«Ecco che mi hanno già messo con la faccia al muro e mi chiedono: – Cognome, nome, patronimico,? Anno di nascita?… – Il cognome? Sono il Pellegrino Interstellare! Il mio corpo è stato stretto nelle loro bende, ma la mia anima non è dominata da loro!»
Non è difficile pensare che un libro come “Arcipelago Gulag”, ai tempi della sua (fortunosa) uscita, debba aver scatenato più di un commento, non tanto nella sua terra d’origine, che dell’argomento ne sapeva ahimè fin troppo, quanto soprattutto dalle nostre parti. L’idea che l’URSS non fosse proprio il paradiso dei lavoratori deve aver spiazzato parecchia gente, così come l’amara constatazione che l’espressione “dittatura del proletariato” ponesse l’accento più sulla dittatura che sul proletariato. Opere come queste, poi, oltre che contribuire alla discussione politica, hanno dato il via a tutto quel folto esercito di contabili da massacri, i quali, abaco alla mano, ci fanno sapere di continuo (e con sempre maggiore insistenza) che, allora, Zio Stalin è stato ben più cattivo di Zio Hitler con tipo ottanta milioni di morti o giù di lì sulla coscienza, contro sei – e che il nostro amato dvcie tutto sommato era un bonaccione, magari un po’ irruento, che gli oppositori li mandava al confino e mica nelle foibe. Simili discorsi meritano come unico commento, e siamo sicuri che anche Solženicyn sarebbe stato d’accordo, una sonora pernacchia o meglio ancora una salva di rutti da minestrone, dopo i quali si può procedere, si spera, a discorsi più costruttivi. Insomma, per farla breve, Aleksandr Isaevič Solženicyn esprime, in una lettera (una lettera privata a un amico), delle riserve sull’operato di Stalin. Lo condannano a otto anni di lavori forzati in Siberia e tre di confino, durante i quali raccoglie una mole impressionante di testimonianze, memorie, racconti e frammenti di vita, una parte dei quali andranno a costituire questo “saggio di inchiesta narrativa”. Quella che emerge è l’immagine di un sistema mostruoso, basato sulla paranoia e sulla sopraffazione più brutale – un sistema che, giungendo a considerare reato il semplice fatto di conoscere qualcuno che ha problemi con la giustizia, rende passibile di arresto chiunque, in qualunque momento (sei un criminale? Allora tutti i tuoi conoscenti lo sono. E allora tutti i loro conoscenti sono criminali… i famosi sei gradi di separazione); un sistema su cui sono stati scritti commenti ben più profondi e girati film ben più interessanti e ai quali vi rimandiamo sicuri che apprezzerete. Anche sulla profonda trasformazione che avviene in un uomo quando viene spinto al limite si è detto molto (da Se questo è un uomo a 1984 a V for Vendetta e non vi paia irriverente l’accostamento): quando cioè ci si rende conto di aver perso tutto, persino il nome, tranne la propria integrità – e quella nessuno ce la può togliere se non siamo noi a cederla per primi. Come Winston, il protagonista di 1984: pur di salvare la vita cede al compromesso – ma si accorge ben presto che la vita a cui torna ha perso ogni significato. Chi invece resiste, è trasfigurato, e qui si può fare ogni sorta di cervellotico paragone, da Odino trafitto dalla lancia per nove giorni e nove notti, alla Via Secca degli alchimisti, nel cui crogiuolo si bruciano le scorie della materia liberando l’Oro nascosto. E infatti c’è un che di profetico nelle parole di Solženicyn: la saggezza di un asceta che ha rinunciato – anche se, potendo scegliere, magari ne avrebbe fatto a meno – al mondo: Come far intendere loro – con una folgorazione? Una visione? Un sogno? – fratelli, gente! Perchè vi è stata data la vita? A notte fonda si spalanca la porta di una cella della morte e uomini di anima grande sono trascinati alla fucilazione […] Voi invece, sotto un cielo azzurro, sotto un sole caldo, avete il diritto di disporre del vostro destino, di andare a bere dell’acqua, di di stiracchiarvi, di andare dove volete. […] Volete che vi sciorini davanti, ora, subito, l’essenziale della vita, tutti i suoi enigmi? Non date la caccia all’illusorio, […] fate vostra una continua superiorità nei confronti della vita, non abbiate paura delle sciagure […]. Se non avete la spina dorsale spezzata, se le gambe camminano, gli occhi vedono e le orecchie odono, chi potreste invidiare, e perchè? È un tono diverso da quello di Se questo è un uomo (la cui lettura in effetti risale a qualche annetto fa per cui siate indulgenti se la memoria ci tradisce e diciamo cazzate): il libro di Levi è sommesso, attonito, come una veglia funebre, ancora incredulo di fronte alla catastrofe. Solženicyn, invece, è incazzato come un bufalo, divaga, impreca, accusa, ora sarcastico, ora commosso, ora furioso, e ci ammonisce: Non ti creare degli idoli, perchè nessun uomo è malvagio di per sé, a meno che qualcuno non lo autorizzi a odiare: i malvagi shakespeariani si limitavano a qualche decina di cadaveri: perchè mancavano di ideologia. L’ideologia! È lei che ci offre la giustificazione del male che cerchiamo e la duratura fermezza occorrente al malvagio. Occorre la teoria sociale che permetta di di giustificarci di fronte a noi stessi e agli altri, di ascoltare non rimproveri, non maledizioni, ma lodi. Così gli inquisitori si facevano forti con il cristianesimo, i conquistatori con la glorificazione della patria, i colonizzatori con la civilizzazione, i nazisti con la razza, i giacobini vecchi e nuovi con l’uguaglianza, la fraternità, la felicità delle future generazioni.
Mah. C’è da dire che si finisce quasi con l’invidiare queste persone, che hanno affrontato prove così immense e ne sono uscite a testa alta. Vien da chiedersi: noi, cosa faremmo? Possa non venire mai l’occasione di scoprirlo.
Condividi questa opera dell'ingegno umano!
sono finito per caso sul tuo/vostro blog. davvero notevole. abbravo/i