Kaprawoulf: CAP VI

e-kaprawoulfpoi venne il pinguino e il detective e le alci e l’albergo. Ma tutto questo andò perduto nelle nebbie dell’oblio come lacrime nello stracotto d’asino. Ma meglio non parlare di cose tristi. Meglio tacere. Omertà. Eccheccazzo.
E nella stanza Mimmo (non chiedete, tanto non vi sarà dato) della Locanda il vecchio detective riflette. Il vecchio detective sarei io. Che non sono affatto vecchio. Ma rifletto. A volte. Ad esempio ora. Più o meno. Adesso. Ecco. Avete visto? No? Vebbè, riflettevo. Fidatevi.
Quella notte molti dubbi assallivano e assilavavano la mia mente. Forse assallavano e sassalivano, non so, non ricordo bene. Il pinguino perseguitava i miei augusti pensieri. Da dove veniva? E perchè? Aveva forse qualcosa a che fare con le ghette di Lady Vladislava Skakkabaroskaja. Ma il concetto che con maggior frequenza si presentava alla mia consapevolezza era “protestantesimo”.
Ho bisogno di bere. Dove avrò messo quel whisky cencioso?
Possibile che avessi incontrato il pennuto in Vietnam? Non ricordo nemmeno di essere stato in Vietnam, anche se questo non vuol dire un cazzo dato che ho un bullone nel cervello che a tratti fa interferenza. “… il Signore è con te, e con il tuo spirito…” Signore? Quale signore? Devo aver di nuovo captato Radio Maria. Porcazza. Maledetti. Mi ammazzano con l’onda, io lo so.
Dicevo? Niente. Scrivevo? Non ricordo.
Eh, che vita di merda.
Il pinguino aveva detto qualcosa. Sono sicuro. Ma cosa?
Era qualcosa del tipo: “Quak squek berequek.”
Ma forse era “Brek squenk aqquekk.”
Non che faccia molta differenza tanto non avevo capito un cazzo di quello che diceva. Forse perchè non parlo la lingua dei pinguini. O forse per un’ulteriore degenerazione dell’afasia di Wernike che da qualche tempo mi affligge.
La bionda era uscita dal mio ufficio portandosi dietro l’alone di profumo da quattro soldi le gambe mozzafiato e parte del mio intestino tenue.
Ma questo era successo quattro mesi fa. Quindi perchè ne parlo?
Mah. A volte mi stupisco di me stesso. Come quella volta che ho lanciato il mio commercialista in orbita in un frigorifero.
Per questo mi trovavo in quell’albergo. E’ difficile vivere senza intestino tenue. E senza commercialista. Dovevo recuperarlo. Uno qualunque! E la Skakkabaroskaja rivoleva le sue ghette. Maledizione. Dannata noblità. Non è più come una volta. Porcazza. Campanelline.
Andrò a far visita al palmipade e lo torchierò finchè non avrò saputo quello che voglio sapere. Sempre che lui lo sappia. Perchè potrebbe anche non saperlo. Non lo so. Per questo devo torchiare il palmipede. Alla peggio magari può indicarmi qualcuno che potrebbe saperlo. O anche no. Ma sapete come si dice: “Mai perdere l’occasione di torchiare un pinguino!”. In che stanza stava?
E così in quell’uggioso meriggio autunnale che preannunciava il sopraggiungere delle prime nevi sulla Terra del Freddo Lontana e Inospitale il vecchio detective uscì dal suo ufficio, per la prima volta dopo quattro mesi, e si avviò nel pericoloso corridoio della locanda.
Entrai nella stanza del pinguino (smettetela di fare quella faccia ogni volta che passo dalla prima alla terza persona tanto ormai avete capito e poi non è che state leggendo Michele “Perditempo” Proust, no?) col cipiglio e la fermezza di un vero Arpagliere. Gli saltai alla gola e gli puntai il freddo calcio della mia fedele 44 alla tempia. Urlai con tutto il whisky che avevo in gola.
“Parla! Miserabile!”
“Stanza accanto!”
Bè, capita di sbagliare no? Specie se avete una labirintite cronica che aflligge il vostro orientamento e la percezione spaziale.
Ma voi non l’avete. Io invece sì. Porcazza.
“Ah! Grazie. Domando scusa.”
“Prego si figuri, per così poco.”
“Scusi per la macchia sul copriletto.”
“Non si preoccupi, domani lo mando in tintoria.”
“Bè allora la saluto. Scusi di nuovo. Ossequi.”
“Senta…”
“Dica.”
“La pistola.”
“Cosa?”
“La giri, potrebbe essere più efficace.”
“Oh. Sì. Certo. Come no. Grazie di nuovo. Allora io vado, eh?”
Bifolco. Non sa neanche come si tiene una 44. Zucchina (questo è Wernicke).
Il detective entrò nella stanza del pinguino (Eh? Eh? Terza persona. Eravate attenti? Eh?), con passo sicuro si avvicinò al volatile (che peraltro non vola ma vabbè, di questo parleremo in separata sede) e interloquì:
“Parla! Mallanzone!”
“Quek?”
“Dove eri la notte del 14 febbraio 246?”
“Squequek?”
“Ok. Lascia perdere. Dimmi quello che sai.”
“Squenk querek quenequek. Suik squok berequek, quebek. Quik quik quorok. Qualek quek kluk quikikik, quonka quek qualanka quak. Quakkio! Quaquaqua, quoque brute. Quo? Qui qua: “Quisquie quokka qualokka quakka quakka.” quirikkio qualanaqqua quokka. Quorokka quakkia quokkonika. Qualappaqua quiche quenakkia, squokkia berakkia quikka. Quekkola squokkola…”
“Squokkola?”
“Squokkola.”
“Ok.”
“Squokkola qualakkialamakkola. Quikkele barakkalaquakka. Spam spam quak quak. Guakkio squakkio soqquakkio abbakkio. Quinkio? Squinkiokkio. Okkioquolokkiolo quekkolomelekko, quok qualakkamalakkasquakka quk. Ok? Quonk. Qui Gong Quakk quoquolo sberekk quakut ququola quankalasakkala quimikalakka lakka quakka, quikki quikki sbarakkini. Hi! hi! hi! Quonkolo sbonkolokkio quorkolloquone quakkero! Squiquikikilikikolokiki, qui ki? Ki! Oquokolokko? Quokko? Quankalakka squilibakka quankalama quakka…”
(continua…)


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