La Città del Re Leucrotta – Cap. XII

Molti Incontri

 

Per un attimo il vecchio truffatore si sentì perduto. Poi recuperò il suo sangue freddo e il suo cervello iniziò a pensare freneticamente ad una via d’uscita. Si era spesso trovato in situazioni simili, e sapeva per esperienza personale che il miglior modo per evitare un’accusa era confondere le acque il più possibile.
«Aha!», gridò, «Finalmente avete gettato la maschera! Chi vi paga per far fallire la missione di Vronch?»
Ukhurra si fermò, esterrefatta. «Si!», continuò il dottore, con voce da invasato, «Avete terrorizzato gli snotling fino a farli fuggire! Avete tentato di avvelenare Vronch prima della partenza, e ora vi preparate a uccidere anche me!,»
«Ma…» tentò di replicare Ukhurra.
«Niente ma! Quel che dovete fare, fatelo!,» Von Basedoff gonfiò il petto come un piccione, «vi mostrerò come muore un eugiliano. Addio, mondo crudele!»
«Smettetela con queste cazzate!,» urlò la cobolda.
«No! Non mi impedirete di parlare! Potete tiranneggiare vostro nipote, ma non un uomo libero! Avanti,» la incalzò, «Per chi lavorate? Anzi no, non dite nulla! Già intravedo dietro di voi l’adunca mano di Cram-Hupah!»
«Di chi?»
«Il ministro del re! Siete in combutta, vero? Mi ricordo le vostre esatte parole: “Vronch è un cretino. Ha fatto carriera con l’inganno e la frode”. E per questo lo volete morto? Per spartirvi il favore del re?»
«Dodda! Cobe ai poduto pezare queddo?» rantolò Vronch, tenendosi il naso sanguinante.
«Calma, signori, calma», interloquì il nano, che stava sopraggiungendo proprio allora coi suoi tre compagni pesti e malconci. «Ho solo fatto notare alla signora», e accennò un inchino a Ukhurra, «che se, anziché sorvolare il fiume fino a qui aveste tagliato in linea retta sopra le foreste avreste risparmiato un paio di giorni di viaggio. Tutto qui. Voglio dire, che senso ha utilizzare una barca volante come una barca normale? »
Ci fu un attimo di silenzio imbarazzato.
«Er…», accennò il dottore, «Perché se uno ehm… cade, capite, ehm… »
«Cade in acqua e… cioè, non si fa niente!», concluse Vronch. «Giusto, no?»
«Vabbè, lasciamo perdere. Anche perché vedo sopraggiungere una barca. Una vera barca, intendo.»
«Una barca!», chiese Vronch. «Forse il nostro viaggio non è ancora concluso.»
Una barchetta di forme grossolane, infatti, senza nessun ornamento, con nel mezzo una tettoia formata da rami e foglie, saliva faticosamente il fiume, spinta da due soli remiganti. A poppa stava un terzo, il quale teneva la lunga pagaia che gli serviva da timone.
«Ehi voi! Approdate,» gridò Vronch.
Il pilota spostò la pagaia a tribordo e spinse la canoa verso la riva, evitando di incagliare la prora sulla sabbia. Era un coboldo tarchiato, con braccia assai muscolose, la pelle giallastra e occhi bulbosi da yeek, che gli davano un aspetto certo poco piacevole. Se Von Basedoff fosse stato sobrio la prima volta che l’aveva visto, avrebbe riconosciuto Ullogh. Lo stesso vale per Vronch, che lo aveva incontrato dozzine di volte nel padiglione dei Baldench. Ma sulla sua capacità di notare i dettagli era meglio non fare troppo affidamento, e questo lo sapevano tutti.
Vedendo Vronch, o meglio, vedendo che nessuno sembrava averlo riconosciuto, fece un profondo inchino.
«Posso esservi utile in qualche cosa, signore?» chiese.
«Dove sei diretto?» chiese Vronch.
«A Oorblu, signore, dove devo caricare del rafano per un mercante di Zarabhur.»
«Vuoi vendermi la tua barca?»
Il pilota lo guardò senza rispondere, grattandosi il muso. Poi scoppiò a ridere.
«Non lesino sul prezzo,» disse Vronch. «Anzi, di più, non so quanto vuoi ma ti offro il doppio!»
«Ah, ah, ah! Addio, imbecilli! Buona permanenza!» e scomparve lungo il fiume prima che Ukhurra mettesse mano all’accetta.
«Ho come l’impressione che ce l’abbiamo in quel posto», concluse Von Basedoff.

Il dottore e il suo sconsolato compare rimasero seduti per un po’ in riva al fiume, mentre Ukhurra e Fang si allontanavano, la prima per cercare qualche oggetto animato o meno su cui sfogare la sua ira, il secondo per frugare tra i resti dell’incendio in cerca di nichelini o avanzi di cibo.
«Ah! Non siate così pessimisti, signori miei», disse il nano, avvicinandosi. «Forse io e i miei compagni possiamo esservi d’aiuto. Fra l’altro, noto, e me ne dolgo alquanto, che non ci siamo ancora presentati. Il mio nome è Baroz Abborgonth Xard, e questi», indicò i suoi tre compari, «sono Umberio Fetedhras, Fristan H. Dinz e Mamuc Salnighiel»
«Piacere.»
«Ehilà.»
«Come andiamo?»
«Grunt.»
«Io e i miei compagni avremmo intenzione di proporvi un’offerta che, in tutta onestà, non potrete rifiutare.»
«Dalle mie parti,» disse il dottore con un vistoso gesto scaramantico, «questo genere di incipit non è che ci metta proprio a nostro agio…»
«Ah si? Ma pensa. Ora, invece, se non vado errato, voi avete bisogno di un mezzo di trasporto sicuro e affidabile. Noi possiamo fornirvelo. Dietro ragionevole compenso.»
«Con quanti zeri si scrive, “ragionevole”?»
«Beh, in realtà pensavamo a un altro tipo di accordo. Noi vi accompagnamo fino alla leggendaria Città del Re Leucrotta; voi ci ricompensate per l’impegno con una parte ragionevole degli eventuali guadagni.»
«Tipo i due terzi,» disse il signor Fetedhras, che poteva efficacemente essere descritto come un energumeno armato fino ai denti.
«Facciamo l’ottanta per cento,» lo corresse Baroz.
«E gli oggetti magici?», chiese Fetedhras.
«Compresi, ovviamente con diritto di prima scelta per quanto riguarda armi, pozioni, pergamene e gioielli,» precisò il nano.
«Due domande,» disse Von Basedoff, alzando indice e medio. «Prima: chi vi ha rivelato la meta del nostro viaggio?»
«Non guardate me» disse Vronch.
«La signora, che diamine. Mentre eravamo impegnati a massacrare quei mostri. Sapete, in questo genere di esperienze spesso si sviluppa un certo senso di cameratismo.»
«Ah. Seconda domanda: e se rifiutassimo?»
«In tal caso ci vedremmo costretti a riferire alla signora che giusto ieri sera voi due ci avete assoldati per, ehm, ucciderla. Vediamo un po’… quali erano le parole esatte? »
«Qualcosa del tipo: “Ammazzatemi la vecchia e vi coprirò d’oro”,» disse il signor Salnighiel, un tipo giallognolo dall’aria untuosa.
«Non la prenderebbe molto bene,» concluse il signor Dinz.
Il dottore si alzò in piedi di scatto. «Molto bene, accettiamo,» disse, stringendo la mano ai quattro, sotto lo sguardo stupito di Vronch. «È un piacere fare affari con voi. Ora, se volete scusarmi, vado a picchiare la fronte contro un albero fino a perdere i sensi. Buona giornata.» E si allontanò.

Alle cinque del mattino dopo, Vronch, Ukhurra, Fang ed Eriprando erano già in viaggio con i loro nuovi e indesiderati compagni. Avevano abbandonato il fiume per inoltrarsi nella foresta in groppa a robusti maiali, bestie solitamente docili ma di cui non ci si può fidare troppo. I maiali, scelti con cura, promettevano di resistere lungamente e di portare facilmente i loro cavalieri fino sulle rive del Zolph-Urplah, senza necessità di venire cambiati. Erano animali di statura piccola, dai garretti solidi, i dorsi robusti, le criniere folte. Il Fethrund non ha maiali di grande statura, ma quelli che possiede, quantunque, per chi non l’avesse ancora capito, non siano molto alti, superano nella corsa qualunque animale selvaggio e, quello che è più, sono di una sobrietà meravigliosa, a differenza di quelli normalmente usati dai goblin, che sono inclini all’ubriachezza e al gioco d’azzardo tanto quanto i loro padroni.
La regione era tornata selvaggia e sui due lati della strada non si scorgevano che vaste paludi, interrotte da qualche isolotto ingombro d’una folta vegetazione, senza un palmo di terra coltivata e senza una capanna che indicasse la presenza di qualche contadino. Il mulo chiudeva la fila, alle spalle di Vronch e del dottore, che, come al solito, stavano confabulando a mezza voce.
«Ora, dottore, non voglio mettere in dubbio le vostre decisioni, ma era proprio necessario piegarsi al ricatto di questi maniaci?»
«Mah. Se avessero davvero rivelato a vostra nonna la natura della vostra proposta, come l’avrebbe presa? Avrebbe creduto a dei perfetti estranei o al suo amato nipote?»
«Va bene, va bene, avete ragione voi. Ciò non toglie che se prima avevamo poche possibilità di liberarci della vecchia, ora ne abbiamo ancor meno.»
«Già. Ma non è detta l’ultima parola. Il nano e i suoi compari hanno un punto debole che potremo facilmente sfruttare: l’avidità. Mentre vostra nonna, con rispetto parlando, è un mostro assetato di sangue. Non dubito che riusciremo a metterli l’una contro gli altri.»
«Forse avete ragione. Ma ora basta – vedo mia nonna avvicinarsi,» e si mise a fischiettare.
«Dovremmo pensare a procurarci la colazione,» disse Eriprando, a voce alta. «Non dimentichiamoci che, anche se siamo in otto, è come se vi fossero diciannove bocche da nutrire – visto quanto mangiano i nani – e che nella bisacce del mio maiale non vi è che un po’ di riso e forse avariato. Ukhurra, aiutatemi, giacché ci hanno nominati i provveditori della spedizione.»
«Gli uccelli sono diventati rari, signor Eriprando. Che si siano accorti che noi contavamo sulle loro carni?»
«Vedo volare laggiù, presso quelle canne, qualche stirge.»
«Che sarà appena bastante per noi,» rispose la cobolda, sorridendo famelica.
«Batteremo le paludi, se vostro nipote acconsentirà a fermarsi.»
«E io che c’entro?» disse Vronch. «Ma prima o poi anche gli altri vorranno riposarsi. E poi io non sono abituato al maiale. Ho già la coda indolenzita.»
«Troveremo selvaggina nelle paludi?»
«Sono frequentate dai verri diabolici e anche da altre bestie strane. Ne troveremo, non dubitate.»
«Signori,» disse in quel momento il nano, dando di sprone al suo maiale. «Io ed i miei uomini siamo stati in piedi tutta la notte per spartirci il bottino della nostra ultima spedizione. Abbiamo già percorso oltre trenta miglia: non sarebbe il caso di fermarci per uno spuntino?»
«Stavo giusto per proporvi di prendere un caffè.»

Nel frattempo Ullogh, abbandonata la barca poco dopo il villaggio dei cercatori di muco, aveva preso un sentiero che serpeggiava fra alcune risaie, seguendo un argine abbastanza largo. Se qualcuno lo avesse seguito, si sarebbe forse accorto che aveva ben altre preoccupazioni che quella di accaparrarsi una partita di rafano.
Si arrestava di frequente, guardandosi alle spalle, e cercava di tenersi sempre celato dietro le alte canne palustri che fiancheggiavano l’argine, come se temesse di venire spiato. Giunto all’estremità della risaia, balzò nell’acqua e stette parecchi minuti immobile, osservando attentamente il sentiero che aveva fino allora percorso.
«Nessuno mi ha seguito,» mormorò. «Non hanno alcun sospetto su di me.»
Diresse lo sguardo verso est, fissandolo su un gruppo di vaste pagode diroccate che sorgeva in mezzo ad una piantagione di banani illusori, sormontato da un’antenna dipinta in rosso.
«È quello il vecchio casinò di Cram-Hupah,» disse. «Sono parecchi anni che non vengo qui, eppure riconosco ancora le insegne al neon e la giostra. Sarà già arrivato il padrone? I maiali sono stati scelti con cura e la mia scialuppa si è fermata abbastanza a lungo presso le isole.»
Cercò un sentiero e, scopertolo, si avviò verso gli edifici. Colà non aveva da temere un assalto improvviso, essendo le piante bassissime, tuttavia per maggior precauzione si tolse dalla spalla la lancia ed impugnò il coltellaccio dalla lama quadrata ed affilatissima. Appena ebbe raggiunto i primi gruppi di banani, lanciò alcuni fischi stridenti. Alla terza nota udì un’altra chiarina rispondere a breve distanza.
«Il padrone è giunto,» mormorò.
Rispose con una nota più acuta, poi attese.
Non erano trascorsi dieci minuti, quando un coboldo seguito da altri due, armati di carabine e di coltellacci, sbucò fra le immense foglie d’un gruppo di cactus: era Cram-Hupah.
«Te la sei presa comoda, Ullogh!» esclamò il ministro di Kuglurg, facendo un gesto di stizza.
«Ehm… sì, signore,» rispose il mezzo-yeek, sorridendo. «Quando ho letto il vostro messaggio ho pensato fosse una cazzata. Che maiali possiedi! Credevo di non trovarti qui.»
«Dunque?» chiese il ministro.
«Tutto è riuscito secondo i tuoi desideri, signore.»
«Il dirigibile?»
«Ho aiutato gli halfling a liberarsi, e loro e gli snotling lo hanno rubato e poi affondato in mezzo allo Zang.»
«Non hanno alcun sospetto?»
«Non ne hanno alcuno, signore. Mi hanno parlato e non mi hanno nemmeno riconosciuto. Che imbecilli.»
«Nemmeno su di te?»
«Chi vuoi che supponga di trovare Ullogh sull’alto corso dello Zang? E poi, non sono a sufficienza trasfigurato, dopo che mi sono lasciato crescere i baffi? Guarda, padrone: ho un paio di occhiali scuri e una parrucca.»
«Infatti sei quasi irriconoscibile,» disse Cram-Hupah, «e ammiro la tua inventiva.»
«Per te, signore, mi sarei tagliato un braccio. Anche se, devo dire la verità, non capisco il perché di questo nostro viaggio. Voglio dire, Vronch e sua nonna sono partiti, hanno lasciato la capitale: perché ci siamo messi alle loro calcagna? E poi, perché affondare il loro dirigibile?»
«Placa la tua insipienza, o Ullogh: saprò un giorno ricompensarti come meriti ed innalzarti alla carica di siniscalco, purché tu riesca a condurre a buon fine i miei disegni. Ora ascolta, e scoprirai la natura del mio perfetto e sublime disegno.»
«Sono pronto a tutto: parla.»
«Ascolta attentamente: la notte prima della mia partenza da Kuglurg, feci un sogno profetico. Avevo esagerato con la peperonata, come mio solito, e poiché non riuscivo a prendere sonno, ho consumato mezza bottiglia di coca buton. Così, durante la notte, mi è apparso in sogno il dio Pustulas. » Fece una pausa per chinare il capo, mentre il losco Ullogh lo guardava esterrefatto. «Egli mi apparve nella sua forma di leucrotta con la testa di gelatina, e il suo aspetto era così maestoso che a malapena potevo sopportarne la vista. Recava con sé le insegne del suo potere, ovvero la rutilante mazza ferrata e il cesto di carrube. Io mi prostrai d’innanzi a lui ed egli mi parlò con voce tonante.»
«Ehm, padrone… sei proprio sicuro che fosse una sacra visione e non un semplice brutto sogno?»
«Silenzio, sciocco! Ascolta le parole di Pustulas. “O Gram-Huppah”, mi disse, e anche se aveva storpiato il mio nome non me la sentii di correggerlo, “ma ti sei bevuto il cervello? Hai mandato il tuo nemico alla ricerca del Sacro Pungolo!” Così mi disse.»
Ullogh era allibito. «Ma, padrone! Sei sicuro di quel che dici?»
Cram-Hupah lo colpì sulla testa col bastone. «Certo che sono sicuro, idiota! “Se Vronch metterà mano al Sacro Pungolo”, continuò l’eccelso Pustulas, “mio fratello l’avrà vinta anche questa volta. Orde di mostri bianchi si precipiteranno nei suoi templi e tutti saranno felici e diranno: o quanto è grande Krustulas, quanto è figo Krustulas. E a me, non ci pensa nessuno? Chi sono, io, il figlio della serva?”»
Il mezzo-yeek lo fissava incredulo. Si volse verso le guardie del ministro: una di loro si battè la tempia col dito indice.
«”Trova il Pungolo prima di Vronch e distruggilo”. Queste sono state le parole di Pustulas.», concluse con voce solenne.
Ci fu un attimo di imbarazzato silenzio.
«Ma…ma…ma…,»
«Niente ma e niente se! Osi forse mettere in dubbio la parola del divino Pustulas?»
«Ma che esista il Sacro Pungolo?»
«Tutti lo affermano.»
«E glielo lascerai trovare?» chiese Ullogh.
«Chi ti dice che essi possano giungere alla città del Re Leucrotta? No, non lascerò trionfare Vronch. Io ho suggerito al talpone quel sogno, colla speranza di allontanarlo assieme a Ukhurra. Mi sono ingannato stupidamente e bisogna rimediare a quanto ho fatto! Ullogh, bisogna che quel coboldo scompaia dalla circolazione. Vieni a vedere cosa ho in mente, e a meno che l’uomo che l’accompagna non sia un gran stregone, egli non vedrà la città del Re Leucrotta, né tornerà mai più a Kuglurg!»


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