levare la mano contro tale bellezza, è solo perché spinto dalla fiamma imperitura dell’Amore!»
«Tu?»
«No! Non io! Per carità, non sia mai! Mio fratello! Da quando ti vide, il suo animo non conosce pace. I suoi lamenti risuonano per tutta la rocca e ci tolgono il sonno e l’appetito. Non vuoi tu conoscere l’Amore di un tale gentiluomo? Eh?»
«Tuo fratello, eh?»
«Già.»
«Non sarà mica Gianciotto l0 sciancato? Quello che scolpisce la polenta?»
«Ehm… sì? Ma non è sciancato! Di profilo non si vede!»
«Ah sì, eh? E io dovrei crederci?»
«Te lo giuro sul mio onore!»

Mentre i due erano così impegnati in argute schermaglie cortesi, nella tetra rocca di Vrócc il povero Gianciotto non si dava pace.
«Perché non è ancora tornato? Sono già due ore che è partito!»
«Avrà trovato coda al casello – lo rassicurava il nano Maligno – oppure sono andati a sposarsi a San Marino. Si sa che lì non hanno morale.»
«Taci, Maligno! Non tormentarmi! Paolo non mi tradirebbe mai così!»
«Ah sì? E quella volta che le ha rubato l’ultimo chilo di polenta per riempirci la corona del Duca di Forlimpopoli?»
«Taci, Maligno! Era solo uno scherzo innocente!»
«Sarà, ma i tre mesi di prigione se li è fatti lei. E i cinquanta scudi che le ha chiesto a Capodanno glieli ha ridati?»
«Taci, Maligno! Cosa sono cinquanta scudi tra fratelli? E poi li ho dati a Malatestino, non a Paolo.»
«E il -»
«Taci, Maligno! Per troppo tempo quel lestofante si è preso gioco di me! E adesso si permette anche di concupire mia moglie!»
«Moglie? Ma veramente – »
«Taci, Maligno! Il nostro amore puro è come un matrimonio agli occhi del Signore! E quel manigoldo me l’ha traviata! Ma adesso mi vendicherò!»
«E come?»
«Taci, Maligno!»

Malatestino Uno Dell’Occhio Malatesta (non fate domande) era considerato dagli abitanti della rocca un maniaco omicida; eppure sotto quella rude scorza di brigante da strada, sotto quell’ingannevole apparenza di spietato assassino, sotto uno spesso strato di fango e sangue rappreso si nascondeva l’animo sensibile di un facocero ferito. Chiuso nel suo sotterraneo, circondato dai suoi amati strumenti di tortura, Malatestino si stava preparando a depilare un gerbillo quando suo fratello irruppe.

Interludio. Avete mai seriamente preso in considerazione la parola ‘irruppe’? Non è una delle parole più ridicole che abbiate mai letto? Provate a ripeterla: irruppe irruppe irruppe. No, dico: ir-rup-pe. E al contratio si  legge ‘eppurri’, che potrebbe quasi avere senso! O quantomeno non è più ridicolo di irruppe. Vabbè, torniamo alla storia. Irruppe!

«Panciotto! Perché irrompi?»
«Prima di tutto, è Gianciotto, non Panciotto! E lo sai benissimo! Secondo, che fine hanno fatto quei cinquanta scudi che mi devi?»
«Ce li ha Paolo.»
«AAAARGH! Ancora Paolo! Maledetto Paolo! Lui ha sempre avuto tutto! Soldi! Donne! Un nome decente!»
«Calmo, Panciotto, calmo.»
«Taci, Maligno!»
«Eh?»
«Ah, scusa. Pensavo fossi il mio nano. Sai com’è, la testa…»
«Ti prendi gioco di me solo perché sono microcefalo?»
«No, non solo per quello.»
«Ah.»
«Ma basta chiacchiere! Paolo sta insidiando mia moglie!»
«Non sapevo ti fossi sposato. E non mi hai invitato?»
«Siamo uniti solo dai puri vincoli d’Amore! E comunque non ti avrei invitato lo stesso. Sei brutto e microcefalo.»
«Parla lo sciancato!»
«È permesso?»
«Oh guarda chi c’è! Il tuo nano! Ce ne hai messo ad arrivare con le tue gambette corte!»
«Taci, microcefalo! Io non perdo mai di vista il mio padrone!»
«Sì, perché è sciancato!»
«Non sono sciancato! Ho una camminata artistica, come si addice al mio talento di polentore.»
«…»
«…»
«Ma bando alle ciance! Malatestino, caro fratello mio, ho bisogno del tuo aiuto.»
«Non lo faccio il modello per le tue sculture di polenta. Fatti aiutare dal tuo nano!»
«Subito, padrone! Sarò la vostra musa.»
«Taci, Maligno!»
«Taci, Maligno!»
«Taci, microcefalo!»
«Taci, sciancato!»
E così passarono le ore in letizia e armonia.

Il sole tramontava sulle terre inospitali circondanti la rocca di Vrócc, quando due cavalieri stanchi e affamati si appropinquarono alle mura (bello appropinquarono, eh? Quasi come irruppe). Avuta conferma che Gianciotto si trovava nel suo studio a scolpire la polenta, i due giovani vi si diressero immediatamente. Ma il fato crudele era in agguato! Anzi, per dira la verità Malatestino era in agguato, il fato crudele in quel momento stava giocando a bridge al Circolo Dopolavoro Ferroviario di Buccinasco. Capita. Comunque sia, il perfido Malatestino stava mettendo in atto il suo cervellotico piano per vendicarsi dei continui insulti di Gianciotto. E probabilmente anche per evitare di restituirgli i cinquanta scudi. Nascosto dietro un calderone di polenta rovente, aspettava il momento giusto per rovesciarlo sul fratello. Forse non proprio cervellotico come piano, ma quando si è microcefali non si può mica pretendere molto di più. E infatti, dopo sei ore di attesa, il crudele, ma non molto brillante, Malatestino si era assopito dietro la sua arma letale.
E così, mentre Gianciotto si apprestava a dare gli ultimi tocchi al suo capodoglio di polenta in grandezza naturale, la porta si aprì di schianto e la splendida Francesca fece il suo ingresso. E venne immantinente travolta da un diluvio di polenta in fiamme.
«AAAAAAAAAARGH!» disse Francesca.
«AAAAAAAAAARGH!» disse Gianciotto, che per lo spavento aveva decapitato la sua opera.
«AAAAAAAAAARGH!» disse Malatestino, vedendo il suo piano andare in fumo.
«AAAAAAAAAARGH!» disse il nano Maligno nel vedere tanta preziosa polenta sprecata.
«AAAAAAAAAARGH!» disse Paolo, tanto per non sfigurare.
«Polenta! Io odio la polenta!» esclamò Francesca «Non ho fatto tutta questa strada per essere ricoperta di polenta! Allora tanto valeva che me ne stavo a casa! Non posso credere che mi hanno costretto a venire a parlare con uno sciancato polentomane e questa è la ricompensa per il mio buon cuore!»
«Beh adesso, costretto è una parola grossa. E poi mi hai anche preso a pietrate. Ho ancora il bernoccolo: guarda!»
«E io ho ancora la tua spingarda!» e così dicendo la dolce Francesa sfoderò l’arma letale e fece fuoco su Gianciotto.
«Noooo, padroooooone!» gridò il nano Maligno, facendo scudo al suo amore segreto con il suo corpo. Ma essendo troppo basso (era pur sempre un nano) la scarica mortale gli passò sopra la testa.
«Ahimè, muoio!» sospirò Gianciotto scivolando nella polenta «Vendicami, Maligno! E fatti ridare i cinquanta scudi.»
In preda a una furia omicida, Maligno si gettò sui due malcapitati.
«Ehi, io che c’entro?» disse Paolo mentre il nano gli addentava lo stinco.
«Mumble grunf ciomp!» bofonchiò Maligno.
«Ha detto che gli devi cinquanta scudi. E che la spingarda è tua.» tradusse Malatestino, che osservava il caos con occhio clinico.
«Fermi tutti! Polizia!»
«Eh?»
«Cosa?»
«Chi?»
«Abbiamo della polizia?»
«Ahimè, muoio…»
«Sono l’ispettore Ebete del Commissariato di Sassofeltrio. Siete tutti in arresto per tentato omicidio con polenta, porto abusivo di polenta, tentato omicido con spingarda caricata a sale, porto abusivo di sale per spingarda, microcefalia, nanismo e uso illecito di farina gialla.»

E così la quiete ritornò nella tetra rocca di Vrócc, mentre i nostri eroi languivano in cella. Il processo destò grande scandalo nei dintorni e finì con l’assoluzione degli imputati grazie all’intervento del Gran Fonavolo della Riviera Romagnola, grande fan dell’arte gianciottesca.

***

Malatestino Uno Dell’Occhio Malatesta si imbarcò su una baleniera e di lui non si seppe più nulla.
Paolo Malatesta investì i suoi cinquanta scudi in borsa e divenne ben presto l’uomo più ricco di Vrócc.
Francesca da Polenta scappò con il circo e fece fortuna come domatrice di gerbilli.
Gianciotto Malatesta sopravvisse alle sue numerose ferite grazie alle amorevoli cure del nano Maligno. Una volta rimessosi, i due fuggirono a San Marino a consacrare il loro amore. E vissero per sempre felici e contenti. E pieni di polenta.

***


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Le più grandi storie d’Amore di tutti i tempi

Ah, l'Amore!

Aaah, l’Amore! Mi ricordo quando ero piccola e ingenua e ho chiesto alla mia cara vecchia nonna: “Nonna, nonnina! Che cos’è l’Amore?” E lei, che era pur sempre uno dei più famosi contrabbandieri di gerbilli di tutta la costa bretone, mi fissò dritta negli occhi e disse: “Mi venga un canchero se lo so, piccola sciagurata. Chi ha bisogno dell’Amore quando ha dei gerbilli?” Ahimè, come si sbagliava! Fu questa sua tragica ignoranza a causare la Grande Moria dei Gerbilli del ’47. Ed è per questo, cari miei, che dovete conoscere l’Amore prima che sia troppo tardi e i vostri gerbilli periscano nella fiamma. Per fortuna c’è qui la vostra cara vecchia astuta compassionevole sagace modesta e sgamata Zia Melma pronta a condurvi per mano, che lo vogliate o no, lungo gli irti sentieri dell’Amore, dove il pericolo è in agguato a ogni svolta come il crudele leucrotta che si acquatta nel sottobosco per poi balzare spietato sull’ignaro viandante e mangiarne il cervello. Chiaro, no? Ma adesso basta chiacchiere! Mettetevi comodi e leggete le edificanti novelle che la vostra cara anziana claudicante geniale supponente e brillante zietta ha scritto per voi.

Eh, già.

La tragica storia di Gianciotto Malatesta e del maligno nano Maligno


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Il Calendario di Frate Cazzaro – Dicembre 2010

fiabe-grande La Squadra Cazzate è fiera di presentare di nuovo:
(Lo abbiamo già detto, è vero, ma conoscendovi non fa certo male ribadire.)

Le Fiabe Impopolari del Fungo Sospetto!

Frammenti di tradizioni quasi scomparse (e ci sarà un perchè), frattaglie di saggezza contadina e sub-urbana, le fiabe non sono, come molti pensano, semplici sciocchezze per tener buoni gli allocchi, ma contengono profondi insegnamenti cui un giorno potrete rivolgervi con gratitudine nel caso vi trovaste aggrediti da un coguaro o da un leucrotta o sperduti in cu… ehm, ci siamo capiti. Ma basta chiacchiere! La parola al Fungo Sospetto!

CAPITO?
(e compratelo allora…)

Non indugiate oltre! Correte a comprare questo fantasmagorico libro pieno di azione, romanticismo e cazzate!
Le Fiabe Impopolari vi aspettano qui!

1012titolo

Frate Cazzaro elenca cose che iniziano con la ‘n’
Nacchere, nachos, nuvole, nani, nutrie, Nietszche, nonni, NASA, Nosferatu, natanti, neri, nazioni, nottole.
E poi:
Nuclei, neutroni, nasi, ninfee, nafta, azoto, negativi, natura, niente, nulla..

1012main

La porchetta di Marie Curie
Ebbene sì, in pochi sanno che la famosa scienziata non poteva vivere senza il suo quotidiano sfilatino con la porchetta.

***

Lo Zampone di Ferdinando II
Ebbene boh.

Le cotiche di Caterina de Medici
Ebbene no, queste rare prelibatezze imbalsamate si riconoscono per il caratteristico profumo di solfuro di antinomio.

***

Le urla invereconde (parte II)
‘AGHAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAH!’

1012calendario
‘Della Lungimiranza’
(ode in apprezzamento di Lungimiranza d’Altamura, per la sua nomina ad ottava Frottola d’Ungheria)
Deh, mira, ‘Miranza,
con quale baldanza
parole congiunsi in rima e assonanza
con lira e pazienza vi pongo d’innanza
quest’opera ganza
che lungi da me ispirar tracotanza
ma sola sospira, v’ammira e sentenzia
‘è giunta ‘Miranza, s’inizi la danza!’
(di Tarchiato Basso)

Deh, mira, ‘Miranza, con quale baldanza parole congiunsi in rima e assonanza con lira e pazienza vi pongo d’innanza quest’opera ganza che lungi da me ispirar tracotanza ma sola sospira, v’ammira e sentenzia ‘è giunta ‘Miranza, s’inizi la danza!'(di Tarchiato Basso)

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La quadratura del cerchio
(serve 4 persone)

Ingredienti:
Un cerchio di circa 2m di diametro, un regolo calcolatore, HAL 9000, 300gr di pecorino, 1Kg di bismuto, mezza cipolla, olio, sale quanto basta.
Preparazione:
Preriscaldare il forno a 200°, mettere olio, cipolla e HAL 9000 in una pirofila e far soffriggere fino a doratura. Aggiungere gradualmente il cerchio ed il bismuto. Lasciar cuocere per Pi greco minuti. Cospargere con sale e pecorino e servire caldo col regolo calcolatore.

***

Gli anni del cimurro e dell’olfatto
Il nuovo ponderoso, mastodontico, parossistico romanzo fiume di Gabriel Garancia Porquez de Fiume, ambientato a Fiume, in Istria, segue le vicende della famiglia Fiume, divisa tra Fiume e Fiume, negli anni della grande carestia di Fiume. La giovane Fiumicilla Fiume scappa da Fiume su una chiatta sul fiume. Scappa in cerca di fortuna, troverà solo fiume, piume e pattume. Soprattutto fiume.
Nel frattempo Fiumerico, Mastro Fiumano di Fiume, innamorato della giovane Fiumicilla, nel tentativo di smettere di fiumare giunge a Fiumicino, ignaro del fatto che al di là delle porte scorrevoli l’attende il fiume fiumano.Uno spaccato della fiumanità descritto con parole di fiume.
Fiume.

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Il Santo del Mese

San Briciolino il Maledetto
Figura leggendaria della mitologia unna, San Briciolino vola di notte con le sue pinne magiche per spargere briciole e granelli di sabbia nelle lenzuola degli ignari dormienti. Per innumerevoli anni i poveri Unni si opposero alla sua malvagità maledicendone il nome e dormendo nella melma, finché il saggio Urduk non decise di risolvere la questione dormendo avvolto nella carta moschicida, catturando così il molesto Briciolino che venne prontamente troncato di legnate.

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Ordini dall’alto

Il grano poi si trebbierà, ma colui che trebbia non starà là continuamente a trebbiarlo, e a tormentarlo con le ruote del traino e a farlo pestare dalle unghie delle sue bestie.
Or questo è benvenuto dal Signore Dio degli Eserciti, per mostrare quanto mirabile è il suo consiglio e magnifico il suo ordinamento.

Isaia 28, 28

Ordini dal basso

Trattato delle meraviglie del mondo etc.
Bagnando con il succo di mandragora e del giunco pestato un dente mascellare di iena (sempre femmina) toccando con detto dente qualche cibo o qualsiasi bevanda, chi ne mangerà o ne berrà si accenderà d’ira. Se l’esperimento sarà fatto su varie persone riunite a mensa, si azzufferanno fra loro e difficile riuscirà riappacificarle.

Il Vero Libro Infernale

Fregio04


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