Ora,un romanzo con un titolo così potevo lasciarmelo scappare? No, non potevo. E quindi eccoci qui. Fra l’altro, credo che ogni lettore accanito quale io sono prima o poi giunge alla conclusione che non è lui a scegliere i libri che legge, ma sono loro a presentarsi sulla soglia di casa dicendo: “Eccomi qua. Leggimi.” – e a quel punto cosa fai, li cacci in malo modo? E poi pian piano scopri che anche se i libri li leggi a caso un filo sottile li lega, come se potessi disporli in una specie di mosaico e ogni libro nuovo va a colmare una lacuna, a inserirsi perfettamente in un incrocio di rimandi, argomenti, citazioni, quisquilie, pinzillacchere e così via. Ma basta con la filosofia spiccia perchè qui, signori, si parla nientemeno che di gnosticismo. Argomento affascinante, a proposito del quale confesso da subito la mia più totale ignoranza: una dottrina filosofica molto antica e complessa – quel genere di dottrina per cui ai bei tempi dell’Inquisizione si finiva male. A farci da guida alla scoperta di questi misteri è il nano Peppe, un povero popolano cui la natura ha giocato un brutto scherzo, dandogli un corpo deforme, una madre rozza e stolida, un padre sconosciuto e una casa in Trastevere, nel bel mezzo dello squallore e della degradazione della Roma del Cinquecento. Ma proprio per questa catastrofica somma di sfighe il piccolo Peppe arriva all’attenzione di una confraternita di gnostici, i quali vedono in lui un candidato ideale. Perchè il concetto base dello gnosticismo, a quanto apprendiamo, è la fondamentale malvagità del mondo e della vita in generale: il dio creatore è in realtà un diavolo, un perfido demiurgo che, bisognoso di schiavi e adoratori, ha costruito un mondo imperfetto e fallace, una prigione per le anime che, quindi, devono liberarsi del fardello della carne per tornare al Padre Celeste. Glom. Capirete come questo genere di teorie potesse dar fastidio a molta gente, a quei tempi. Comunque sia, per farla breve, seguiamo la storia di Peppe, che dalla scuola segreta degli gnostici finisce dritto nelle prigioni dell’Inquisizione, e poi in un circo di scherzi di natura, e poi alla corte di Papa Leone X, noto mecenate nonchè inveterato sodomita, di cui diventa segretario. Ora, quando si legge un romanzo storico non bisogna dimenticare che è pur sempre un romanzo, e quindi un’opera di fantasia: perchè altrimenti sono pochi i romanzi storici che sopravvivono al fuoco di sbarramento della critica. Non so se Leone X fosse come David Madsen lo dipinge (o come lo dipinge Lawrence Norfolk, visto che è lo stesso pontefice di “Un Rinoceronte per il Papa”) – così come non so se personaggi come Peppe o l’inquisitore Tomaso della Croce o il maestro gnostico Andrea de’ Collini siano immaginari, o ispirati a personaggi reali (per non parlare degli altri personaggi: i freak del circo, o i dignitari e i cardinali della corte di Leone, o i ritratti che l’autore dà di Raffaello e Leonardo da Vinci – un giovane satiro il primo, un vecchio rincretinito il secondo): quello che conta è che la storia regga. E, a mio modesto parere, regge: le memorie di Peppe dipingono una Roma dissoluta e decadente, descrivono un mondo di inganni, depravazione e meschinità, ben lontano dall’insegnamento della Chiesa delle origini, e raccontano una vita difficile (anche nelle dorate stanze vaticane), la vita di un uomo intelligente, ironico e sensibile imprigionato in un corpo devastato – un uomo che trova una via di fuga dalle sue disgrazie nella speculazione filosofica. Qualcuno potrebbe lamentarsi – e immagino l’abbia fatto – dell’eccesso di depravazioni e violenze, vissute, subite o soltanto testimoniate, che costellano la carriera di Peppe: ma forse la cosa è voluta. Un po’ come nel Candido di Voltaire, dove l’eccesso di cattiveria e di assurdità della trama serviva a mettere alla berlina la teoria del “migliore dei mondi possibili”, qui veniamo condotti a porci la domanda chiave dello gnosticismo: “come è possibile che un dio buono e perfetto abbia creato un mondo così imperfetto e malvagio?”. Credo sia proprio questa la chiave del romanzo: il contrasto tra lo squallore e l’inutilità della vita quotidiana, l’ignoranza, la meschinità e la violenza degli uomini; e la luce che, invece, illumina l’interiorità, come una specie di rifugio o di scudo contro l’oscurità che ci circonda – o qualcosa del genere. Che poi funzioni o no, lascio a voi decidere: in ogni caso, questa è la ricetta del nano Peppe.
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Ma sai che avevo visto anch’io questo libro e mi ispirava parecchio? Purtroppo non avevo soldini con me e così me lo sono lasciato sfuggire… e vabbè.
Comunque ti invito sulla Transiberiana che una cazzata mica ce la facciamo sfuggire
che poi è qua:
http://ilgnagnera.blogspot.com/2007/12/comunicato-n-16-transiberiana.html