Per essere coerente col suo titolo, avrei dovuto parlare di “Come parlare di un libro senza averlo mai letto” senza averlo mai letto. E, invece, me lo sono letto, e posso affermare senz’ombra di dubbio che trattasi di un libriccino piccino piccino ma inaspettatamente interessante. Premetto che non è una cosa del tipo “Passate Gli Esami Senza Leggere I Libri” o “Fate Bella Figura Durante Una Discussione” o “Fatevi Una Cultura In 48 Ore” – è un discorso del tutto diverso. Questo libro è stato scritto prima di tutto da un lettore, un lettore che, nonostante sia francese, professore di letteratura, psicanalista e, come se non bastasse a scoraggiare chiunque, sospettosamente freudiano, mostra una passione per la lettura tale da rendermelo subito simpatico (nonostante un po’ di spocchia tipicamente gallica). Non solo: con una onestà intellettuale degna di miglior causa, tutti i libri portati da Bayard a sostegno della sua tesi sono libri che egli confessa candidamente di non aver mai letto ma al massimo sfogliato (fra i quali la Recherche di Proust, Il Nome della Rosa, e altri titoli la cui ignoranza farebbe inorridire ogni bibliofilo) – cosa che me lo rende doppiamente simpatico. E allora dove sta l’inghippo? Abbiamo qui un letterato che ammette di non leggere? Come è possibile? In primo luogo, dobbiamo ammettere che non è possibile leggere tutto. E in secondo luogo, dobbiamo interrogarci su cosa significa, per noi, leggere. Abbiamo qui, infatti, un libro sulla lettura intesa come processo attivo e creativo. Siamo abituati a considerare l’atto del leggere come la controparte passiva di quello dello scrivere: l’autore crea, il lettore sta seduto e ascolta. In realtà leggere è un atto di creazione, di scrittura del nostro libro interiore, di costruzione del nostro mondo interiore (ed è per questo che poche cose come le letture comuni possono cementare l’amicizia o l’amore tra le persone): ed è per questo, inoltre, che leggere un libro non si esaurisce con l’ultima pagina – non è come dare un esame o fare un esercizio in palestra: “Promessi Sposi? Fatto. Il Vecchio e il Mare? Fatto. I Malavoglia? Fatto.” – ma è un processo continuo. Un processo che non deve essere per forza meccanico – inizio dalla prima pagina e vado fino all’ultima, parola per parola – e che paradossalmente può anche fare a meno dell’atto vero e proprio della lettura. Una persona intelligente e appassionata, dice Bayard (e chi può dargli torto), può saperne su un libro che non ha mai aperto (e fa il caso dell’Ulisse di Joyce) molto di più di un’altra persona che lo stesso libro se lo è sorbito dall’inizio alla fine e non ne ha conservato nulla. E’ ovvio che non leggendo un libro non se ne possono cogliere i dettagli – posso farmi un’idea della Guida Galattica per gli Autostoppisti anche senza aprirlo, ma chicche come “l’orizzonte del fenomeno scarpa”, “ehi! Ciacci quel ganzo di Ford Prefect?” o i Santi Frati Pranzisti me le perderò per forza – ma nella maggior parte dei casi, in fondo, ne vale la pena (specie per quei bei romanzoni russi di una volta o per le diciottologie fantasy)? Non ci sono due persone che leggono lo stesso libro nello stesso modo (basta vedere i giudizi e i commenti a questo stesso volume), così come il giudizio o l’idea che noi abbiamo di un libro (letto o non letto) non è un oggetto immutabile, come scolpito nella pietra. Noi cambiamo, il mondo cambia, cambia la nostra percezione e il nostro immaginario – cambia anche il nostro modo di leggere. O di non leggere. Ve lo consiglio caldamente, questo libretto: lo si legge in un paio d’ore (o anche meno, se non lo leggete) e c’è da rifletterci su finchè vi pare.
Condividi questa opera dell'ingegno umano!