C’era una volta, tanto tempo fa, un placido mercante di polenta chiamato Gianciotto. Cresciuto nella tetra rocca di Vrócc, deriso e sbeffeggiato per il suo aspetto deforme e il suo nome ridicolo (come se non bastasse, di cognome faceva Malatesta. No, dico: Gianciotto Malatesta. Avete mai sentito niente di più ridicolo?), il povero Gianciotto aveva, come unico rifugio da un mondo gelido e ostile, la sua amata polenta, con cui si divertiva a comporre sculture megalitiche di pregiata fattura che poi rivendeva a prezzi esorbitanti ai nobili del contado (le cui capacità critiche in campo artistico erano di poco inferiori a quelle di un gerbillo in coma). La sua fama di polentore – parola da lui inventata per indicare l’artista capace di estrarre dalla polenta bruta e primordiale le eteree fattezze di… ehm… insomma… qualcosa – raggiunse ben presto la remota Rimini, dove il nostro eroe si recò in viaggio per ritirare l’ambito trofeo messo in palio dal Gran Fonavolo della Riviera Romagnola – il famoso Plantigrado di Gesso – per il suo fenomenale Laocoonte di polenta taragna.
Tra i giurati della giurìa (non l’avreste mai detto) vi era anche Polento da Polenta, rivenditore di polenta di Polenta (nel senso che abitava a Polenta – frazione di Bertinoro – e vendeva polenta – ci siamo capiti), noto ai più, per una serie di motivi che non starò a elencarvi, come Guido Uno Minore da Polenta. Lo accompagnava la sua graziosa figlia Francesca da Polenta. Come Gianciotto posò gli occhi su tale angelica bellezza, cadde in un estatico stupore che gli fece dimenticare finanche la sua polenta (in favore della da Polenta – ha ha ha), e lo innalzò tra le schiere celesti degli angeli e degli arcangeli che cantavano in coro le lodi della fanciulla. Purtroppo, la sua timidezza, il suo aspetto orrendo, il suo alito letale e la sua totale goffaggine gli impedirono di palesare i suoi sentimenti, e se ne tornò a Vrócc con le pive nel sacco e un Plantigrado di Gesso, privo per lui di qualsiasi attrattiva (e in effetti, come dargli torto).
In breve tempo, l’intera rocca risuonava dei suoi lamenti strazianti. «Ahimè lasso! Me tapino! Son ridotto al lumicino! La polenta è smunta e deperita e non mi dà più gioia nè sollazzo! Solo la Da Polenta è regina del mio cuore! Come posso vivere senza di lei? Ohibò!» e così via. Grande era lo sconforto tra gli abitanti della rocca: «Oh povero Gianciotto, il suo cuore è stato rotto.»
«Come i nostri timpani! È una settimana che va avanti. Lui e il suo Plantigrado di Gesso.»
«Comunque Gianciotto è proprio un nome idiota.»
«Ha ha ha… Gianciotto!» (Exeunt)
Solo una persona condivideva il dolore del nostro eroe, seppure per un diverso motivo: il nano Maligno da Capocollo, fedele servitore di famiglia. Il nano, d’animo sensibile e romantico, nonostante l’aspetto rozzo e ributtante, nutriva da anni un profondo amore verso il suo padrone; conscio della differenza di classe (e del fatto che a quei tempi per queste cose si finiva al rogo), il buon Maligno non aveva mai osato far parola dei suoi sentimenti, contentandosi di amare da lontano il suo Gianciotto e la sua polenta.
Lo scultore – anzi, il polentore – e il suo assistente soffrivano insieme le pene dell’amore: inutilmente il servo deforme cercava di aiutare Gianciotto a liberarsi da questa ossessione! Fu allora che Paolo, l’aitante fratello di Gianciotto, stanco delle notti insonni, lo prese da parte e gli disse:
«Uè, ciccio, qui non se ne può più. Cosa ci vuole per farti stare zitto?»
«Ahimè, fratello mio! Il mio cuore sanguina! Solo la Da Polen-»
«Ho capito. Prendo il cavallo e vado.»
E fu così che il valoroso Malatesta pigliò la sua spingarda caricata a sale, balzò a cavallo e andò a procurare una moglie al fratello.
In men che non si dica, il prode Paolo attraversò le perigliose lande inesplorate che si stendono tra San Giovanni in Galilea e Sogliano Al Rubicone, indi raggiunse l’agognata Polenta. Fedele alla tradizione di famiglia, il giovanotto attese la fanciulla davanti alla chiesa e, ratto come un coguaro, le sferrò una precisa manganellata sull’occipite. Quando riprese conoscenza, la dolce Francesca era ormai lontana dal focolare paterno: sperduta in una terra straniera, in compagnia di un rozzo manigoldo privo di scrupoli, la nostra eroina diede sfoggio del suo carattere indomito tirando una pietrata in testa al marrano. Quando riprese conoscenza, il dolce Paolo era legato come un salame e in compagnia di una furia scatenata armata di spingarda.
«Tu, verme schifoso! Come hai osato rapire una povera fanciulla indifesa quale io sono? Credi forse che i da Polenta siano disposti a sopportare un simile affronto? Parla, miserabile! O un fiume di polenta rovente si rovescerà sul tuo inerme capo riverso!»
«Eh?»
«Parla, ho detto!»
«Oh, soave fanciulla! Se ho osato levare la mano contro tale bellezza, è solo perché spinto dalla fiamma imperitura dell’Amore!»
«Tu?»
«No! Non io! Per carità, non sia mai! Mio fratello! Da quando ti vide, il suo animo non conosce pace. I suoi lamenti risuonano per tutta la rocca e ci tolgono il sonno e l’appetito. Non vuoi tu conoscere l’Amore di un tale gentiluomo? Eh?»
«Tuo fratello, eh?»
«Già.»
«Non sarà mica Gianciotto l0 sciancato? Quello che scolpisce la polenta?»
«Ehm… sì? Ma non è sciancato! Di profilo non si vede!»
«Ah sì, eh? E io dovrei crederci?»
«Te lo giuro sul mio onore!»
Mentre i due erano così impegnati in argute schermaglie cortesi, nella tetra rocca di Vrócc il povero Gianciotto non si dava pace.
«Perché non è ancora tornato? Sono già due ore che è partito!»
«Avrà trovato coda al casello – lo rassicurava il nano Maligno – oppure sono andati a sposarsi a San Marino. Si sa che lì non hanno morale.»
«Taci, Maligno! Non tormentarmi! Paolo non mi tradirebbe mai così!»
«Ah sì? E quella volta che le ha rubato l’ultimo chilo di polenta per riempirci la corona del Duca di Forlimpopoli?»
«Taci, Maligno! Era solo uno scherzo innocente!»
«Sarà, ma i tre mesi di prigione se li è fatti lei. E i cinquanta scudi che le ha chiesto a Capodanno glieli ha ridati?»
«Taci, Maligno! Cosa sono cinquanta scudi tra fratelli? E poi li ho dati a Malatestino, non a Paolo.»
«E il -»
«Taci, Maligno! Per troppo tempo quel lestofante si è preso gioco di me! E adesso si permette anche di concupire mia moglie!»
«Moglie? Ma veramente – »
«Taci, Maligno! Il nostro amore puro è come un matrimonio agli occhi del Signore! E quel manigoldo me l’ha traviata! Ma adesso mi vendicherò!»
«E come?»
«Taci, Maligno!»
Malatestino Uno Dell’Occhio Malatesta (non fate domande) era considerato dagli abitanti della rocca un maniaco omicida; eppure sotto quella rude scorza di brigante da strada, sotto quell’ingannevole apparenza di spietato assassino, sotto uno spesso strato di fango e sangue rappreso si nascondeva l’animo sensibile di un facocero ferito. Chiuso nel suo sotterraneo, circondato dai suoi amati strumenti di tortura, Malatestino si stava preparando a depilare un gerbillo quando suo fratello irruppe.
Interludio. Avete mai seriamente preso in considerazione la parola ‘irruppe’? Non è una delle parole più ridicole che abbiate mai letto? Provate a ripeterla: irruppe irruppe irruppe. No, dico: ir-rup-pe. E al contratio si legge ‘eppurri’, che potrebbe quasi avere senso! O quantomeno non è più ridicolo di irruppe. Vabbè, torniamo alla storia. Irruppe!
«Panciotto! Perché irrompi?»
«Prima di tutto, è Gianciotto, non Panciotto! E lo sai benissimo! Secondo, che fine hanno fatto quei cinquanta scudi che mi devi?»
«Ce li ha Paolo.»
«AAAARGH! Ancora Paolo! Maledetto Paolo! Lui ha sempre avuto tutto! Soldi! Donne! Un nome decente!»
«Calmo, Panciotto, calmo.»
«Taci, Maligno!»
«Eh?»
«Ah, scusa. Pensavo fossi il mio nano. Sai com’è, la testa…»
«Ti prendi gioco di me solo perché sono microcefalo?»
«No, non solo per quello.»
«Ah.»
«Ma basta chiacchiere! Paolo sta insidiando mia moglie!»
«Non sapevo ti fossi sposato. E non mi hai invitato?»
«Siamo uniti solo dai puri vincoli d’Amore! E comunque non ti avrei invitato lo stesso. Sei brutto e microcefalo.»
«Parla lo sciancato!»
«È permesso?»
«Oh guarda chi c’è! Il tuo nano! Ce ne hai messo ad arrivare con le tue gambette corte!»
«Taci, microcefalo! Io non perdo mai di vista il mio padrone!»
«Sì, perché è sciancato!»
«Non sono sciancato! Ho una camminata artistica, come si addice al mio talento di polentore.»
«…»
«…»
«Ma bando alle ciance! Malatestino, caro fratello mio, ho bisogno del tuo aiuto.»
«Non lo faccio il modello per le tue sculture di polenta. Fatti aiutare dal tuo nano!»
«Subito, padrone! Sarò la vostra musa.»
«Taci, Maligno!»
«Taci, Maligno!»
«Taci, microcefalo!»
«Taci, sciancato!»
E così passarono le ore in letizia e armonia.
Il sole tramontava sulle terre inospitali circondanti la rocca di Vrócc, quando due cavalieri stanchi e affamati si appropinquarono alle mura (bello appropinquarono, eh? Quasi come irruppe). Avuta conferma che Gianciotto si trovava nel suo studio a scolpire la polenta, i due giovani vi si diressero immediatamente. Ma il fato crudele era in agguato! Anzi, per dira la verità Malatestino era in agguato, il fato crudele in quel momento stava giocando a bridge al Circolo Dopolavoro Ferroviario di Buccinasco. Capita. Comunque sia, il perfido Malatestino stava mettendo in atto il suo cervellotico piano per vendicarsi dei continui insulti di Gianciotto. E probabilmente anche per evitare di restituirgli i cinquanta scudi. Nascosto dietro un calderone di polenta rovente, aspettava il momento giusto per rovesciarlo sul fratello. Forse non proprio cervellotico come piano, ma quando si è microcefali non si può mica pretendere molto di più. E infatti, dopo sei ore di attesa, il crudele, ma non molto brillante, Malatestino si era assopito dietro la sua arma letale.
E così, mentre Gianciotto si apprestava a dare gli ultimi tocchi al suo capodoglio di polenta in grandezza naturale, la porta si aprì di schianto e la splendida Francesca fece il suo ingresso. E venne immantinente travolta da un diluvio di polenta in fiamme.
«AAAAAAAAAARGH!» disse Francesca.
«AAAAAAAAAARGH!» disse Gianciotto, che per lo spavento aveva decapitato la sua opera.
«AAAAAAAAAARGH!» disse Malatestino, vedendo il suo piano andare in fumo.
«AAAAAAAAAARGH!» disse il nano Maligno nel vedere tanta preziosa polenta sprecata.
«AAAAAAAAAARGH!» disse Paolo, tanto per non sfigurare.
«Polenta! Io odio la polenta!» esclamò Francesca «Non ho fatto tutta questa strada per essere ricoperta di polenta! Allora tanto valeva che me ne stavo a casa! Non posso credere che mi hanno costretto a venire a parlare con uno sciancato polentomane e questa è la ricompensa per il mio buon cuore!»
«Beh adesso, costretto è una parola grossa. E poi mi hai anche preso a pietrate. Ho ancora il bernoccolo: guarda!»
«E io ho ancora la tua spingarda!» e così dicendo la dolce Francesa sfoderò l’arma letale e fece fuoco su Gianciotto.
«Noooo, padroooooone!» gridò il nano Maligno, facendo scudo al suo amore segreto con il suo corpo. Ma essendo troppo basso (era pur sempre un nano) la scarica mortale gli passò sopra la testa.
«Ahimè, muoio!» sospirò Gianciotto scivolando nella polenta «Vendicami, Maligno! E fatti ridare i cinquanta scudi.»
In preda a una furia omicida, Maligno si gettò sui due malcapitati.
«Ehi, io che c’entro?» disse Paolo mentre il nano gli addentava lo stinco.
«Mumble grunf ciomp!» bofonchiò Maligno.
«Ha detto che gli devi cinquanta scudi. E che la spingarda è tua.» tradusse Malatestino, che osservava il caos con occhio clinico.
«Fermi tutti! Polizia!»
«Eh?»
«Cosa?»
«Chi?»
«Abbiamo della polizia?»
«Ahimè, muoio…»
«Sono l’ispettore Ebete del Commissariato di Sassofeltrio. Siete tutti in arresto per tentato omicidio con polenta, porto abusivo di polenta, tentato omicido con spingarda caricata a sale, porto abusivo di sale per spingarda, microcefalia, nanismo e uso illecito di farina gialla.»
E così la quiete ritornò nella tetra rocca di Vrócc, mentre i nostri eroi languivano in cella. Il processo destò grande scandalo nei dintorni e finì con l’assoluzione degli imputati grazie all’intervento del Gran Fonavolo della Riviera Romagnola, grande fan dell’arte gianciottesca.
***
Malatestino Uno Dell’Occhio Malatesta si imbarcò su una baleniera e di lui non si seppe più nulla.
Paolo Malatesta investì i suoi cinquanta scudi in borsa e divenne ben presto l’uomo più ricco di Vrócc.
Francesca da Polenta scappò con il circo e fece fortuna come domatrice di gerbilli.
Gianciotto Malatesta sopravvisse alle sue numerose ferite grazie alle amorevoli cure del nano Maligno. Una volta rimessosi, i due fuggirono a San Marino a consacrare il loro amore. E vissero per sempre felici e contenti. E pieni di polenta.
***
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